Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/11/2016, due recensioni. di Susanna Nirenstein e Franco Marcoaldi
La Repubblica-Susanna Nirenstein- Un seduttore nella Budapest occupata dai nazisti"
Ferenc Karinthy
Susanna Nirenstein
Ha qualcosa di Kafka, di folgorante, assurdo, appuntito, questo romanzo di Ferenc Karinthy, ebreo ungherese (1921-1992), linguista, sceneggiatore, giornalista, traduttore, campione di polo (!), brevemente filocomunista e poi dissidente, il cui padre Frigyes Karinthy (1887-1938) era un famosissimo scrittore burlesco venerato dai connazionali, dal motto «con lo humour non si scherza», come ricorda Marion van Renterghem nella postfazione. E il nostro Tempi felici con lo humour non scherza affatto. Non è surreale come il suo Epepe dove un linguista si ritrova in una città in cui si parla un idioma incomprensibile e irrazionale che rimanda alla perversione del totalitarismo. Qui siamo in piena Storia, nel dicembre 1944, nella Budapest occupata dai nazisti. I russi sono alle porte. Piovono bombe. Gli ebrei sono ai lavori forzati, o deportati: ma da quando i sovietici bloccano le vie d’uscita, tedeschi e Croci Frecciate preferiscono portarli sul Danubio, legarli due a due e ucciderne solo uno perché trascini l’altro con sé tra i gorghi (in Ungheria gli ebrei uccisi furono 600.000). Karinthy dà per nota la situazione, quasi non la racconta, ma incombe, certo che incombe. È in questa Budapest che si aggira il giovane ebreo Jozsi Beregi, vivo a dispetto di tutto. Senza affanno si nasconde da Nelli, una prostituta, che lo adora. Si capisce che lui con le donne ci sa fare, le asseconda. Anche quando tutti si rifugiano nelle cantine in una convivenza forzata tra poveri e ricchi, musoni e chiacchieroni. Bisogna stare attenti alle spie, ma Beregi non se ne cura troppo. Delle signore soppesa rotondità e curve. Seduzione dietro seduzione. Intorno le mura tremano e crollano. Arriva una Croce Frecciata con un pistolone e dei sospetti su Beregi, lo porta via: verso il Danubio? Jozsi ha ancora una carta da giocare, socchiudere gli occhi, immaginarsela in sottabito nero e dirglielo. Chissà che non ne esca qualcosa. Noi guardiamo increduli. E poi? A guerra finita, una notizia riporterà Beregi alla realtà, o meglio alla sua vera identità. Delicato come Train de vie, geniale.
La Repubblica-Franco Marcoaldi:" L'ammirazion di Brodskij per Auden"
Su Repubblica di domenica scorsa, riprendendo un famoso saggio di Melanie Klein, Massimo Recalcati ci invitava a riflettere su un sentimento dilagante (l’invidia) a fronte del quale sembra scomparire o quasi la gratitudine. Sorella maggiore della gratitudine è l’ammirazione, che oltretutto rappresenta il miglior contravveleno all’invidia. Ma per dichiarare esplicitamente la propria ammirazione verso qualcuno o qualcosa, bisogna avere una personalità forte, non debole; bisogna conoscere lo slancio e la passione, non essere pavidi, timorosi. Né debole né timoroso era Iosif Brodskij, il poeta russo premio Nobel per la letteratura, che conobbe per la prima volta la poesia di W.H. Auden giusto in Russia, grazie a una sommaria antologia di poeti inglesi contemporanei. È un innamoramento immediato il suo, che si rafforzerà ulteriormente quando conoscerà di persona l’autore di quei versi. E dall’ammirazione nascerà un saggio memorabile, Per compiacere un’ombra, ora riproposto nello splendido volume di Poesie scelte di W.H. Auden (Adelphi, a cura di Edward Mendelson, traduzione di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica). Brodskij è consapevole del proprio talento, ma adesso pensa di avere incontrato un poeta e un uomo più grande di lui. Perciò, dopo la sua morte, decide di emularlo e per compiacere quell’ombra si mette a scrivere in inglese. Apprezza il modo in cui l’altro si esprime: «pacato, senza enfasi (…) quasi en passant ». È soggiogato dalla sua sprezzatura, da quella «metafisica travestita da senso comune », da quella faccia bonaria di medico-poeta che pare avere intuito come «a curare sia l’intonazione con cui si parla al malato », e la vera medicina le parole d’amore figlie della poesia. Non a caso Brodskij racchiude il senso ultimo del suo esercizio di ammirazione in due versi di Auden che suonano: «Se il sentimento all’equità è restìo / Quello che ama di più voglio esser io».
Per inviare a Repubblica la propria opinione, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante