Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/11/2016, a pag. 4, con il titolo "L’analisi di Bergoglio è antistorica, nega la radice religiosa del terrore", l'intervista di Giacomo Galeazzi a Domenico De Masi.
Ha ragione De Masi a sottolineare quanto sia inattuale, sbagliato, fuori tempo massimo il discorso di Papa Bergoglio sul terrorismo e l'islamismo. Separare il discorso sul terrorismo da quello sull'estremismo religioso non solo è un errore, ma anche il primo passo verso il cedimento definitivo al terrorismo islamico. Riternere che alla radice del terrorismo ci sia unicamente la povertà è falso e ipocrita.
Ecco l'intervista:
Giacomo Galeazzi, Domenico De Masi
Islamismo e la spada del politicamente corretto
"Bergoglio scambia l’Isis per le Brigate Rosse. La sua analisi poteva andare bene per la lotta di classe degli anni Settanta, ma oggi è un’assurdità negare la matrice religiosa del terrorismo e vederne solo quella economica e politica come facevano un tempo i teologi della liberazione". Il sociologo Domenico De Masi cita l’enciclica «Populorum progressio» di Paolo VI, ma precisa, «lì eravamo nel 1967 e c’era la rivolta sociale, non il fondamentalismo islamista che uccide in nome di Allah».
Cosa non la convince nel discorso di Papa Francesco?
«A livello scientifico nel terrorismo attuale sono state isolate diverse cause. Personalmente ho subito contrastato quegli studiosi che si rifiutavano di prendere atto dell’evidenza. La radice religiosa è talmente forte da rendere impossibile non vedere come stanno davvero le cose. Il Papa compie lo stesso errore di certi analisti, cioè nega che l’Isis combatta in nome di una visione di fede. La religione c’entra, anzi è uno dei motori principali della destabilizzazione».
E le disuguaglianze, invece, non creano le condizioni favorevoli alla diffusione del terrorismo?
«La parte più convincente del ragionamento del Papa in cui sostiene che lo sfruttamento e le speculazioni sono la causa degli squilibri politici e sociali dai quali derivano la guerra e il terrorismo. Però poi Francesco compie un passaggio logico che non trova conferme nella gran parte degli studi condotti a livello internazionale».
Qual è il punto debole, secondo lei, in questa ricostruzione?
«La valutazione di Bergoglio è palesemente sbagliata laddove si arrischia a sostenere che non si possa parlare di terrorismo religioso. La realtà dice il contrario. Appiattire la riflessione sul piano economico-politico e dei rapporti di potere è un tentativo infelice di ridurre la complessità del fenomeno».
Quindi il Papa fa un ragionamento troppo politico?
«Deterministico, direi. Bergoglio ha dimostrato altre volte di avere la vista più lunga dei governanti o dell’Onu, ma qui sovrappone piani diversi e indica meccanismi di causa ed effetto che non sono fondati».
Povertà e terrorismo non sono correlate a suo parere?
«È indubbio che mia figlia abbia più possibilità di realizzarsi nella vita rispetto ad un ragazzo che attraversa mezza Africa per arrivare dalla Mauritania in Italia e che magari si trova anche a doversi scontrare con un muro di discriminazioni e di ingiustizie sociali. Però lo studio dei focolai mondiali dimostra che non è automatico il passaggio dalla condizione sfavorevole al terrorismo».
Cosa manca nell’analisi?
«In una situazione soggettiva di grave svantaggio economico ci si abbandona in genere alla disperazione, alla rassegnazione alla depressione fino al suicidio. Per passare al terrorismo serve il coraggio di uccidere e farsi uccidere e questo non lo si acquisisce automaticamente con la povertà. È l’elemento individuale che manca nell’analisi economicistica della teologia della liberazione» .
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