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La Stampa Rassegna Stampa
15.11.2016 Ecco la giustizia italiana: non è reato esaltare il 'martirio jihadista'
Cronache di Federico Capurso, Francesco Grignetti

Testata: La Stampa
Data: 15 novembre 2016
Pagina: 17
Autore: Federico Capurso - Francesco Grignetti
Titolo: «La Cassazione: non è reato esaltare il martirio jihadista - Sudan, arrestato Fezzani: 'E' il reclutatore Isis in Italia'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/11/2016, a pag. 17, con il titolo "La Cassazione: non è reato esaltare il martirio jihadista", la cronaca di Federico Capurso; con il titolo "Sudan, arrestato Fezzani: 'E' il reclutatore Isis in Italia' ", la cronaca di Francesco Grignetti.

Per i giudici italiani "solo proselitismo e indottrinamento" non giustificano una condanna. I quattro estremisti islamici sono perciò assolti. Ne riparleremo al prossimo attentato. Meglio aspettare che facciano esplodere un bar, un supermercato, una discoteca o ammazzino qualche ebreo prima di procedere all'arresto, no?

Ecco gli articoli:

Federico Capurso: "La Cassazione: non è reato esaltare il martirio jihadista"

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Dare lezioni sulla bontà del martirio in nome della jihad, per la Cassazione, non deve essere considerato come reato di terrorismo internazionale di matrice islamica. La decisione, destinata a far discutere, è espressa nelle motivazioni relative alla sentenza di assoluzione per quattro presunti jihadisti della moschea di Andria, in Puglia, pubblicate nel giorno in cui viene data notizia dell’arresto di Abu Nassim, il presunto reclutatore dell’Isis tra il Nord Africa e l’Italia.

Gli imam e i loro seguaci che - spiegano i giudici dell’Alta corte - intendessero intraprendere un’attività di proselitismo «finalizzata a indurre una generica disponibilità a unirsi ai combattenti per la causa islamica e a immolarsi per la stessa», non compiono reato di terrorismo se la «formazione teorica» degli aspiranti martiri non è affiancata anche «dall’addestramento al martirio di adepti da inviare nei luoghi di combattimento». L’indottrinamento, secondo i supremi giudici, «può costituire senza dubbio una precondizione, quale base ideologica, per la costituzione di un’associazione effettivamente funzionale al compimento di atti terroristici, ma non integra gli estremi perché tale risultato possa dirsi conseguito». Per questo, chi si dedicasse «solo al proselitismo jihadista» non rischierebbe una condanna ma «misure di prevenzione come l’espulsione».

Non è la prima volta che la Cassazione è chiamata ad esprimersi in materia di terrorismo di matrice islamica. Già nel 2015, in seguito all’arresto di un ragazzo albanese accusato di essere un reclutatore dell’Isis, i togati avevano dovuto fare chiarezza sul significato del termine «arruolamento» in campo terroristico.
Il tribunale di Brescia in assenza di prove sulla sua adesione all’Isis, aveva optato per il semplice «proselitismo» ma la Cassazione decise che «il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo non implica né presuppone l’esistenza di un regolare esercito». Piuttosto, il termine «arruolamento è equiparabile alla nozione di ingaggio, intesa come raggiungimento di un “serio accordo” tra soggetto che propone e il soggetto che aderisce».

La discriminante tra «proselitismo» e «reclutamento» è fondamentale: nel primo caso si rischia l’espulsione, nel secondo il carcere. Conseguenze sulle quali è intervenuto anche «l’International center for the study of radicalisation and political violence» con la pubblicazione di uno studio. Il think tank londinese sostiene che il 27% degli jihadisti presi in esame è stato radicalizzato in carcere, mentre il 57% era stato in prigione prima di avvicinarsi ad ambienti radicalizzati. Ed è qui, in prigione - sostiene lo studio britannico -, che negli ultimi due anni lo Stato Islamico ha concentrato i maggiori sforzi per reclutare nuovi adepti.

Francesco Grignetti: "Sudan, arrestato Fezzani: 'E' il reclutatore Isis in Italia' "

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Francesco Grignetti

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Moez Ben Abdelkade Fezzani

Era uno dei terroristi islamici in cima alla lista dei ricercati, il tunisino Moez Ben Abdelkade Fezzani, alias Abu Nassim, già reclutatore di martiri in Italia per conto di Al Qaeda, poi riconvertitosi al Califfato, da ultimo capocellula nella città libica di Sabratha. L’hanno preso a Kartoum, in Sudan. L’intelligence italiana, e non solo, lo braccava da quando avevano scoperto che aveva architettato lui la strage al museo del Bardo di Tunisi - era il 18 marzo 2015: un gruppo di jihadisti uccise 24 persone, tra cui 4 turisti italiani - e poi alla spiaggia dell’hotel Imperial di Sousse, il 26 giugno 2015, con 39 morti, quasi tutti turisti inglesi.

Se nell’estate scorsa alcune fonti libiche lo avevano dato per catturato nel deserto fuori Sabratha, portando fuori strada i media, l’intelligence al contrario seguiva i suoi spostamenti verso il Sudan perchè lo monitorava con lo spionaggio elettronico e seguiva le sue telefonate. Era chiaro che Fezzani stava tentando assieme alla moglie di tornare nel territorio del Califfato tra Iraq e Siria. Una classica operazione da 007: lo hanno lasciato fare per un po’ perché volevano ricostruire la sua rete di contatti, specie se «italiani»; quando hanno pensato che non c’era più nulla da scoprire, è stata tirata la rete.

Fezzani è una vecchia conoscenza dell’Italia. Dopo un periodo di vagabondaggio borderline, trova la fede frequentando la moschea di viale Jenner a Milano e sposa la causa della Guerra Santa. Raccontò al magistrato che lo interrogava: «Ho vissuto a Milano, Napoli, Bolzano e Valle d’Aosta. A Napoli ho fatto il bracciante, a Milano ho venduto eroina e hashish prima di diventare un uomo pio e religioso». Questo interrogatorio giunge però con ampio ritardo sui fatti. Tra il 1997 e il 2001, infatti, fa parte di una cellula del Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento che reclutava uomini da inviare nei Paesi in guerra. Raccontano che andasse per giardinetti ad avvicinare immigrati tunisini, marocchini, pakistani, che poi avrebbe accompagnato in moschea e alla fine instradato per l’Afghanistan. Quando la polizia italiana lo va a prendere, nel frattempo è svanito. Alcune tracce portano nei Balcani. Poi in Pakistan. Qui gli americani lo arrestano grazie a una soffiata e finisce nel temibile carcere di Bagram.

Trascorsi quasi 10 anni, Fezzani giunge in Italia dove è sotto processo e però, per via di un complicato pasticcio giuridico, potrebbe essere scarcerato. Prima che esca dal carcere, il ministero dell’Interno lo espelle verso la Tunisia. Gli riesce una fuga rocambolesca in vista dell’aeroporto; tre giorni dopo lo arrestano di nuovo e lo portano finalmente a Tunisi. Fine della storia? No, un anno dopo è in Siria, dove combatte con la divisa nera del Califfo. Poi si scopre che è divenuto capocellula a Sabratha, in Libia. A marzo 2016, un raid aereo chiude la sua avventura libica. Fezzani torna ad essere un uomo in fuga. Lo hanno preso i sudanesi ieri. E ora c’è una gara tra Italia e Tunisia per l’estradizione.

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