Perché non fanno come l’Egitto
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: Abdel Fattah Al Sisi
Cari amici,
mentre aspettiamo che la nuova amministrazione americana scelga i suoi dirigenti, precisi le sue politiche e insomma diventi operativa – ci vorranno due mesi, e nel frattempo bisogna sperare che Obama non cerchi un colpo di coda contro Israele – vale la pena di guardare da vicino nel Medio Oriente per capire che cosa succede. Oggi vi parlo dell’Egitto, che è un protagonista importante e di cui da noi in genere si sa poco. Se volete, un’occasione per parlarne c’è, è appena trascorso il trentanovesimo anniversario della pace con l’Egitto, segnata dalla sorprendente e coraggiosa visita a Gerusalemme di Sadat (qui c’è un bel video: https://unitedwithisrael.org/watch-39-years-since-sadats-historic-visit-to-jerusalem/).
La pace con l’Egitto ha attraversato periodi molto difficili, per esempio durante la presidenza Morsi, quando con la complicità più o meno dichiarata del regime della Fratellanza Musulmana Hamas riceveva tranquillamente armamenti dal Sinai e in cambio il gasdotto che riforniva Israele e anche la Giordania attraverso lo stesso Sinai veniva continuamente sabotato. Ma la pace ha tenuto anche in questi momenti molto difficili e oggi le relazioni fra Israele ed Egitto sono “al più alto livello della storia” (https://www.algemeiner.com/2016/11/21/political-analysts-egypt-israel-relations-at-highest-level-in-history/). Vi è collaborazione nella lotta al terrorismo dell’Isis in Sinai, nell’isolamento del regime di Hamas a Gaza, nella politica regionale.
In realtà la situazione è più complessa di come pensassero gli esperti qualche mese fa. Lo schieramento sunnita moderato che doveva organizzarsi al rapporto fra Egitto e Arabia Saudita contrapponendosi all’estremismo pro-Isis di Turchia (appena mascherato) e di Qatar, non ha retto al ritiro americano voluto da Obama. L’Egitto, che è in gravissima difficoltà economica e civile, sta percorrendo una strada di alleanza con la Russia (https://southfront.org/the-geopolitics-of-russia-egypt-relations/), con cui di recente ha concluso un accordo da 25 miliardi di dollari per una collaborazione nucleare (http://www.reuters.com/article/us-egypt-russia-nuclear-idUSKCN0YA1G5) e ha condotto esercitazioni militari in comune. L’Egitto ha anche votato all’Onu con la Russia in sostegno di Assad, suscitando l’ira dell’Arabia Saudita (http://www.middleeasteye.net/news/saudi-anger-egypt-votes-russia-un-vote-1258726322) che gli ha sospeso le preziose esportazioni di petrolio e i rispettivi finanziamenti (http://www.bloomberg.com/news/articles/2016-11-07/saudi-aramco-suspends-egypt-s-oil-shipments-until-further-notice), mettendo in dubbio il finanziamento di 6 miliardi di dollari che gli aveva promesso.
Al Sisi con Vladimir Putin
Insomma la dinamica delle cose porta l’Egitto sempre più nell’orbita russa, con il risultato che fra il controllo diretto di Siria e quello indiretto del Libano, il patto di non aggressione con Israele e ora anche con la Turchia, l’alleanza in costruzione con l’Egitto, il tradizionale buon rapporto con la Grecia e la Libia in totale disfacimento, la parte orientale del Mediterraneo rischia di diventare un lago russo, fino alle nostre coste. Vedremo se Trump avrà la volontà politica di rovesciare questo stato di cose (ma è certamente un’operazione assai difficile) o di riconoscerla come un fatto. Certo che un’espansione simile della Russia non c’era mai stata, neanche ai tempi migliori dell’Unione Sovietica. E questo è un altro disastroso lascito di Obama.
E’ probabile però che questa situazione non cambi i rapporti fra Egitto e Israele, anche perché Netanyahu ha capito da tempo le implicazioni della politica di Obama ed è riuscito a costruire un rapporto di non conflittualità con Putin, almeno sul piano regionale. Anche i rapporti con la Russia sono i migliori di sempre. Restano da interpretare altri segnali di politica interna egiziana. Di recente la corte di cassazione egiziana ha commutato in pene detentive minori due delle condanne (una a morte e una all’ergastolo) inflitte all’ex presidente Morsi. Dato che cose del genere in un paese dittatoriale come l’Egitto non accadono senza la volontà del governo, ci si può chiedere se vi sia una prospettiva di indulgenza del regime ben stabilizzato o qualcosa di più, un possibile accordo con la Fratellanza. Difficile capire. Com’è difficile capire se bisogna prendere sul serio i segnali di possibile apertura con Hamas segnalati da qualche media (http://www.timesofisrael.com/is-egypt-easing-its-blockade-on-gaza-and-patching-up-with-hamas/, http://www.timesofisrael.com/is-egypt-easing-its-blockade-on-gaza-and-patching-up-with-hamas/). Si tratta però di un’ipotesi ricorrente, di cui si parlava già sei mesi fa (http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/03/hamas-visit-egypt-renew-relationship.html) e nel 2015 (http://www.haaretz.com/opinion/.premium-1.660760) senza che in realtà ne seguisse alcunchè.
Resta il fatto che la pace, ormai entrata nel quarantesimo anno tiene, non appare minacciata ma anzi è meno fredda che mai. Questo dimostra che Israele può fare la pace con i vicini arabi, se questi rinunciano alla sua distruzione; che se la volontà è seria essa supera le crisi; che Israele è un soggetto affidabile, che non approfitta delle crisi dei vicini per espandersi, ma anzi è stato disposto a sacrificare tutto il Sinai (che era sotto il suo controllo dopo le ultime guerre con l’Egitto). Ci vuole però la volontà politica, bisognerebbe che Abbas facesse come Sadat, dicesse per davvero a Israele che vuol fare la pace con lui, accettandolo per quello che è, lo stato del popolo ebraico sui suoi territori ancestrali. Ma Abbas non si sogna di farlo, non solo perché ha paura di finire ucciso come Sadat e come tutti gli statisti arabi che hanno tentato la pace con Israele, ma anche perché il suo preteso popolo esiste solo in funzione della guerra contro gli ebrei e si sfascerebbe il giorno dopo la pace, perché gli interessi delle diverse tribù che controlla sono divergenti (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_opinion.php?id=17707), mentre l’Egitto è uno stato vero. E Netanyahu ha un bell’invitare l’Autorità Palestinese a fare come l’Egitto (https://worldisraelnews.com/netanyahu-palestinians-not-headed-towards-peace/). Non accadrà. E le sofferenze della popolazione araba insediata in Giudea e Samaria e a Gaza continueranno finché questa dirigenza purtroppo insediata in seguito agli accordi di Oslo, continuerà a perpetuarsi speculando sulla guerra e sull’odio.
Ugo Volli