Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano di novembre 2016, a pag. 6, con il titolo "La Spagna e gli ebrei, tra vecchi pregiudizi e 'legge del ritorno'. Può una storia dolentissima e funesta finire con un happy end?", l'analisi di Carlotta Jarach.
Carlotta Jarach
Una manifestazione antisemita in Spagna
Nelle strette viuzze affollate di turisti, a Cordoba, Siviglia o Granada, le antiche juderie esibiscono oggi linde facciate bianche, eleganti balconi in ferro battuto, fiori alle finestre, lussuosi appartamenti e ristoranti alla moda. Tutto appare immemore del passato dolente di queste pietre. Di ebraico qui è rimasto poco o nulla, se non i toponimi delle vie e la statua di Maimonide, con annesso museo, a Cordoba. Ma il viaggiatore ebreo che visita questi quartieri conosce quello che fu il prezzo dell’esilio del 1492 e l’amara parabola di Sefarad, con i suoi marrani o conversos, gli statuti di limpieza de sangre, la fuga o l’abiura: un’altra pagina criminale della storia d’Europa.
Da allora è passato mezzo millennio e in questa Spagna che fu così cattolica - e che usò gli ebrei per cementare intorno alla monarchia il sentimento di unità nazionale-, in questa Spagna oggi democratica, aperta, creativa ed europea, qualcosa inspiegabilmente sopravvive di quella antica avversione, un pregiudizio irrazionale ancora duro a morire. Ma prima di affrontare l’oggi, diamo uno sguardo al passato. Da dove viene la parola Sefarad? È nell’ottavo secolo dell’E.V. che nel libro del profeta Ovadia compare per la prima volta questo nome a indicare la Spagna e i sefarditi in quanto ebrei che vi abitavano. Una terra apparentemente vicina, ma profondamente lontana, da quando i sovrani cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella la cattolica costrinsero oltre 800.000 ebrei a lasciare le loro case, i loro affetti, la loro lingua, secoli di esistenza in quella terra. Siamo nell’annus terribilis 1492 ed è con l’Editto di Granada che inizia la diaspora sefardita, che continuerà fino al 1858, anno dell’annullamento dell’editto. Prende così il via un periodo buio lungo più di 300 anni, fatto di marrani, di conversioni forzate, auto da fè, lutti, lacerazioni, infamie, abbandoni.
Quella stessa terra che era stata la patria di Rambam-Maimonide, terra simbolo della collaborazione tra le tre grandi religioni monoteiste, era diventata in pochi secoli la trappola mortale per quei pochi ebrei che vi erano rimasti ancorati. Un antisemitismo quasi infinito, tanto che negli anni Venti del XX secolo gli ebrei, nell’immaginario comune, altro non erano che dei complottisti-cospiratori; la situazione non migliorò certo sotto Francisco Franco, che si serviva dell’antisemitismo quale nucleo di propaganda, accanto ad un disconoscimento totale dello Stato di Israele. Si dovrà aspettare il 1986 perché la Spagna riconosca il piccolo stato mediorientale, e la morte del Generalissimo perché i cittadini ebrei riacquistino pieni diritti.
Ma qual è la situazione oggi? Secondo diversi censimenti, in territorio spagnolo gli ebrei sono circa 50 mila, di cui solo 30 mila formalmente iscritti nelle comunità ebraiche. Si tratta di un numero irrisorio, meno dello 0.1% dell’intera popolazione spagnola. un antisemitismo (quasi) senza ebrei Nel paese della Santa Inquisizione permane ancora l’antigiudasimo? Davvero si può parlare di un antisemitismo quasi senza ebrei? Sembrerebbe di sì. Anche perché, non dimentichiamolo, la Spagna non ha partecipato alla Seconda Guerra Mondiale e non ha conosciuto la Shoah, ivi compresi gli anticorpi e l’atteggiamento vigile che il resto dell’Europa, nel dopoguerra, ha sviluppato nei confronti del sentimento antisemita. Secondo uno studio del 2008 pubblicato dal Pew Research Center di Washington DC, i pregiudizi sono lungi dall’essere un ricordo: quasi la metà degli spagnoli (46%) nutre diffidenza nei confronti dei compatrioti ebrei, rendendo di fatto il Paese, secondo gli esperti, tra i più antisemiti a livello europeo. I dati risultano ancora più sconfortanti se si tiene conto del fatto che la percentuale è più che raddoppiata nell’arco di tre anni (nel 2005 era infatti il 21 per cento).
