Purtroppo
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
Vorrei farvi oggi alcuni esempi di un problema molto grave, che vi esporrò alla fine.
Primo caso. L’organizzazione americana “J Street”, che si definisce “Pro Israel, pro peace”, in realtà è un raggruppamento di estrema sinistra, costituitosi negli anni dell’amministrazione Obama con lo scopo di soppiantare l’Aipac come principale espressione politica della comunità ebraica americana (la quale comprende fra i 5 e i 6 milioni di persone, poco meno della metà degli ebrei di tutto il mondo). Non è riuscita nello scopo, però ha intimidito molto l’azione politica filoisraeliana dell’Aipac e ha raccolto il cambio di campo dell’Anti Defamation League (ADL), che ormai è molto lontana dal sostegno a Israele che l’aveva caratterizzata in passato. Di recente J-Street ha deciso di appoggiare nelle prossime elezioni i parlamentari americani (una netta minoranza) che avevano votato a favore del fallimentare accordo con l’Iran (http://www.jpost.com/Middle-East/Iran-News/J-Street-backs-congressional-candidates-who-supported-nuclear-deal-with-Tehran-469490, http://www.timesofisrael.com/j-street-ad-campaign-to-back-pro-iran-deal-congressional-candidates/). Una mossa che non sorprende visto che J Street era stata accusata ancora pochi mesi fa di aver ricevuto massicci finanziamenti per appoggiare l’accordo (http://www.timesofisrael.com/j-street-received-over-500000-from-group-to-push-iran-deal/); ma che la pone ancora una volta in una condizione di contrasto frontale non solo con il governo israeliano, ma con uno schieramento quasi unanime della politica israeliana che critica l’accordo. Insomma, “J Street”, che è un’organizzazione composta prevalentemente da ebrei (anche se riceve molti finanziamenti arabi e di recente ha nominato una giovane musulmana sua segretaria giovanile), è uno dei luoghi principali di convergenza politica antisraeliana.
Secondo caso. Il New York Times, giornale posseduto dalla famiglia Sulzberger, di origine ebraica e progressisti anche loro, con una mossa definita “insolita” dal “Jerusalem Post” (http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/NY-Times-UN-Security-Council-should-set-Israeli-Palestinian-peace-terms-469647) ha appena pubblicato un editoriale, chiedendo a Obama di approfittare del periodo della sua sostanziale irresponsabilità che durerà un paio di mesi fra le elezioni dell’8 novembre e il giuramento del nuovo presidente il 20 gennaio per forzare la soluzione del conflitto fra Israele e Autorità Palestinese (naturalmente in senso palestinista) non ponendo il veto a una deliberazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che sarebbe vincolante anche per il suo successore (http://www.haaretz.com/israel-news/1.746412). E’ ciò che Israele teme di più in questo momento, l’incubo di una probabile vendetta di Obama contro Israele (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=63978). E forse questo incubo è ciò che ha indotto Netanyahu a firmare un accordo militare con gli Usa che molti giudicano sfavorevole, per non dare pretesti all’odio di Obama.
E’ anche il contrario del sentimento dominante nell’elettorato americano: qualche settimana fa 88 senatori su 100 hanno firmato una lettera a Obama, per chiedere esattamente il contrario, cioè che opponesse il veto a una probabile risoluzione antisraeliana (http://www.timesofisrael.com/88-senators-urge-obama-to-uphold-veto-on-one-sided-un-resolutions/). Pure in questo caso, niente di nuovo. La ricerca storica ha mostrato che durante la Shoà il NYT fece il possibile per minimizzare il genocidio, per non infastidire politicamente Roosevelt (http://www.thedailybeast.com/articles/2013/04/18/reporting-on-the-times-calls-out-new-york-times-holocaust-coverage.html; questo è il libro che ne parla: https://www.amazon.it/s/ref=nb_sb_noss?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&url=search-alias%3Daps&field-keywords=buried+by+the+Times, abbastanza importante da avere una voce di Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Buried_by_the_Times; e questa è la (debole) autodifesa del giornale: http://www.nytimes.com/2005/05/15/books/review/buried-by-the-times-horror-story.html). Corentemete il NYT rimase molto freddo alla dichiarazione di indipendenza di Israele (trovate qui la prima pagina di quel giorno e il testo dell’articolo: https://www.nytimes.com/learning/general/onthisday/big/0514.html).
