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La Stampa Rassegna Stampa
30.10.2016 Natalia Ginzburg a 25 anni dalla morte: solo elogi? Grandi i romanzi
ma gli scritti su Israele apparsi sull'UNITA'? articolo di Manuela Consonni

Testata: La Stampa
Data: 30 ottobre 2016
Pagina: 22
Autore: Manuela Consonni
Titolo: «Natalia Ginzburg lessico gerosolimitano»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/10/2016, a pag.22, con il,titolo "Natalia Ginzburg lessico gerosolimitano" l'articolo di Manuela Consonni, direttrice del Programma di Studi Italiani, Università ebraica di Gerusalemme.

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Natalia Ginzburg

Nessuno mette in dubbio le qualità letterarie dei romanzi di Natalia Ginzburg. Giusto e opportuno ricordarlo a 25 anni dalla morte. Ricordarlo proprio in Israele, dove i suoi libri hanno avuto un meritato successo.
Condividiamo meno il giudizio assolutorio che Consonni esprime nelle ultime righe " 
Le posizioni critiche di Natalia Ginzburg verso la politica dello Stato di Israele negli anni Ottanta, dopo il massacro di Sabra e Chatila, e le sue scelte religiose - personali e non discutibili.."  Che le scelte religiose non siano discutibili è doveroso, ma durante tutti gli anni '80 e fino alla morte, Ginzburg collaborò all' UNITA', raccontando Israele nel modo più fazioso possibile, raggiungendo quello di Igor Man sulla STAMPA. Ne deduciamo che questo suo aspetto non farà parte degli onori che verranno tributati alla memoria.

Ecco il pezzo:

