Riprendiamo da SHALOM di oggi, 04/11/2016, a pag. 8-9, con il titolo "Il mondo cambia ma l’Onu resta sempre la stessa. Forse cambierà?", l'analisi di Fiamma Nirenstein.
Fiamma Nirenstein
L’assemblea generale dell’ONU segue da decenni lo stesso copione: arriva sul podio Abu Mazen (prima naturalmente c’era Arafat) e comincia una sequela di accuse sanguinose contro Israele, fra cui: quella ridicola di “ethnic cleansing” (ridicola perché i palestinesi dal 1948 si sono almeno triplicati, e stanno molto meglio economicamente, quanto a natalità, a sanità, a rappresentatività), di apartheid, anche quella insensata dato il livello di integrazione nella Knesset, negli ospedali, all’università, allo shopping, nei mall degli arabi-israeliani-palestinesi; di strage di innocenti; di “esecuzioni extragiudiziarie” riferendosi alla reazione della polizia contro accoltellatori e aggressori di innocenti per strada; di punizione collettive, riferendosi alle misure di sicurezza prese in zone e in ambienti sociali da cui fuoriescono terroristi a frotte, come Hevron.
La prassi vuole che gli applausi dell’Assemblea siano numerosi, che Abu Mazen sia particolarmente acclamato quando afferma che mentre la sua mano è tesa verso la pace, gli israeliani seguitano a impedirla negando la precondizione fondamentale posta dai palestinesi, ovvero quella della restituzione di tutti i Territori occupati nel ’67, compresa Gerusalemme. Ma quest’anno non è andata così bene. Sullo sfondo rumoreggiavano i tuoni della sconfitta del Grande Capo Palestinese successore di Arafat che occupa lo scranno di presedente da un decennio senza elezioni, e che ha accettato, a malapena, che quelle locali si svolgano in questi giorni, l’otto di ottobre. Mentre sul proscenio Bibi Netanyahu ha tenuto un discorso ironico e tuttavia direttamente politico, in cui ha annunciato l’avvento di un’era ‘onusiana’ completamente diversa da quelle precedenti, inusitata, in cui la stessa Assemblea che ha condannato l’anno scorso 20 volte Israele dedicando non più di tre condanne a qualsiasi altro Paese (anche alla Siria o all’Iran che impicca gli omosessuali) dovrà tributare a Israele tutti gli onori.
Abu Mazen
Come? Beh, il tramonto di Abu Mazen è parte di questa storia, e prima di tornare all’ONU e in Israele, vediamo cosa accade a Ramallah: è là che secondo Khaled Abu Toameh, un coraggioso giornalista palestinese molto ben informato e senza peli sulla lingua, si vocifera che l’Egitto, l’Arabia Saudita, la Giordania (che ha appena firmato un grosso contratto di acquisto del gas israeliano) e gli Emirati, ovvero il “Quartetto arabo” stanno spingendo verso la vittoria il rivale storico di Abbas, Mohammed Dahlan, proprio per facilitare un riavvicinamento con Israele. Molti si sono sorpresi, sempre a Ramallah, che Ahmed Qrei, che è stato primo ministro dei palestinesi e che è un veterano della nomenclatura di Fatah nonché uno degli architetti di Olso, si sia pronunciato in favore del piano del “Quartetto”.
Di fatto è molto larga nel mondo arabo, e specie a casa di Abu Mazen, la sensazione che la sua politica di conflitto, di dittatura sui suoi cittadini, di arricchimento senza controllo, e i dieci anni di scontro (non certo sul rapporto con Israele ma per il potere) con Hamas abbia creato un’impasse che rovina il futuro dei palestinesi e non crea reale consenso nel mondo occidentale e anche musulmano che si accorge di quanto terrorismo islamico di fatto derivi dal suo atteggiamento. E oggi dire “terrorismo islamico” non è la stessa cosa di un tempo: tutto il mondo purtroppo sa di che cosa si parla, e non piace a nessuno. In più, ed è il punto più importante per capire il cambiamento mondiale di scenario strategico, il “Quartetto Arabo” sente che la gestione attuale del conflitto israelo-palestinese impedisce la normalizzazione fra il mondo arabo e Israele, cosa che invece la situazione attuale richiede per due motivi fondamentali: la prima, che i Paesi sunniti “moderati”, dall’Egitto, che infatti sta cercando di portare a compimento una sua proposta di incontro fra Bibi e Abu Mazen, alla Giordania, ai sauditi, al Golfo temono l’attacco delle orde dell’Isis, di Jabat al Nusra e simili; ma non meno di quelli, temono anche la politica espansionistica e sempre più affermativa dell’Iran e del mondo sciita, Hezbollah in testa, oggi legati alla Russia che difende Bashar Assad, possa diventare una spaventosa tegola sulla loro testa, forse anche una tegola atomica.
Israele in questo panorama non è più il nemico di sempre: è un prezioso consigliere e alleato nella politica antiterrorista, e inoltre è un attore positivo nella prospettiva di sviluppo indispensabile nel momento che gli Stati Uniti si dimostrano un punto di riferimento sempre più debole. Ed ecco che Netanyahu prende il microfono sul palco dell’ONU e il mondo che gli si apre davanti adesso è diverso. Si, l’ONU è sempre lo stesso dice il Primo Ministro d’Israele, era una “forza morale” ora è una “farsa morale”. Doveva difendere i diritti umani, e invece li offende. E spiega da che cosa si può subito vedere: in un anno ha comminato 30 condanne a Israele, e non c’è nessun Paese del mondo che ne abbia prese più di tre, neppure la Siria con le sue centinaia di migliaia di morti, né l’Iran che impicca gli omosessuali. Eppure questa ONU cambierà, sarà costretta a cambiare.
Per disegnare questo cambiamento basta osservare che nonostante la costante persecuzione, Israele, spiega Netanyahu ha adesso rapporti diplomatici con 160 paesi, anche arabi e africani. Che si sono stabiliti negli ultimi anni legami forti con Paesi che prima temevano la reazione del mondo musulmano: anche le grandi potenze come la Russia, la Cina, l’India, il Giappone, oggi intrattengono con Gerusalemme rapporti di amicizia, di intelligence, di affari. Israele è uno dei pochi paesi in cui l’economia sia fiorente e basata sulle più moderne scoperte tecnologiche, scientifiche, di riciclaggio dell’acqua, di conquista del cyberspace. Dice Netanyahu: ne abbiamo fatta di strada da quando esportavamo soltanto arance! No, non è una speranza vana, ha detto Netanyahu, immaginare una nuova prospettiva di pace in Medio Oriente, nonostante l’ONU cerchi di costringere Israele a piegarsi alla sua frusta, nonostante l’insistenza di Obama sulla questione dei “territori”, nonostante la Francia si proponga come mallevadore di un accordo che vuole disegnare con penna europea i confini dello stato palestinese di Abu Mazen e lasciargli libera la prospettiva islamista di negare l’esistenza di uno Stato degli Ebrei. Ci vorrà del tempo, ma l’ipotesi di una pace realistica è più vicina da quando Abu Mazen ha cominciato a diventare una figura che svanisce in lontananza.
Per inviare la propria opinione a Shalom, cliccare sulla e-mail sottostante