Una spaccatura nel blocco sunnita
Analisi di Zvi Mazel
(Tradizione di Angelo Pezzana)
http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-A-new-crack-in-the-Sunni-bloc-4702
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Da un lato si è formata una spaccatura tra Arabia Saudita e Egitto, i pilastri gemelli del fronte sunnita contro le gravi minacce e le attività nucleari dell’Iran terrorista, dall’altro il criminale Stato Islamico sunnita. Entrambi i paesi sono in disaccordo su molte situazioni regionali, anche se lo negano, affermando di essere in sintonia nel coordinare gli interventi comuni. Il presidente egiziano ha affermato in diverse occasioni che la sicurezza del Golfo è essenziale per per il suo paese, mentre il re saudita a scritto a Abdel Fattah al-Sisi che ogni attacco alla sicurezza egiziana verrà ritenuto una aggressione all’Arabia Saudita.
Le tensioni sono venute alla luce l’8 ottobre,durante un incontro del Consiglio Onu sulla sicurezza in Siria. L’Egitto non solo ha votato con la Russia per sconfiggere la proposta francese per fermare i bombardamenti su Aleppo, ma ha anche votato la contro-proposta russa come chiedeva la coalizione occidentale. La delegazione saudita ha condannato con vigore le due votazioni, dando origine ad articoli feroci apparsi sui media egiziani e sauditi. Sisi è dovuto intervenire, dichiarando che l’Egitto mantiene buone relazioni con gli emirati del Golfo, ma che deve altresì badare ai propri interessi.
Il cosiddetto blocco pragmatic sunnita, che include gli stati del Golfo, Giordania e Marocco, si era format durante il regime di Mubarak e aveva goduto di un forte sostegno da parte degli Usa. Israele aveva mantenuto un ruolo significativo, ma dietro le quinte, in quanto sia gli emirati del Golfo che l’Egitto credevano che avrebbe potuto fare pressioni su Washington per fermare il programma nucleare iraniano, augurandosi nello stesso tempo che Israele sarebbe stata in grado di bombardare le installazioni nucleari iraniane, liberando la regione da questa minaccia. Il graduale disimpegno di Obama nel Medio Oriente, mentre favoriva l’Iran sciita contro gli stati sunniti,rappresentò un punto di svolta. L’America gettò a mare Mubarak, l’alleato di sempre, e accolse i Fratelli Musulmani; abbandonò poi il presidente Sisi, accordandosi con l’Iran sul suo progetto nucleare. L’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo si sentirono traditi, perdendo ogni fiducia negli Stati Uniti, mentre l’Egitto, perdendo l’aiuto politico, economico e militare Americano, si rivolse a Russia e Cina per avere armamenti sofisticati e per sviluppare progetti economici, incluso un impianto nucleare fornito dalla Russia in grado di produrre energia.
Gli eserciti russi e egiziani stanno poi conducendo esercitazioni militari congiunte, una ulteriore testimonianza di un serio legame. Per cui, privati del forte sostegno e di una comune politica, Egitto e Arabia Saudita stanno incamminandosi su strade differenti in base ai relativi,divergenti, interessi. L’Egitto, temendo una crescita islamista, ritiene che l’unità siriana debba essere preservata a tutti i costi, alleandosi con la Russia sul futuro della Siria, i cui obiettivi sono condivisi dall’Iran, che opera per mantenere al potere il presidente Bashar Assad, al fine di mantenere l’accesso in Siria dell’alleato libanese Hezbollah. Riad sostiene con fermezza i gruppi ribelli sunniti che combattono per instaurare al posto di Assad un regime sunnita.
Questi gruppi includono organizzazioni terroriste, come i Fratelli Musulmani, il che crea un problema enorme. La Fratellanza è responsabile dei continui attacchi terroristi in Egitto, una minaccia reale che ostacola lo sviluppo economico del paese. L’Arabia Saudita, malgrado abbia espulso i Fratelli Musulmani dopo la strage dell’11 settembre – 15 dei 18 attentatori erano fratelli musulmani sauditi – e dichiarato l’intera Fratellanza organizzazione terrorista, come ha fatto anche l’Egitto, si trova in una posizione delicata, ne proibisce le attività nel regno, ma le sostiene all’estero. In Yemen, aiuta al-Islah, un partito “reform”, che però è una branca della Fratellanza, contro i ribelli Huti, nella speranza che siano loro a guidare il paese dopo la sconfitta dei ribelli. L’Egitto si oppone apertamente. Aveva aderito alla coalizione saudita contro gli Huti, senza però partecipare militarmente, salvo i controlli sul Canale di Suez, in difesa dei propri interessi. La situazione in Libia è simile.
L’Egitto sta dalla parte del generale Khalifa Belqasim Haftar, che combatte i gruppi estremisti con successo, mentre l’Arabia Saudita è schierata con i Fratelli Musulmani. La minaccia più grave per l’Egitto sono i Fratelli Musulmani, sostenuti da Turchia e Qatar. L’Arabia Saudita teme maggiormente l’Iran, per cui rifiuta di allearsi con i terroristi sunniti che teme. Si è persino avvicinata alla Turchia, un paese in contrasto con l’Egitto per via della cacciata di Morsi e la fine del regime della Fratellanza. Qualche volta la logica perde ogni senso: i sunniti egiziani e i sunniti dell’Arabia Saudita hanno condiviso la condanna degli infiniti bombardamenti su Aleppo degli aeroplane russi e siriani, la fuga della popolazione sunnita dalla città, cercando di restituire la maggioranza agli alawiti, ma l’Egitto ha votato contro la risoluzione francese sulla fine dei bombardamenti.
D’altra parte, l’Arabia Saudita ha dato all’Egitto 15 miliardi di dollari a fondo perduto e prestiti alla Banca Centrale del Cairo, per sostenere l’economia e la moneta egiziana, fornendo gas e petrolio. Entrambi i paesi stanno cercando di superare le reciproche differenza, ma non sarà facile. Riad lancia segnali conflittuali, sospendendo le forniture regolari di petrolio raffinato, malgrado il contratto firmato nel maggio di 25 anni fa, del valore di 23 miliardi di dollari. In più ha aumentato i visti di ingresso ai pellegrini in viaggio per la Mecca. Ha poi depositato lo scorso settembre nelle banche egiziane 2 miliardi di dollari per sostenere la moneta egiziana. Una delegazione di alto livello è attesa a Riad per “ discutere la situazione regionale, il problema Siria e lo sviluppo degli accordi di cooperazione firmati al Cairo durante la vista di Re Salman in aprile”.
L’ambasciatore saudita in Egitto è atteso a Riad per preparare la visita. Il vuoto lasciato dal disimpegno Americano ha trascinato il Medio Oriente in uno stato di instabilità, dove i gruppi terroristi crescono e distruggono ogni speranza di pace. Il blocco sunnita è nel caos. Ogni paese va per conto proprio, ma questo ha portato a un rafforzamento dei sistemi di sicurezza e intelligence con Israele, e scambi economici anche maggiori, anche se tutto viente tenuto segreto. Né il presidente Sisi né Re Abdullah di Giordania hanno partecipato al funerale di Peres, dato che questa nuova collaborazione non lasciava presagire nulla di buono per la tanto vantata “soluzione regionale” del problema palestinese.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 20012 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.