Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/11/2016, a pag. 13, con il titolo "L’Isis agli sgoccioli ma ora il Califfato cambierà strategia colpendo l’Europa", l'intervista di Antonello Guerrera a Joby Warrick, giornalista del Washington Post e Premio Pulitzer 2016.
Antonello Guerrera
Joby Warrick
«MOSUL cadrà probabilmente prima della fine dell’anno. Per Raqqa ci vorrà di più. Sì, il Califfato potrebbe estinguersi presto. Da tempo ha molti canali di finanziamento bloccati. E senza il suo “Stato Islamico”, economicamente insostenibile, avrà meno soldi e reclutamento. L’Isis tornerà presto un’organizzazione terroristica clandestina, come lo era anni fa con Al Zarqawi». Perché tutto è cominciato con lui, con quel terrorista giordano “dal cuore morto”: spacciatore e violentatore di ragazzi, indottrinato dal santone Al Maqdisi nel carcere di Al Jafr, poi leader di Al Qaeda in Iraq, ispiratore dello Stato Islamico sempre dell’Iraq (Isi, progenitore dell’Isis) e infine seppellito dalle bombe Usa nel 2006. Così, per spiegare che cos’è ora l’Isis, si deve partire proprio da Al Zarqawi, come fa il bellissimo “Bandiere nere” di Joby Warrick, giornalista del Washington Post e Premio Pulitzer 2016 per questa biografia del Califfato da oggi in libreria per “La Nave di Teseo”. «E sa chi è l’Al Zarqawi del XXI secolo?», dice Warrick.
La copertina (La nave di Teseo ed.)
Chi? «Abaaoud, il coordinatore degli attentati di Parigi del 13 novembre. Come al Zarqawi, stesse origini borghesi, stessi problemi con la legge, carattere difficile. È stato uno straordinario esperimento dell’Isis, come quello di Al Maqdisi con Al Zarqawi: a 28 anni un teppista è riuscito a fare qualcosa di incredibilmente devastante».
Ma, se muore il Califfato, cosa faranno i foreign fighter come Abaaoud? «Oggi il rischio di attacchi è altissimo. Stanno preparando qualcosa di grosso anche in Europa, mi dicono fonti di intelligence Usa. L’Isis vuole dimostrare, soprattutto ai suoi seguaci, che è ancora forte. Il problema è che i foreign fighter disertori o disillusi che noi respingiamo ci possono essere utili per sapere segreti cruciali sulle cellule dormienti in Europa. Che fare con loro? È questo il grande dilemma».
In Europa si parla molto della mancanza di una difesa comune contro il terrorismo. «Invece so che gli europei si stanno scambiando molte più informazioni dopo la strage di Parigi. L’attentato sventato a Notre Dame, all’inizio di settembre, è stato un grande successo da questo punto di vista. E a Mosul c’è un tesoro, i computer degli jihadisti ci diranno molto”.
Lei scrive che l’Isis è nato da molti errori americani. «Purtroppo sì. Non distrussero i piccoli campi di addestramento di Ansar al Islam in Iraq guidati a inizio 2003 dallo sconosciuto Al Zarqawi che poi Colin Powell in diretta mondiale rese una star del terrorismo, aumentandone i seguaci. L’inutile guerra in Iraq e la clamorosa disorganizzazione del post conflitto hanno fatto il resto. Il Califfo Al Baghdadi stesso, piuttosto imbranato in gioventù, sarebbe rimasto uno studioso di Islam se non fosse stato imprigionato dagli Usa a Camp Bucca, in Iraq, dove si è radicalizzato».
Anche lui, come Zarqawi, è diventato terrorista in cella. «Purtroppo è inevitabile. La Giordania pensava che tenere insieme tutti i soggetti a rischio avrebbe facilitato il controllo e invece. Ora l’Arabia Saudita sta provando un approccio più soft, circondando i potenziali jihadisti di familiari e imam moderati. Vedremo se porterà risultati».
Morto il Califfato, come ridare pace al Medio Oriente? «Con gli Stati etnici. È dura dirlo ed è molto difficile realizzarlo in pratica, ma dopo tutto il sangue versato tra sunniti, sciiti, curdi, alawiti e altre fazioni negli ultimi anni, credo che l’unica soluzione possibile per la pace e la convivenza in Medio Oriente sia dividere almeno Siria e Iraq in parti, in base a etnia e religione. Soltanto così possiamo arrivare a una tregua, almeno temporanea».
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