La penisola iberica, ancora oggi, è permeata da sussulti tardivi di quell’antisemitismo che per molti forse è solo un ricordo: ce lo dice l’agenzia dei diritti fondamentali dell’UE (Fundamental Rights Agency, FRA), che nel giugno del 2012 aveva pubblicato un report sulla situazione europea del decennio 2001-2013. In Spagna, tra il 2009 e il 2011, vi è stato un aumento del numero di episodi antisemiti, soprattutto riguardo la delegittimazione di Israele. Si è passati da 19 a 30 casi, suddivisi tra dichiarazioni su Internet o media, attacchi a proprietà, attacchi a persone, banalizzazione della Shoah, delegittimazione di Israele, incidenti o istigazione all’antisemitismo. Certo, siamo lontani dai numeri di Francia e Inghilterra, dove i casi sono nell’ordine delle centinaia, ma va tenuto conto che qui, quasi, non ci sono ebrei. Uno degli episodi che fece molto scalpore nella stampa internazionale fu quello degli attacchi alla squadra israeliana Maccabi-Tel Aviv durante gli europei di pallacanestro, nel maggio del 2014.
Tre anni dopo, nel 2016 abbiamo assistito alla triste replica, esattamente nella stessa occasione, quando il Maccabi fu di nuovo bersagliato da tweet antisemiti per la vittoria in EuroLeague5. sondaggi e Anti Defamation League Per comprendere al meglio la situazione europea, la ADL americana (Anti Defamation League) ha svolto una serie di sondaggi in numerosi Paesi europei, seguendo il modello più volte validato negli USA, fin dal 1964. La metodologia di ADL constava nell’utilizzare l’Antisemitism Index, ovvero 11 statements sviluppati dall’Università della California che offrono un validato strumento analitico per identificare il problema. Ogni intervistato doveva identificare quanto si ritenesse vicino a un grappolo di undici affermazioni: viene così definito “most antisemitic” (“più antisemita”) colui il quale è persuaso della fondatezza della maggior parte degli stereotipi negativi riguardo agli ebrei. Ad esempio, l’ebreo strozzino che controlla i mercati mondiali, fondamentalmente egoista e attaccato a denaro e potere. I dati della ADL mostrano una Spagna in cui i sentimenti di invidia sociale hanno portato nel decennio 2002-2012 ad un aumento netto dei pregiudizi antisemiti. Primo tra tutti, basti notare il preoccupante 25 per cento degli spagnoli che nel 2009 riteneva gli ebrei responsabili del crollo finanziario del 2008 col caso Lehman-Brothers (vedi le infografiche nella pagina precedente).
La percentuale dei “most antisemitic” ha subito una drammatica impennata, raddoppiando dal 2004 al 2012 (dal 24% al 53%). Nell’opinione del 72 per cento degli spagnoli, gli ebrei sono più leali a Israele che alla Spagna, - e ciò rappresenta un’onta, in un paese nazionalista come la Spagna-; inoltre, è da sottolineare quanto ancora siano radicati gli stereotipi riguardo all’influenza che gli ebrei avrebbero nei mercati e nell’economia, nonché la stantia accusa di deicidio, ritenuta ancora vera dal 20 per cento della popolazione. zapatero con la kefiah E se il tessuto sociale è incredibilmente intriso di antisemitismo, la situazione certo non migliora quando sono le stesse istituzioni a remare contro: Zapatero era ben noto infatti per il suo essere anti israeliano, come quella volta che se ne uscì dicendo: «È comprensibile che qualcuno possa giustificare la Shoah». O come quando, durante la guerra in Libano, indossava la kefiah ad eventi pubblici, per non parlare dei suoi numerosissimi rifiuti a visitare Israele. In questo clima sono molti i fatti di cronaca che confermano la veridicità degli studi e che seguono quello che sembra essere un antisemitismo endemico, mai veramente cambiato in 500 anni: è notizia dei primi mesi del 2016 l’azione legale da parte della Comunità di Madrid contro il giornale satirico El Jueves, che da Barcellona si accaniva pesantemente con vignette contro gli ebrei e contro Israele, spesso utilizzando il rimando alla Shoah come veicolo di denuncia pro-palestinese.
A sfogliare quelle pagine, si tocca con mano quanto la teoria del complotto demo-pluto-giudaico-massonico sia lontana dall’essere stata superata. Oggi, in Spagna, ci si mette pure il BDS a complicare le cose: come riporta il The Times of Israel, nell’agosto del 2016 erano oltre 50 le municipalità spagnole che approvavano il movimento di boicottaggio anti israeliano “Boycott Divestment and Sanctions”. la “legge del ritorno” spagnola Gli ultimi dati facenti riferimento al 2014 e al 2015 sembrano però rincuoranti: si assiste infatti a una drastica diminuzione della percentuale dei “most antisemitic”. Dal 53 per cento del 2009 si è passati al 29 per cento, sia nel 2014 sia nel 2015. Qualcosa sembra quindi muoversi: tra le iniziative che fanno ben sperare, quella di alcuni legislatori spagnoli che si stanno muovendo per promuovere una miglior consapevolezza riguardo Shoah e antisemitismo. Che questo trend positivo sia il risultato della legge “del ritorno” spagnola? Forse sì. Molti ricorderanno infatti il progetto diventato legge ed entrato in vigore nel 2015, che prevedeva la concessione della cittadinanza spagnola a tutti i discendenti di quegli ebrei cacciati alla fine del XV secolo. Chissà che questo non sia finalmente l’inizio di un amaro ritorno a casa.
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