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La Stampa Rassegna Stampa
08.11.2016 Rav Adolfo Locci e la musica ebraica fuori dalle sinagoghe
Cronaca di Sandro Cappelletto

Testata: La Stampa
Data: 08 novembre 2016
Pagina: 31
Autore: Sandro Cappelletto
Titolo: «'Porto fuori dalle sinagoghe i canti sacri della tradizione ebraica'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/11/2016, a pag. 31, con il titolo "Porto fuori dalle sinagoghe i canti sacri della tradizione ebraica", la cronaca di Sandro Cappelletto.

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Rav Adolfo Locci

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Non sono ebrei, ma suonano musica ebraica. Non il laico e travolgente klezmer, nato nei ghetti dell’Europa orientale, scomparso negli anni dello sterminio, sopravissuto negli Stati Uniti e ora diventato un patrimonio della contemporanea world music, ma i canti sacri delle sinagoghe. E non con la sola voce dei cantori, a volte accompagnata dall’organo, come impone la tradizione, ma con molti strumenti: pianoforte, violino, violoncello, flauto, oboe, fagotto, arpa.

«Ho sempre avuto la sensazione che la bellezza di questi canti fosse imbrigliata dall’assenza di strumenti e che il patrimonio musicale della liturgia ebraica dovesse essere presentato a un pubblico più vasto», racconta Adolfo Locci, rabbino capo di Padova, promotore di questa iniziativa inedita, e non solo all’interno della discussione riguardo la funzione della musica che anima oggi il mondo ebraico. «Se il rabbino è la mente di una comunità, il Chazzan, il cantore, ne è il cuore»: nato a Roma, docente di Storia dell’Ebraismo all’Università di Padova, Locci riveste i due ruoli ed è il fondatore del gruppo Shyrê Miqdash, «I canti del Tempio». Però il gruppo non si esibisce nel tempio durante la liturgia, ma in occasione di festival, di incontri interreligiosi, di fronte ai pubblici più diversi. Recentemente anche nella trecentesca Sala dei Giganti, cuore della storia di Padova, del suo sentirsi comunità cittadina.

«Trasmettono gioia»
I musicisti che lo accompagnano in questa avventura, sfociata ora in un primo disco, sono tutti professionisti: «Nessuno di loro è ebreo. Non è una scelta voluta, è successo così». Locci è persuaso che non sia necessario aderire alla religione ebraica per suonare questa musica: «Ascoltare i concerti di Shyrê Miqdash non richiede identificazione con la nostra religione, perché la religione non è uno strumento per identificarsi. La religione ebraica è la mia legge di vita, ma gli esseri umani devono identificarsi con la specie umana, la religione serve ad altro. La storia insegna che quando si è andati nella direzione di identificare un popolo, una nazione con la sua religione, sono nati molti problemi».

Gli Inni scelti dai Shyrê Miqdash hanno origini diverse: la maggior parte delle melodie provengono da antiche tradizioni orali di diverse comunità italiane, altre sono firmate da cabalisti del 1500, o da compositori vissuti tra Otto e Novecento. Tutte sono stati arrangiate da Fabrizio Durlo e tutte, nelle diversità delle occasioni per cui in origine sono nate, trasmettono esultanza.

Il compositore russo Dmitri Shostakovich amava la musica ebraica perché la sentiva vicina alla sua: in verità, non è mai come appare. Anche nei momenti di più coinvolgente allegria, sotto la superficie puoi sempre trovare una struggente malinconia. «Non in questo repertorio», commenta Locci. «Lo vediamo dalla reazione del pubblico, che partecipa della gioia che questi inni trasmettono. È una musica che, uscita dalla Sinagoga ed eseguita in contesti diversi, dimostra di possedere una vita propria». Come accade alla migliore musica sacra della tradizione cattolica e luterana, che non richiede un’identificazione di fede, e a tutti appartiene.

Nei brani scelti da Locci, in certe ricorrenti melodie, in alcune atmosfere sospese, si distinguono modelli che ritroviamo nella musica araba, andalusa, nord-africana, medio-orientale, in tanta tradizione popolare italiana ed europea. La musica come arcaica e ancora viva lingua madre, inestinguibile architrave che unisce, non divide, mondi. Dice lo storico della musica Pasquale Troia, collaboratore di Locci in questo progetto: «Il canto al Signore è un patrimonio di tutte le comunità. I nostri canti creano una fraternità e la cultura occidentale si è costruita su queste osmosi, dialoghi e soluzioni».

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Musica e canto nella mistica ebraica
, di Enrico Fubini (Giuntina ed.)

Musica e liturgia
Un’idea ripresa da Enrico Fubini nel libro Musica e canto nella mistica ebraica, quando parla di una universalità della musica e del legame tra musica, gioia ed estasi. Forse Dio, prima di essere parola e leggi, è stato musica, offerta a tutti gli uomini? Fubini affronta anche il rapporto esistente nel Talmud tra liturgia e musica: una relazione complessa, tollerante e insieme limitante, come lo è nell’Antico e nel Nuovo Testamento e nel Corano. La musica è una risorsa preziosa ma, proprio perché eccita le più diverse passioni, subisce l’intervento dell’autorità religiosa. Riflessioni che Locci ben conosce, e tuttavia non frenano la sua serena determinazione: «Il nostro è un esempio di condivisione. Per noi che cantiamo e suoniamo, per il pubblico che viene ad ascoltarci».
«Facci coricare in pace, Padre nostro, e facci alzare, Re nostro, in vita buona e in pace. Stendi su di noi la capanna della tua pace, e riparaci», dice un antico canto degli ebrei fiorentini, molto caro oggi agli Shyrê Miqdash.

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