Se 4.647 attacchi vi sembran pochi
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: la road map verso la pace dei terroristi di Hamas
Cari amici,
una buona notizia: nei giorni scorsi la polizia di Gerusalemme ha comunicato che il numero degli attacchi terroristici nell’anno in corso è diminuito nella capitale di Israele del 40% (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/220328). Sebbene ci siano stati parecchi attentati clamorosi, l’ultimo un mese e mezzo fa quando un terrorista ha aperto il fuoco a Ammunition Hill, uccidendo Levana Melihi e Yosef Kirme, la violenza è più che dimezzata. Questo prova che non c’è stata affatto una “intifada” o sollevazione popolare, come pretendevano i palestinisti, ma solo una serie di attacchi di individui che non erano affatto “lupi solitari” isolati, perché sempre connessi a reti di social media, se non direttamente alle organizzazioni terroriste come Hamas e Fatah e comunque sobillati da vecchi e nuovi mezzi di comunicazione. Ma non erano neanche la massa degli arabi, che hanno probabilmente visto con simpatia l’ondata di violenza e però si è guardata bene dal parteciparvi. E’ importante distinguere il terrorismo puro e semplice dalle sommosse popolari, non solo perché l’entità della minaccia è assai diversa, ma anche perché il loro senso politico è tutt’altro.
Dunque c’è stata un’ondata terroristica, che è in fase calante, anche se la si considera dal punto di vista storico. “Dagli accordi di Oslo (settembre 1993) fino al settembre 2000 - quasi 300 israeliani sono stati uccisi in attacchi terroristi. Durante la “II intifada” (settembre 2000 - dicembre 2005) altri 1.100 israeliani furono assassinati. Dal dicembre 2005, gli attacchi terroristici palestinesi sono costati almeno altre 203 vite israeliane. Secondo i dati raccolti dal Shin Bet, il 2015 è stato l'anno più letale per il terrorismo dal 2008. Ventotto persone sono state uccise in attacchi terroristici contro Israele nel corso del 2015: due stranieri, un palestinese, tre membri dei servizi di sicurezza israeliani, e ventidue civili.” (http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Terrorism/victims.html, dove si trova anche un elenco delle vittime da Oslo in poi e una breve descrizione delle circostanze dei crimini terroristici; qui potete consultare un elenco più dettagliato degli attacchi recenti, inclusi i più importanti non letali: http://mfa.gov.il/MFA/ForeignPolicy/Terrorism/Palestinian/Pages/Wave-of-terror-October-2015.aspx). E’ vero che il 2015 è stato l’anno recente più sanguinoso, ma si può paragonare al 2008, non ai terribili 2001 e 2002. E ci sono stati negli scorsi due anni solo due attentati esplosivi suicidi (la modalità più efferata del terrorismo palestinista) contro le centinaia di quegli anni (https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Palestinian_suicide_attacks).
Yaffa Ariel, che dormiva nella sua cameretta a Kiriat Arba, assassinata da terroristi
Beninteso, non è una consolazione. Le vittime sono morte, sono state ferite, hanno perso familiari, magari hanno dovuto sparare e uccidere per difendersi, il che è certamente un trauma per persone normali come gli israeliani che non si esaltano certo al sangue come gli esaltati terroristi. Vi sono stati episodi tristissimi, come l’assassinio di una bambina appena adolescente, Yaffa Ariel, che dormiva nella sua cameretta a Kiriat Arba, vicino a Hebron, ad opera di un giovane terrorista arabo. Ma questo tipo di crimini si combatte innanzitutto mostrandone l’inutilità, sconfiggendoli dunque non solo sul piano tattico dello scontro immediato (il che è avvenuto, perché sono stati pochissimi i terroristi che non siano stati abbattuti o arrestati durante il loro crimine o immediatamente dopo), ma anche strategicamente. Chi ha dato il via, appoggiato e sostenuto questo terrorismo “a bassa intensità”, cioè tutto il movimento palestinista, da Abbas ai suoi concorrenti di Hamas, ai media, gli intellettuali, i politici, i religiosi, giù giù fino ai filopalestinisti occidentali, sperava di scoraggiare gli israeliani, di terrorizzarli e al tempo stesso di demonizzare Israele richiamando l’attenzione sulla loro lotta. Questo non è avvenuto, gli attentati si sono dimostrati inutili e questo fallimento, insieme all’azione delle forze dell’ordine – in particolare l’unità di intelligence Lahav 443: http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Terrorist-attacks-in-Jlem-down-40-percent-since-last-year-472744 - e alla capacità di autodifesa dei cittadini israeliani spiega il calo dell’ondata terroristica.
Prima di chiudere questo discorso, vale però la pena di valutarne l’intensità: non è stata una sollevazione, vi dicevo, ma solo un acuirsi del terrorismo quotidiano che è cresciuto in Israele soprattutto dopo gli accordi di Oslo (checché ne dicessero e continuino a dirne quelli che li hanno presentati come la strada della pace…). Ma non è stata per nulla una cosa minore, soprattutto se si considerano, oltre agli accoltellamenti e agli spari, anche gli altri tipi di assalto. Guardate i numeri forniti dalla polizia in questa stessa occasione: nel 2015, solo a Gerusalemme ci furono 4.647 attacchi con pietre (non solo sassaiole, ma anche getti omicidi di massi sulle automobili e sulla metropolitana leggera; nel 2016 furono “solo” 2.844 ; nel 2015 gli attacchi con le bombe molotov furono 741; nel 2016, 432 (http://www.israelhayom.com/site/newsletter_article.php?id=38009). Dunque quasi 13 attacchi con le pietre e due con le molotov al giorno nel 2015; 8 con le pietre e poco più di uno con le molotov nell’anno in corso. Lo ripeto, solo a Gerusalemme, senza considerare quel che è accaduto nel resto del paese. Vi sembra poco? Ma Israele ha retto, ha tenuto i nervi saldi, è stato capace di bloccare i malintenzionati. Che a quanto pare, stanno lentamente abbandonando questo tipo di terrorismo, come fecero con gli attacchi militari in massa dopo il ‘73, coi dirottamenti aerei negli anni Novanta, con le cinture esplosive dopo il 2003. Non che non li usino ancora, questi arnesi di morte; ma solo occasionalmente, perché sono stati convinti – con la forza - che non funzionano. Questo è ciò che conta.
Ugo Volli