Riprendiamo da SHALOM di novembre 2016, a pag. 22, con il titolo "La rinascita dell'ebraico", l'analisi di David Meghnagi.
David Meghnagi
E’ un anno particolarmente denso di significati per la recente storia dell’ebraismo. A Basilea, Theodor Herzl riunisce il primo congresso del movimento sionista. Nella zona di residenza coatta dell’Impero zarista, dove gli ebrei sono forzatamente concentrati, si riunisce il primo congresso del Bund. Il Bund è la prima organizzazione socialista nell’impero zarista. In quello stesso anno a Vienna, Sigmund Freud elabora la teoria dell’Edipo. Sullo sfondo del lutto per la perdita del padre, e in risposta all’antisemitismo dilagante a Vienna, Freud aderisce al movimento internazionale dei B’nai B’rith.
Dieci anni prima nel 1887 Ludwig Lazar Zamenhof, un ebreo polacco, gettava le basi a un utopico progetto di riconciliazione fra le genti, attraverso la creazione di una lingua complessa e allo stesso tempo facile da apprendere. L’anno dopo il padre della rinascita dell’ebraico moderno, Eliezer Ben Yehudah lanciava il suo appello perché l’ebraico fosse utilizzato come lingua parlata. La rinascita dell’ebraico, lo sviluppo dello jiddisch sono figli di una stessa vicenda storica, parte di un processo di rinascita e di riscatto dopo secoli di oppressione, che toccava ogni aspetto dell’esistenza, e hanno dei punti di contatto con la creazione dell’esperanto.
Non a caso l’autore della prima grammatica dello jidisch sia stato Zamenhof. Se lo jiddisch è il gergo materno di undici milioni d’ebrei, da cui ha preso origine una corposa letteratura e poesia moderne, l’ebraico è la loro radice più antica, il nucleo attorno a cui è stata conservata e sviluppata l’esistenza religiosa attorno alla sinagoga nel corso dei secoli. Per secoli, generazioni di studiosi hanno lottato perché l’ebraico non morisse come lingua e ne hanno arricchito il lessico, con parole e termini che resero possibile, nell’epoca dei Mori, la traduzione d’importanti opere filosofiche e la ricerca poetica per la composizione di opere liturgiche e profane. Il progetto di Eliezer Ben Yehudah, il padre della rinascita linguistica ebraica, non è nato per avere una vita facile. All’interno delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, ha dovuto fare i conti con un’opposizione concentrica dei nuclei più assimilazionisti, delle autorità religiose e del movimento bundista.
Eliezer Ben Yehuda
Sul versante esterno ha dovuto fronteggiare l’ostilità dei movimenti rivoluzionari, in particolare dei bolscevichi, ma anche dei menscevichi. Bundisti e sionisti si sono combattuti ferocemente, anche nella scelta linguistica (lo jiddish contro l’ebraico), sino a quando le loro differenze non sono state rese “risibili” da un mondo folle oltre ogni immaginazione. Negli anni bui dello stalinismo, il solo possesso di una grammatica ebraica, comportava la deportazione in Siberia. I progetti di Eliezer Ben Yehudah (il vero nome era Perlman) e di Ludwik Lazar Zamenhof, il padre dell’esperanto, sono agli antipodi, ma entrambi figli della stessa condizione e del bisogno di trovare una soluzione ai dilemmi della condizione ebraica. Eliezer ben Yehudah ritiene che la rinascita dell’ebraico, sia una condizione imprescindibile del processo di riscatto nazionale e di riappropriazione culturale del passato e di progettazione del futuro.
Rinascendo come nazione libera, gli ebrei avrebbero contribuito al rinnovamento del mondo. Lavorando anche diciotto ore al giorno, Ben Yehudah pescò le sue perle nel vasto territorio del Tanakh, della Mishnah, della Ghemarah e della letteratura rabbinica. Quando non è l’ebraico antico a essergli di aiuto, per coniare una parola nuova, Ben Yehudah fa ricorso all’aramaico. Se l’aramaico non basta, si appoggia alla lingua araba. Per non parlare delle lingue europee e dello stesso jiddisch. L’impresa di Eliezer Ben Yehudah è unica nel suo genere. Le parole e i verbi da lui coniati sono religiosamente appresi e utilizzati nei kibbutz e nei moshav dell’Yshuv.
Nel 1888, Ben Yehuda prende una decisione difficile. Da un giorno all’altro con i figli parla solo in ebraico. La ricerca sulla lingua ebraica svolta da un solo uomo sopravanza quella di un’intera generazione di studiosi. Nella cella di un carcere turco, dove fu rinchiuso per due anni per un suo articolo sulla rinascita nazionale ebraica, Perlman lavora al suo progetto per diciotto ore al giorno, dalle sei di mattina alle dodici di notte. In America dove vivrà per un certo periodo, per dodici, tredici ore al giorno. Dei sedici volumi di cui si compone l’atlante storico della lingua ebraica, terminato solo nel 1959, sei sono suoi. Quando nel 1922, Ben Yehudah muore consumato dallo sforzo immane cui si è sottoposto, l’ebraico parlato è la lingua di una piccola comunità, che tre decenni dopo si farà stato. Nei decenni successivi l’ebraico ha recuperato secoli perduti, dando vita a una letteratura tra le più interessanti.
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