Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/10/2016, a pag. 1, con il titolo "Gerusalemme è la città delle tre religioni, ecco perché l'Unesco sbaglia", il commento di Roberto Toscano; a pag. 17, con il titolo "Voto dell'Unesco su Gerusalemme, è scontro con Israele", il commento di Fabio Scuto.
Sotto un'apparente equidistanza che parte già dal titolo, il testo di Roberto Toscano è profondamente ostile:
1) "Territori occupati" è la definizione scelta per descrivere le regioni contese di Giudea e Samaria (West Bank).
2) Il terrorismo contro Israele è definito "rivolta palestinese". Toscano userebbe lo stesso termine per indicare il terrorismo dello Stato islamico che ha colpito in Europa a Parigi, Bruxelles, Nizza?
3) Toscano si dilunga sulla guerra contro Gaza, che però con il voto dell'Unesco non ha niente a che vedere. E la cita all'incontrario, era Gaza ad attaccare Israele e non viceversa, guerra sì, ma di difesa.
4) Toscano insiste sul fatto che Israele ha "ignorato regole internazionali" dettate dall'Onu. Non scrive, però, della natura politica delle posizioni assunte dall'Onu e dalle sue agenzie, come l'Unesco, nient'altro che strumenti della guerra contro Israele nelle mani dei paesi arabi e musulmani.
5) L'intera argomentazione di Toscano è "la risoluzione è ingiusta, MA...". "Ma" che cosa? E' ingiusta e basta.
Anche il pezzo di Fabio Scuto è un esempio di disinformazione per cui valgono critiche simili a quelle che rivolgiamo a Toscano. Oltre a ciò:
1) Scuto attribuisce a Israele i cattivi rapporti con l'Unesco, mentre è l'agenzia Onu a essere diventata un'arma non semplicemente contro la politica di Israele, ma contro la sua stessa esistenza.
2) Scuto sottolinea la sacralità di Gerusalemme per l'islam, ma dimentica che la capitale di Israele nel Corano non è mai citata e mai Maometto vi mise piede. La sacralità di Gerusalemme per l'islam è per lo più un derivato della guerra ideologica scatenata contro Israele a artire dagli anni '60, con Arafat. Durante tutti i secoli di dominazione ottomana e poi giordana. Gerusalemme non è stata oggetto di pellegrinaggi islamici, quindi definirla "una delle tre città sante per l'islam" è una menzogna. Sommata a tutte le altre, priva il lettore della capacità di conoscere e poi giudicare.
Ecco gli articoli:
Roberto Toscano: "Gerusalemme è la città delle tre religioni, ecco perché l'Unesco sbaglia"
Roberto Toscano
La sede dell'Unesco
I rapporti fra Nazioni Unite e Israele sono caratterizzati da una tensione permanente che in qualche occasione si trasforma in scontro aperto. Si va dalla questione degli insediamenti nei territori occupati agli interventi militari contro Gaza ai metodi usati da Israele per reprimere la rivolta palestinese. Su tutti questi temi l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si esprime periodicamente a maggioranza per condannare Israele, e soltanto i veti opposti sistematicamente dagli Stati Uniti (oltre 40 volte dal 1972 a oggi) impediscono al Consiglio di Sicurezza di approvare risoluzioni che avrebbero effetti molto più concreti che non le risoluzioni dell’Assemblea Generale. L’Unesco, l’organizzazione delle Nazioni Unite per cultura e scienza, ha adottato ieri una risoluzione dedicata alla “tutela del patrimonio culturale della Palestina e il carattere distintivo di Gerusalemme Est”. Nei 42 paragrafi della risoluzione si denuncia il comportamento di Israele per quello che viene definito il mancato rispetto dei luoghi santi dell’Islam e per “il crescendo di aggressioni e di misure illegali contro la libertà di preghiera dei musulmani” negli stessi luoghi.
UN TESTO certo pesante nella sostanza, ma la vera ragione dell’inasprirsi della crisi fra l’Unesco e Israele (che ha sospeso la sua partecipazione all’organizzazione) non si riferisce tanto ai punti della requisitoria contro il comportamento del governo israeliano ma alla terminologia usata. La risoluzione riprende infatti, per definire quella parte di Gerusalemme, unicamente il suo nome musulmano, Haram el Sharif (il Nobile santuario) e non quello usato dagli ebrei, Har ha- bayit (“Monte del tempio”). Come accade inevitabilmente nelle questioni che vedono la contrapposizione di divergenti interpretazioni storiche e di incompatibili rivendicazioni, le parole risultano più pesanti della sostanza delle cose. Se non fosse stato per questo dato terminologico Israele avrebbe reagito a questa ennesima condanna in sede Onu ribadendo le proprie posizioni — e di fatto ignorandola sostanzialmente. Questa volta però si è toccato un punto veramente irrinunciabile per gli israeliani (non solo per il governo Netanyahu) e, va aggiunto, per gli ebrei della diaspora, anche i più progressisti e aperti alle ragioni dei palestinesi.
Sono pochissimi gli ultra sionisti che chiedono che il Monte del tempio venga recuperato per l’ebraismo cancellando le tracce della presenza musulmana, ma tutti gli israeliani e tutti gli ebrei considerano il Muro del pianto, che fa parte della zona presa in considerazione dalla risoluzione dell’Unesco, come il più sacro per l’identità ebraica, sia religiosa che culturale. Come ha ricordato il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova, palesemente a disagio per la situazione, Gerusalemme deve essere vista come «spazio condiviso di patrimonio e tradizioni per ebrei, musulmani e cristiani». Si tratta di un punto irrinunciabile non solo perché non è ammissibile non riconoscere — ovunque — la realtà plurale della cultura e della storia, ma anche perché nessuna soluzione del conflitto israeliano- palestinese può venire dalla pretesa, israeliana o palestinese che sia, di ignorare, annullare, sradicare o sottomettere la presenza dell’altro popolo.
Oggi la potenza militare ed economica dello stato di Israele viene spesso esercitata ignorando regole internazionali (come la Quarta Convenzione di Ginevra, violata dalla costruzione di insediamenti nei territori occupati nel 1967) e principi umanitari. È giusto che la comunità internazionale condanni queste violazioni e si schieri a favore del riconoscimento di uno Stato palestinese. Su questo esiste un ampio consenso della comunità internazionale — un consenso che però verrebbe meno se il riconoscimento del diritto dei palestinesi di avere un proprio stato dovesse essere associato alla negazione dei diritti di Israele, compresi quelli relativi al patrimonio culturale e religioso. Nel promuovere e fare approvare la risoluzione i paesi musulmani — fra l’altro non certo modelli di pluralismo sia religioso che culturale — hanno quindi commesso un grave errore, fornendo argomentazioni a chi, come la destra israeliana, sostiene che l’idea dei due stati è irreale o fraudolenta, dato che è l’esistenza stessa di Israele, e non i suoi limiti territoriali o le sue azioni, ad essere messa in causa. È interessante vedere come si è votato: si sono espressi a favore della risoluzione 24 paesi, nella maggioranza arabo-musulmani con l’aggiunta di Russia, Cina, Brasile e Sudafrica; contro, sei paesi, fra cui Usa, Regno Unito, Germania e Olanda; si sono astenuti 26 paesi. Fra questi l’Italia, che si era astenuta anche nel 2011 quando all’Unesco si era votato sull’ammissione della Palestina come paese membro. Forse per dare credibilità alla nostra posizione (riconoscimento di uno stato palestinese; riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza) avrebbe avuto più senso votare a favore nel 2011 e contro in questa occasione.
Fabio Scuto: "Voto dell'Unesco su Gerusalemme, è scontro con Israele"
Fabio Scuto
Gerusalemme, il Kotel, Muro Occidentale
Nonostante il clamore e le proteste in Israele, l’Unesco ha adottato formalmente ieri mattina una controversa risoluzione su Gerusalemme Est presentata dai Paesi arabi in nome della tutela del patrimonio culturale palestinese. Ma per Israele il testo nega il legame millenario tra gli ebrei e la città, perché pur affermando che la Città è santa per le tre religioni monoteiste, nella definizione dei luoghi viene usata soltanto la dizione araba e non quella ebraica, cosa che ha indignato quasi tutti gli israeliani. Israele, che aveva già messo i rapporti con l’Unesco su un piano inclinato da quando venne ammesso lo Stato di Palestina nel 2011, ha deciso di congelare ogni contatto.
La Città Vecchia con il suo “miglio santo” è il cuore del conflitto israelo-palestinese dal 1967: la collina è il terzo luogo più sacro dell’Islam ma è anche il luogo più sacro per gli ebrei, distrutto dai romani nel 70 d.C.. Gli ebrei si riferiscono al complesso sulla collina della Città Vecchia come il Monte del Tempio, Har HaBayit. Per i musulmani è Haram al-Sharif, il nobile santuario e comprende la Moschea Al Aqsa e la Moschea della Roccia con cupola dorata. Un precario status quo ne regola l’accesso da allora: la Giordania continua ad amministrare la Spianata, ma Israele controlla tutti gli accessi.
L’accordo prevede che gli ebrei possano andare in visita ma non pregare. Il testo approvato giovedì denuncia “l’invasione israeliana”, le incursioni sulla Spianata e le restrizioni imposte all’accesso dei fedeli musulmani. Pur essendo considerato santo per l’ebraismo, la gran parte dei rabbini vieta ai fedeli di andare sulla Spianata perché gli ebrei di oggi sono ritenuti «ritualmente impuri». Ma le continue visite di nazionalisti religiosi ebrei sono giudicate dai palestinesi una provocazione, come la famosa “passeggiata” dall’allora premier Ariel Sharon nel 2000 che scatenò la “seconda intifada”. La risoluzione adottata ieri era passata in Commissione giovedì scorso con 24 voti a favore, sei contrari e 26 astensioni. Contrari Usa, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Germania ed Estonia, l’Italia come altri Paesi Ue si era astenuta. Un testo che ha visto anche la direttrice dell’Unesco Irina Bokova prendere le distanze da alcuni passaggi. La risoluzione non avrà un impatto diretto su Gerusalemme ma certamente ha approfondito le tensioni all’interno dell’Unesco, dove – come nell’Onu in generale - gli israeliani vedono un radicato pre-giudizio anti-Israele. La disputa di lunga data è legata anche al rifiuto di Israele di concedere visti agli ispettori Unesco per venire a verificare e valutare il livello di conservazione dei luoghi santi di Gerusalemme dichiarati Patrimonio Universale dell’Umanità.
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