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La Stampa Rassegna Stampa
01.11.2016 Libano: dove il nuovo potere reale è in mano all'Iran
Cronaca di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 01 novembre 2016
Pagina: 14
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Libano, Aoun è il nuovo presidente: 'Pugno di ferro contro i terroristi'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 01/11/2016, a pag. 14, con il titolo "Libano, Aoun è il nuovo presidente: 'Pugno di ferro contro i terroristi' ", la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

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Michel Aoun

Sono passati 26 anni. Il generale Michel Aoun torna al palazzo presidenziale della Baabda, sulle colline che abbracciano Beirut. C’era già stato, come primo ministro ad interim, nella fase finale e più terribile della guerra civile. Aveva guidato la lotta contro le truppe siriane che occupavano gran parte del Paese. E dalla Baabda era stato cacciato, dalle stesse truppe siriane, il 13 ottobre 1990, dopo che gli accordi di Taef, in Arabia Saudita, avevano finalmente messo fine al massacro quindicennale e stabilito i nuovi equilibri del Libano. Dove non c’era più posto per un leader così ingombrante e orgogliosamente nazionalista.

Ora la Présidence conta meno. E conta anche meno il potere maronita che il generale, già comandante delle forze armate, incarna. Ma per la comunità cristiana è festa grande lo stesso. Le campane hanno suonato ieri fino a tarda sera sulle colline di Beirut che salgono su, fino al Mont Liban, la Montagna dove i cristiani hanno resistito per quindici secoli a invasioni e persecuzioni. I fuochi d’artificio hanno illuminato Ashrafieh, il quartiere cristiano, e i caroselli di auto sono scesi per le vie strette fino a Place des Martyrs. Gli equilibri del Libano prevedono un presidente maronita, un premier sunnita e un leader del Parlamento sciita. Così come cristiano dev’essere il capo della forze armate. Dal maggio 2014 non c’era un presidente della Repubblica e i cristiani si sentivano orfani e meno protetti. Ora Aoun vuole rilanciare il ruolo della presidenza e rivitalizzare l’esercito, ridotto al lumicino.

Per arrivare al suo obiettivo il generale è sceso a tanti compromessi. Nel 2006 si è alleato con Hezbollah e quindi con l’ex nemico implacabile, la Siria. È rimasto coerente nel cambio di campo per un decennio e alla fine ha raccolto i frutti. Ma prima ha dovuto scendere a patti anche con il leader dei sunniti, Saad Hariri, figlio del primo ministro assassinato nel 2005, probabilmente dallo stesso Hezbollah per conto di Bashar al-Assad. Il patto è che Hariri ricopra ora il posto che fu del padre. E bisognerà vedere se il Partito di Dio sciita si metterà di traverso. Alle votazioni di ieri in Parlamento tutti, o quasi, hanno mantenuto la disciplina. Aoun ha ottenuto 83 su 127 e ha sfiorato la maggioranza dei due terzi, a quota 86, che gli avrebbe dato ancor più autorità.

Ci vorrà un nuovo governo e poi nuove elezioni parlamentari per ristabilire il funzionamento democratico bloccato da 29 mesi. Per ricominciare a emanare leggi e affrontare i problemi quotidiani che hanno fiaccato la popolazione. Il problema dei rifiuti che si accumulano nelle strade e in discariche sature, delle acque di scarico non trattate che avvelenano il mare e frenano il turismo, dei tagli quotidiani alla corrente elettrica e all’acqua corrente. E poi il fardello di oltre un milione di rifugiati siriani, su quattro milioni di abitanti. E le infiltrazioni dei terroristi jihadisti, Isis e Al-Qaeda, dalla vicina Siria dentro la valle della Bekaa.

Le prime parole di Aoun da presidente sono state proprio sul terrorismo «da combattere in forma attiva». Gli osservatori filo-siriani le hanno subito interpretate come un «endorsement» delle operazioni di Hezbollah in Siria. L’Iran non ha fatto mancare il suo plauso. Il presidente Hassan Rohani ha chiamato il neo capo di Stato e ha espresso il suo plauso a «una vittoria di tutti i partiti». Bashar al-Assad ha parlato di «nuova era». Il Libano «provincia dell’impero persiano», come paventava pochi mesi fa il leader dei drusi Walid Jumblatt? Lo stesso Jumblatt alla fine ha deciso di dare i suoi voti ad Aoun.

L’accordo con Hariri presuppone un certo equilibrio fra Iran e Arabia Saudita. In Europa, e in Italia, si tira un sospiro di sollievo, perché l’accordo sulla presidenza significa anche allontanare il rischio di collasso, di un altro Stato fallito sulle sponde del Mediterraneo. Anche se una vecchia volpe come Georges Corm, storico ed economista, ex ministro delle Finanze, invita a non sopravvalutare le influenze esterne: «Questa intesa è soprattutto il frutto di equilibri interni. Hariri aveva bisogno del posto da premier anche per risolvere i suoi problemi personali». Vale a dire tornare al potere per rimettere in sesto le sue aziende, affossate dal crollo dell’immobiliare e dal raffreddamento dei rapporti con Riad.

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