Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/11/2016, a pag. 21, con il titolo "Erdogan volta le spalle alla Ue: 'Meglio patti con Russia e Cina' ", la cronaca di Giodano Stabile.
Giodano Stabile
Recep Tayyip Erdogan con Vladimir Putin
Sembra la «politica dei due forni» vantata un tempo da Giulio Andreotti, ma è un gioco geopolitico molto più vasto che mette in discussione gli equilibri mondiali. Recep Tayyip Erdogan alza la posta con Bruxelles, la sfida apertamente sulla pena di morte e sulla repressione del dissenso curdo, e intanto invita i connazionali a non «fissarsi» con l’ingresso nell’Unione europea perché «l’alternativa c’è» e si trova in Asia, nell’alleanza fra Cina, Russia ed ex repubbliche sovietiche che presto potrebbe aprire le porte ad Ankara. Con la minaccia di cambiare campo, il presidente turco cerca di ottenere in Occidente il via libera alla sua politica nazionalista e neo-ottomana, già alla prova in Siria con l’occupazione di una fascia di territorio nel Nord e i bombardamenti dei guerriglieri curdi dello Ypg. Ma rischia di trovarsi isolato perché in Europa cresce la spinta a «congelare i negoziati di adesione».
Al ritorno dalla sua visita in Uzbekistan, due giorni fa, il presidente turco ha tracciato le linee strategiche parlando con i giornalisti sull’aereo: «La Turchia non deve essere “fissata” con l’Ue – ha sintetizzato -. Abbiamo alternative all’ingresso nel mercato unico e una può essere il Patto di Shanghai». La Shanghai Cooperation Organization (Sco) comprende Russia, Cina e quattro repubbliche dell’Asia centrale, turcofone e alleate naturali della Turchia. L’Iran partecipa come osservatore. Anche se non è strutturato in senso confederale come l’Ue, il «Patto di Shanghai» è potenzialmente un mercato enorme, con un Pil complessivo di quasi 15mila miliardi di dollari, e prevede anche cooperazione a livello militare e di lotta al terrorismo. E soprattutto non mette paletti in materia di rispetto dei diritti umani. L’ideale per la visione di Erdogan.
Il leader turco è convinto che l’Europa non capisca fino in fondo la minaccia terroristica. L’Isis, le organizzazioni curde come il Pkk e lo Ypg, e la confraternita del presunto golpista Fetullah Gulen, vanno posti sullo stesso piano. Lo ha ribadito ieri all’Assemblea parlamentare della Nato a Istanbul, dove ha detto di aspettarsi il sostegno dei Paesi dell’Alleanza nella lotta contro «tutti i gruppi terroristici». Il ministro della Difesa Fikri Isik è stato ancora più esplicito e ha chiesto al segretario generale Jens Stoltenberg di fare pressione su tutti gli alleati perché respingano le richieste di asilo degli ufficiali fuggiti dalla Turchia dopo il fallito golpe del 15 luglio. L’ondata della terribile repressione, con 35 mila arresti e oltre 100 mila persone allontanate dal posto di lavoro, arriva quindi anche in Europa.
Erdogan con Xi Jinping
Sono soprattutto le incarcerazioni politiche a preoccupare. Ieri una delegazione del Partito socialista europeo è arrivata davanti al famigerato carcere di Edirne, dove fra gli altri è detenuto il leader del partito curdo Hdp Selahattin Demirtas, chiuso in una cella con sospetti jihadisti. Agli eurodeputati è stato impedito di visitarlo. Per Pia Locatelli, presidentessa del Comitato sui diritti umani della Camera, gli arresti dei parlamentari curdi «servono a cambiare la composizione» dell’Assemblea turca e così aprire la strada alla riforma costituzionale in senso presidenziale, che deve essere approvata con una maggioranza qualificata. Secondo i socialisti europei è giunto il momento di «congelare i negoziati di adesione della Turchia».
Un rischio che Erdogan mette in conto. La pacificazione con la Russia di Vladimir Putin ha rilanciato accordi economici da decine di miliardi, come la costruzione del gasdotto Turkish stream e di centrali nucleari. Un antipasto di quello che potrebbe arrivare con l’adesione al Patto di Shanghai. Prima però lo Zar e il Sultano devono mettersi davvero d’accordo sulla Siria. Putin sembra disposto a sacrificare i curdi, pure in questo momento alleati di Bashar al-Assad. Ma non può spingersi molto più in là senza mettere in gioco la sua politica mediorientale.
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