Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/10/2016, a pag. 27, con il titolo "Irving-Lipstadt, è un film il duello legale che ha sconfessato il negazionismo", la recensione di Fulvia Caprara.
Da non perdere!
Fulvia Caprara
La locandina
La prima conversazione tra la scrittrice e docente Deborah E. Lipstadt e l’attrice premio Oscar Rachel Weisz, che la interpreta nella Verità negata, il film di Mick Jackson ieri in anteprima alla Festa del cinema, è durata 45 minuti e ha dato il via a un lungo processo di avvicinamento e conoscenza: «Mi sono accorta che Rachel ha cercato di comprendere a fondo come sono fatta, studiando l’intonazione della mia voce, facendo di tutto per mettersi nei miei panni... Ho saputo anche che poi, in un’intervista, per far capire bene che tipo sono, mi ha definito una “vera rompiballe”». Alla confessione segue immediato sorriso, perché Lipstadt, 69 anni, newyorkese, volata nella capitale per presentare il film (nei cinema il 17 novembre, stesso giorno in cui uscirà il libro omonimo, edito da Mondadori) è particolarmente soddisfatta della trasposizione cinematografica della sua storia: «Il pericolo del negazionismo è sempre dietro l’angolo e può riguardare tutti i campi. È avvenuto con l’Olocausto, si è ripetuto con il genocidio degli armeni, con le stragi in Ruanda, nel ’94 e in tanti altri casi. Si dice sempre “mai più” e invece tutto continua a succedere di nuovo».
Deborah Lipstadt
Sceneggiato da David Hare (candidato all’Oscar per The reader - A voce alta») il film segue fedelmente le tappe della vicenda. In seguito alla pubblicazione nel Regno Unito di Denying the Holocaust: The Growing Assault on Truth and Memory, la professoressa Lipstadt è citata in giudizio per diffamazione da David Irving, lo studioso specializzato sul tema Hitler e Seconda guerra mondiale, che negava l’esistenza dell’Olocausto.
Secondo la legislazione britannica il compito di dimostrare la propria innocenza tocca alla presunta colpevole, il paradosso, quindi, è che Lipstadt deve difendere se stessa dimostrando, attraverso prove inconfutabili, che l’Olocausto non è un’invenzione. Tocca all’avvocato Richard Rampton (Tom Wilkinson), che si occupa del caso insieme a una squadra di collaboratori motivati e appassionati, ricostruire, nei minimi particolari, il funzionamento delle camere a gas, l’utilizzo delle capsule di cianuro, il fatto che, a differenza di quanto sosteneva Irving (Timothy Spall), i veleni usati nei lager non servivano a sterminare pidocchi, ma esseri umani. All’inizio, il rapporto con l’assistita Lipstadt non è affatto idilliaco, durante la visita ad Auschwitz, che risulterà fondamentale per la costruzione dell’arringa finale, l’avvocato appare poco rispettoso della sacralità del luogo. In più, durante i 32 giorni di udienze in tribunale, la scrittrice è obbligata a non aprire bocca e le richieste dei sopravvissuti ai campi, che vogliono offrire le loro deposizioni, vengono totalmente ignorate: «Il processo ha segnato una svolta importante - dichiara la scrittrice -, così come è accaduto per quello di Norimberga. Il negazionismo è una forma di antisemitismo. Come si vede bene nel film, Irving è un razzista e il razzismo, basta ascoltare certe uscite di Donald Trump, non è affatto morto».
L’arrivo sugli schermi della Verità negata ha sollecitato sgradevoli reazioni da parte dello storico inglese: «Sul suo sito web - racconta il regista - ha provato a fare ironie usando, al posto del titolo “Denial”, la parola “Dental”, ma la verità è che, dal processo in poi, la figura di Irving è stata fortemente ridimensionata».
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