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma mi fermo qui. Il punto è che buona parte degli ebrei americani si identifica fortemente con la sinistra democratica, ne costituisce una colonna (per esempio la metà dei contributi alla campagna di Hilary Clinton viene da ebrei: http://www.jpost.com/US-Elections/US-Jews-contribute-half-of-all-donations-to-the-Democratic-party-468774). E la sinistra americana, non da oggi e non seguendo le contorsioni degli atteggiamenti sovietici, ma oggi molto più di un tempo, è fortemente antisraeliana. C’è una contraddizione qui fra appartenenza al popolo ebraico e appartenenza allo scheramento politico progressista, che la maggior parte degli ebrei americani risolvono privilegiando il secondo termine, anche perché hanno la convinzione che la religione ebraica abbia questo contenuto, che l’essenziale dell’essere ebrei sia essere di sinistra. Devo a una cara amica, che ringrazio, la segnalazione di un articolo su uno dei più antichi giornali ebraici americani “The Forward” (cioè l’Avanti; ogni accostamento non è affatto casuale). Lo potete leggere qui ( http://forward.com/opinion/350768/hillary-clinton-is-a-flawed-candidate-just-like-god/), ma forse vi basta il titolo. “Hilary Clinton è un candidato imperfetto - proprio come Dio”.
Daniele Nahum
E’ un problema tragico e pericolosissimo, perché implica un progressivo allontanamento di una parte consistente degli ebrei americani dall’identificazione con Israele. E c’è qualche tentativo di contagio, da parte degli estremisti di sinistra più ideologici nel mondo ebraico, non in Israele, dove non hanno spazio di fronte all’evidenza della realtà, ma nel resto del mondo. Purtroppo (dico davvero purtroppo, anche questa è una tragedia per la sinistra e per gli ebrei che ci credono) l’incompatibilità fra la militanza di sinistra, anche moderata e non solo la solidarietà a Israele ma la lotta contro l’antisemitismo islamico, è sempre più chiara. E’ di ieri la notizia della cacciata di Daniele Nahum, esponente della comunità ebraica milanese e fedele militante del PD, dal ruolo di responsabile cittadino della cultura dello stesso partito (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=63980). Come lui stesso ha dichiarato al “Corriere”: «Durante lo svolgimento della Direzione metropolitana, il segretario del Partito democratico metropolitano ha deciso di togliermi la delega alla cultura. Devo dire che non mi è arrivata né una telefonata né una email, tanto meno mi è stato detto quali sarebbero le motivazioni di carattere politico di questa scelta — scrive Nahum, già vicepresidente e portavoce della Comunità ebraica milanese — . Niente di male, ognuno ha il proprio stile nel comunicare le sue legittime decisioni. Continuerò comunque a impegnarmi. Sono sempre stato convinto che si possa fare della buona politica anche senza aver alcun ruolo formale in un Partito».
La ragione di questo licenziamento in tronco? Aver fatto presente i rischi di un’alleanza del PD e della giunta comunale con l’Islam politico. Voglio dare atto a Nahum, da cui mi dividono molte cose, di aver cercato con coraggio di tenere assieme una militanza di sinistra e una difesa del mondo ebraico e più in generale della democrazia, dall’entrismo degli eredi della fratellanza musulmana. Purtroppo (lo ripeto, purtroppo) è stato sconfitto, come molti come lui prima. Oggi essere di sinistra nella politica americana, soprattutto nelle istituzioni accademiche e sempre più anche in Europa, significa essere nemici di Israele e anche degli ebrei in generale. Purtroppo.
Ugo Volli