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Manuela Consonni

Le ragioni che spiegano la fortuna per la quale, ancora oggi a 25 anni dalla morte, Natalia Ginzburg rimane una delle scrittrici più amate, lette e studiate in Israele sono molteplici. Intanto la sua fama letteraria, legata a tematiche letterarie e storiche che l’hanno resa una delle voci più interessanti e importanti del Novecento, e non solo in Italia. Una fama internazionale, che però non basta da sola a spiegare il successo goduto, da trent’anni, in un paese come Israele dove si legge molto, molta letteratura in traduzione e in originale, e dove vengono operate scelte editoriali che si rivolgono al meglio della diaspora ebraica. Un’appropriazione e un recupero propriamente culturale, di una memoria individuale ebraica, che diventa tassello di tante altre memorie che non si vuole che vadano perdute. Alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemme sono conservate tutte le opere scritte da ebree e ebrei, tutti gli originali e tutte le traduzioni, in tutte le lingue. E la Ginzburg è li, assieme agli altri: Giorgio Bassani, Elsa Morante, Primo Levi, Ida Finzi, Carlo Levi, Alberto Moravia, Umberto Saba, Cesare Lombroso, Arnaldo Momigliano, Vittorio Foa, Luciana Nissim, solo per nominarne alcuni. Qualcosa di famigliare Nello specifico, credo che il successo sia stato determinato dalla qualità letteraria della sua scrittura sospesa tra l’autobiografia e la testimonianza, due generi molto amati in Israele, che ne ha reso facilmente accessibile la lettura per giovani e meno giovani, per gli addetti ai lavori e per i semplici amanti della buona letteratura. I suoi libri sono caratterizzati quasi sempre dalla voce di un io narrante al plurale, in cui il vissuto personale è il segno di un dolore collettivo più vasto, nazionale, che ha marcato indelebilmente il ritmo narrativo. Nella sua scrittura il mondo israeliano ha ritrovato qualcosa di distintamente riconoscibile, un Heimlich freudiano, una familiarità nota, residuo esso stesso di un mondo scomparso, discriminato, perseguitato, torturato prima nelle prigioni, e poi sterminato nei campi di concentramento. Lexicon Mishpahti (Lessico famigliare) fu il primo dei suoi libri a essere tradotto in ebraico, nel 1988, da Miriam Schusterma per Am Oved, una storica casa editrice del paese. Fu un successo di pubblico immediato. In Israele si colse il valore, il fascino di questa storia familiare, che raccontava pagina dopo pagina, con toni pacati, arguti e auto-ironici, della Torino tra gli anni Trenta e gli inizi degli anni Cinquanta, in cui l’autrice imponeva la sua scrittura intesa come il luogo per eccellenza per esprimere sé stessi. Adatta alla lingua ebraica Un libro affollato di personaggi, denso come una foto di famiglia, che richiedeva ai lettori israeliani un esercizio di memoria e di studio, un’attenzione per i legami che vi si svelavano, che invitava a guardare dentro a questo mondo ebraico poco conosciuto, di cui si intuiva però lo spessore quasi aristocratico. E poi la sobrietà della scrittura, l’essenzialità del linguaggio, la nitidezza delle parole sono stati altri elementi fondamentali per la trasmissione in ebraico di Natalia Ginzburg. Una scrittura, la sua, che si è adattata subito alle esigenze stilistiche e sintattiche dell’ebraico, lingua essenziale e concisa, priva di orpelli stilistici, ostile alla pesantezza linguistica, quasi povera, a un occhio distratto. Nella collana «Nuova Biblioteca» di Kibbutz Hameuhad apparvero in ordine cronologico e con ritmo serrato per mano di traduttori sapienti: Kol Etmolenu, 1990 (Tutti i nostri ieri); Qolot haErev, 1994 (Le voci della sera); Michele Sheli, 1995 (Caro Michele); Ha’ir veHaBait, 1998 (La città e la casa) ; Valentino (2001); Caha ze Karà, 2005 (È stato così). La casa editrice Carmel nel 2005 ha pubblicato la traduzione di È difficile parlare di sé (Qashe leAdam ledaber al Atzmo), la raccolta di interviste radiofoniche raccolte da Marino Sinibaldi nel 1990 nel programma Antologia su Rai3, e uscite per Einaudi a cura di Lisa Ginzburg e Cesare Garboli nel 1999. Nel 2012 Kibbutz HaMeuhad ha deciso di svecchiare la traduzione di Lessico famigliare che è stato ripubblicato con un’altro nome: Amirot Mishpaha, letteralmente «detti, frasi famigliari». Oltre le distanze politiche I saggi Le piccole virtù, Mai devi domandarmi, Vita immaginaria non sono stati invece tradotti. Questo rafforza l’idea che dietro alle traduzioni dei libri di Natalia Ginzburg esista una scelta editoriale ben precisa, una scelta di gusto più indirizzata verso il romanzo, verso il racconto, verso la scrittura di invenzione. Hirschfeld, uno dei più importanti studiosi di letteratura ebraica in Israele, docente a Gerusalemme, critico letterario e scrittore egli stesso, ha affermato che in Israele la lettura critica della scrittrice torinese è scientificamente solida e impegnata, strettamente legata alla letteratura e meno alla saggistica, determinata, a suo avviso, «dalla straordinaria e profonda analisi, attraverso l’arte del dialogo, dei rapporti umani nel contesto di un modernismo letterario particolare, che è narrativo e poetico al tempo stesso». Il successo di Natalia Ginzburg è infine semplicemente dovuto all’amore e al grande rispetto che gli israeliani provano per l’Italia, per la sua cultura e per la sua storia. Le sono profondamente legati da sempre. Basti pensare che negli anni Trenta Leah Goldberg, la poetessa dell’Yishuv ebraico, e raffinata traduttrice, pubblicò in ebraico Petrarca e Pirandello. Anche la Goldberg peraltro è legata per uno strano caso del destino a Torino, dove al dipartimento di Orientalistica dell’Università sono conservate le sue lettere a Paul Kahle, insigne orientalista tedesco che era stato suo maestro a Bonn. Le posizioni critiche di Natalia Ginzburg verso la politica dello Stato di Israele negli anni Ottanta, dopo il massacro di Sabra e Chatila, e le sue scelte religiose - personali e non discutibili - hanno sempre interessato poco Israele e la sua cultura, popolare e scientifica, che continua a onorarla come parte integrante del proprio codice genetico e del proprio patrimonio culturale.

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