Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/11/2016, a pag. 15, con il titolo "Mosul, la grande caccia al Califfo Al-Baghdadi", la cronaca di Giordano Stabile; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Con la Brigata Badr", il commento di Daniele Raineri.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Mosul, la grande caccia al Califfo Al-Baghdadi"
Giordano Stabile
Abu Bakr Al Baghdadi
Fra le famiglie sfuggite ai combattimenti a Gogjali e Karama, i quartieri orientali di Mosul, in cammino verso il campo profughi di Khaser, c’è sollievo. Le donne possono indossare i tradizionali abiti colorati, dopo 28 mesi in nero. Gli uomini sono rasati di fresco. La durissima sharia imposta da Abu Bakr al-Baghdadi è finita. Ma la liberazione della capitale del Califfato in Iraq è solo all’inizio.
Se martedì le forze speciali di Baghdad hanno messo piede per la prima volta all’interno della città, oggi hanno rifiatato e consolidato le posizioni. Dopo 18 giorni di combattimenti è ormai chiaro che l’Isis lotterà fino alla morte per difendere la sua città più importante. E anche, e di questo sono convinti i servizi curdi, per difendere il Califfo in persona.
Ieri Fuad Hussein, braccio destro del presidente del Kurdistan Massoud Barzani, ha messo in chiaro quello che l’Intelligence curda sospettava da settimane, in contrasto con quella irachena. Nessuna fuga verso Raqqa della leadership dell’Isis. Al-Baghdadi è deciso a condurre la battaglia, e probabilmente a morire, nella città dove ha proclamato la rinascita del Califfato il 29 giugno 2014. E questo, se da una parte rende la lotta più accanita, dall’altra offre l’occasione di distruggere lo Stato islamico in un colpo solo. «Se verrà ucciso - ha alluso Hussein - ci sarà il collasso dell’intero sistema dell’Isis», perché la catena di comando è macchinosa e nessuno è in grado di sostituire in tempi brevi il Califfo.
I servizi curdi, iracheni, e occidentali sono già al lavoro per individuarlo. Al-Baghdadi non appare in pubblico da nove mesi. Era stato dato nascosto in un bunker a Raqqa e poi ad Abu Kamal, al confine fra Siria e Iraq. Se è a Mosul vive probabilmente sottoterra. Ma tre giorni fa l’Intelligence è stata avvertita di una riunione di comandanti in un hotel al centro della città. Un raid lo ha colpito e «ucciso 67 membri dello Stato islamico». Non il leader supremo, però. Altre informazioni parlano di un bunker sotto la Grande Moschea sulla riva sinistra del Tigri, dove Al-Baghdadi ha pronunciato il discorso della rinascita del Califfato. O sotto l’altra Grande Moschea, quella di Al-Nuri, molto più antica. Oppure nei sotterranei a prova di bomba della sede del governo provinciale, sulla riva sinistra del fiume.
È qui, nella parte della città a Ovest del Tigri, che secondo i comandi militari ci sarà l’ultima resistenza. I militari temono che i jihadisti facciano saltare i cinque ponti sul Tigri e si trincerino nella Medina, la città vecchia con le sue stradine strette, ideali per la guerriglia urbana. Per non dare tempo agli islamisti di organizzarsi ieri le colonne che avanzano da Sud hanno dato una potente spinta, sono arrivate fino alla cittadina di Hammam al-Ali, a 20 chilometri dal centro e a 17 dall’aeroporto. In questo modo se l’avanzata da Est fosse bloccata lungo le rive del fiume, il centro storico potrebbe essere attaccato partendo dallo scalo.
Solo un raid «mirato» sulla testa del Califfo può evitare a questo punto una sanguinosa battaglia urbana ed è per questo che la caccia ad Al-Baghdadi continua di pari passo con l’avanzata. L’altra possibilità di evitare un bagno di sangue e la distruzione della città in stile Aleppo è la fuga di tutta la leadership verso Raqqa, quasi invocata nei primi giorni dell’offensiva. Attivisti nel capoluogo siriano del Califfato hanno notato l’arrivo di alcune famiglie di Mosul ma segni di una ritirata di massa ancora non ci sono. E ogni giorno che passa diventa sempre più improbabile. Le milizie sciite stanno avanzando a Ovest di Mosul per tagliare tutte le strade verso Raqqa e ieri hanno annunciato di aver raggiunto quella principale.
La sensazione è che Al-Baghdadi voglia il suo «martirio» nella sua capitale in una escalation di violenza e orrori. Nell’ultima settimana l’Isis ha lanciato contro il nemico almeno tre bambini kamikaze, secondo testimonianze raccolte dall’Unicef. Quelli che non vengono trasformati in bombe umane sono deportati e usati come scudi umani vicino ai centri di comando e depositi di munizioni. Il comando dei peshmerga curdi ha avvertito che i jihadisti hanno nascoste nella case anche centinaia, se non migliaia, di razzi e proiettili caricati con armi chimiche, cloro ma anche gas iprite. La caccia ad Al-Baghdadi si annuncia durissima.
IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Con la Brigata Badr"
Daniele Raineri
La Brigata Badr
Dal nostro inviato nel nord dell’Iraq. Siamo sul fronte ovest della battaglia per liberare Mosul, in un villaggio tenuto dalla Brigata Badr, il gruppo paramilitare sciita più agguerrito dell’Iraq, e il villaggio dirimpetto è ancora in mano allo Stato islamico. Gli uomini sono in piedi sui bordi dei tetti e in mancanza di altro spazio pure sui tetti dei camion e dei blindati: osservano i mortai fare fuoco dalle aie, seguono i proiettili da centoventi millimetri descrivere curve invisibili a campanile nell’aria e scoppiare secondi dopo fra le case e in mezzo ai nemici. Alcuni stanno sul crinale di una collina, s’affacciano quasi sulle posizioni dei guerriglieri. E’ quasi sera, le figure dei soldati sui tetti si stagliano contro la luce, si passano i binocoli e fanno il segno della V, finisce un’altra giornata di una campagna rapida, un altro pezzo di territorio è stato liberato in velocità. Il gruppo di case da dove sparano i mortai questa mattina era ancora una postazione dello Stato islamico, adesso è una base avanzata per la Badr e già il suo nome è su tutti i muri. A un certo punto si stacca dall’altro villaggio un camion bomba, tenta di coprire la distanza che corre fra i due schieramenti, salta in aria prima, si vede il fungo di polvere e poi arriva il boom.
La Brigata Badr è definita spesso come un “gruppo paramilitare”, ma è meglio organizzata dell’esercito regolare dell’Iraq e ha non meno di diecimila combattenti tosti. Il suo logo ricorda quello del gruppo libanese Hezbollah, di cui ricalca il concetto di essere “uno stato dentro lo stato”. Poiché ieri una troupe della Bbc Arabic è stata cacciata dal paese perché ha scritto che la Badr è “iraniana”, allora non si dirà qui che ha fortissimi legami con le Guardie rivoluzionarie iraniane, ma ce li ha. In un punto di ristoro lungo la strada che porta verso il fronte uno dei suoi uomini fa una concione al Foglio in farsi, la lingua dell’Iran, e la conclude così: “Marg bar Israil, marg bar Amrika!”. Morte a Israele, morte all’America. Dietro di lui un paio di cartelloni che sono un programma politico: l’ayatollah al Sistani, che è la figura più riverita dello sciismo iracheno, lo sceicco al Nirm, che è stato condannato a morte e ucciso in prigione dal governo saudita, e la Guida suprema iraniana Ali Khamenei. Sotto c’è una scritta: “Morte ai Saud”, i regnanti dell’Arabia Saudita. Un altro milite poco dopo chiede con sospetto: “Sei americano?”.
Durante gli anni della guerra in Iraq dopo il 2003 i gruppi sciiti erano un nemico pericolosissimo dei soldati americani, importavano dall’Iran una trappola esplosiva micidiale anche per i mezzi corazzati conosciuta con la sigla Efp, si vantavano di avere ammazzato più militari americani che al Qaida in Iraq. Ma questa offensiva del 2016 per liberare Mosul richiede uno strano allineamento fra nemici minori (per ora) in Iraq come curdi, americani e gruppi sciiti contro lo Stato islamico. Dopo il camion bomba in cielo arrivano due elicotteri iracheni. Sopra ogni altro segmento del fronte si sentono gli aerei da guerra americani, ma non qui, è probabile che temano di fare un errore nei bombardamenti e che questo possa avere ripercussioni politiche disastrose.
La Brigata Badr sfoggia carri armati americani Abrams, Humvee americani color sabbia, e anche i mastodonti antimina Mrap, che hanno un fondo corazzato a forma di V per deflettere la forza delle esplosioni, perché il disprezzo per l’America non è accompagnato da altrettanto disprezzo per i mezzi militari made in Usa. Ci sono anche un paio di individui con radio e divise e senza armi che si distinguono dal resto della truppa: tirando a indovinare potrebbero essere consiglieri militari iraniani, ma non c’è conferma. Il capo della Brigata, il potentissimo Hadi al Ameri, amico del generale iraniano Qassem Suleimani (e alleato del presidente siriano Bashar el Assad) spiega a un pool di giornalisti, tra cui c’è anche il Foglio, che i suoi uomini hanno il compito di conquistare lo spazio tra Mosul e Tal Afar, un’altra città in mano allo Stato islamico, verso il confine siriano. Al Ameri dice che lasceranno un corridoio per i nemici che volessero tentare la fuga verso la Siria, “e se non ne approfitteranno allora li ammazzeremo tutti”. E’ interessante perché questa idea dell’assedio con un lato aperto era stata criticata quando è stata presentata dagli americani, pure con contorno di complottismi. Ora è confermata dal nemico degli americani.
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