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La Stampa Rassegna Stampa
09.10.2016 La memoria e il male 75 anni dopo Babi Yar
Discorso di Bernard-Henri Lévy

Testata: La Stampa
Data: 09 ottobre 2016
Pagina: 1
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Bernard-Henri Lévy: il dovere della memoria un passo oltre le tenebre»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/10/2016, a pag. 1-23, con il titolo "Bernard-Henri Lévy: il dovere della memoria un passo oltre le tenebre", il discorso di Bernard-Henri Lévy, pronunciato a Kiev in occasione del 75° anniversario del massacro di Babi Yar.

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Bernard-Henri Lévy

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Il massacro di Babi Yar

C’è sempre un momento, nel destino dei popoli, in cui le pagine più oscure del grande libro dei vivi e dei morti entrano nella luce della conoscenza e del rimorso. Per l’Ucraina questo momento è arrivato.

Settantacinque anni dopo il massacro, a Babi Yar, di tanti ebrei ucraini, tre quarti di secolo dopo la distruzione, in questo burrone per sempre maledetto e per sempre sacro, di 34 mila uomini, donne e bambini il cui unico crimine era essere nati ebrei, è giunto il tempo della contrizione, del pentimento e dell’iscrizione di questo crimine nel grande memoriale della coscienza universale.

E probabilmente non è un caso che questo momento cada alla vigilia dei giorni molto speciali che gli ebrei di tutto il mondo chiamano «i giorni terribili»; non è fortuito che coincida con la festa di Rosh Hashanah che è, per tutti gli ebrei, la celebrazione del Giudizio - un momento in cui ogni nazione, ogni popolo sono chiamati a comparire davanti al trono di Dio. Sono consapevole di quanto questo dovere della memoria o, se si preferisce, del riconoscimento, possa essere penoso e spesso doloroso. So cosa può costare, almeno in apparenza, alla storia nazionale e all’orgoglio che ne scaturisce.

La Francia è passata attraverso lo stesso tipo di dovere, sacro ma tragico, della memoria. Perché, in definitiva, questo è ciò che ha fatto il presidente Jacques Chirac quando ha riconosciuto la responsabilità dello Stato nella deportazione degli ebrei francesi, rompendo un silenzio sigillato da decenni di censura istituzionale e politica. Ed è quello che ha fatto il Cancelliere Willy Brandt quando è andato a inginocchiarsi davanti al monumento ai martiri del ghetto di Varsavia. E ancora, è ciò che ha proclamato papa Giovanni Paolo II quando ha preso la storica decisione di andare a pregare da solo ad Auschwitz.

Bene, adesso tocca all’Ucraina, attraverso la voce del suo Presidente, invitare il paese a non cedere, ovviamente, sull’Holodomor; a celebrare, ancora e ancora, la memoria del metropolita Andrei Cheptitsky, Giusto tra le Nazioni; ma, al contempo, a fare dei morti di Babi Yar il simbolo della nostra comune umanità e il baluardo contro il ritorno del peggio - questi ucraini sepolti senza tombe, senza lasciare tracce, e senza nemmeno essere contati.

Ma sappiamo altresì che questo processo di riconoscimento è anche propedeutico alla giustizia e alla verità. Sappiamo che nessun paese al mondo è mai riuscito a costruire nulla di solido senza prima aver dissipato le sue ombre e i suoi fantasmi. E sappiamo che questo lavoro scrupoloso e appassionato sulla memoria, quest’opera di svelamento senza tregua, è stato uno dei principi della nuova Europa - il suo motore, la sua base e la sua costituzione.

Ogni gesto che è stato fatto oggi, in questo giorno speciale, tutte le parole che sono state dette o i nomi che sono stati sussurrati, sono come un velo di dolore, perdono e redenzione che si posa sul terreno contaminato dal sangue di tanti innocenti.

Ma siate pur certi, anche, che il fatto stesso che questa cerimonia abbia avuto luogo, il ritrovarsi su questa terra desolata, di molti ucraini di tutte le origini e fedi (ebrei, cristiani, musulmani, agnostici...), con le più alte autorità della nuova Ucraina e i rappresentanti degli Stati (Israele, Germania) che con l’Ucraina, e ora con il resto del mondo, condividono l’eredità dei morti Babi Yar, è per il vostro paese un ulteriore passo fuori dall’era del totalitarismo e delle tenebre - e un passo in avanti nella direzione del ricongiungimento con l’Europa.

Traduzione di Carla Reschia

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