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Il fatto storico più importante Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli Cari amici, se ci si chiede quale sia stato il fatto politico più rilevante degli ultimi anni, la risposta non può che variare a seconda del punto di vista. In Estremo oriente parlerei dell’accresciuta aggressività della Cina, che recupera con grande velocità la sua tradizione imperiale. Nell’Europa Orientale parlerei di un analogo ritorno dell’imperialismo russo. In quella occidentale della decisione della leadership non solo di accettare, ma di sollecitare l’invasione dei clandestini. Anche in Medio Oriente c’è stata un’affermazione dell’egemonia russa, ma qui domina soprattutto un imperialismo regionale particolarmente aggressivo, che usa il terrorismo, l’armamento di forze satelliti, la sovversione e la conquista di stati vicini: si tratta dell’Iran, che è ben più pericoloso dell’Isis. Dietro a tutti questi fenomeni ci sono le disastrose scelte politiche terzomondiste di Obama che mirano a depotenziare l’Occidente: ritirarsi, chiedere scusa, aprirsi alle invasioni, rafforzare i propri nemici con la speranza che diventino magicamente amici; magari in certi momenti fare la faccia un po’ dura (come in questi ultimi giorni con la Russia), avendo cura di precisare subito che la polemica “non degenererà” in un confronto vero e proprio - col risultato di perdere la faccia ancor più che se si fossero semplicemente accettati i diktat del nemico. Perfino Kerry si è lamentato che alla sua diplomazia dell’appeasement è stato rifiutato quel minimo di supporto della forza militare che era necessario per farla funzionare (http://www.nytimes.com/interactive/2016/09/30/world/middleeast/john-kerry-syria-audio.html?_r=0). Che le sfide esterne si accumulino, è ovvio e naturale, la politica è sempre andata in questa maniera. Il problema che determina la vitalità di ogni sistema politico o culturale, come ha lucidamente teorizzato un grande storico come Toynbee, è la sua capacità di dar risposta alle sfide che inevitabilmente incontra (http://assets.cambridge.org/97805216/53053/excerpt/9780521653053_excerpt.pdf). E l’Occidente, almeno il suo apparato politico egemone negli ultimi dieci anni, sembra aver perso non la possibilità, ma la volontà di rispondere alle sfide salvo che con la resa. Ma inevitabilmente nei nostri paesi avanzano altre forze - purtroppo di disomogenea qualità - che vogliono rispondere alle sfide. Questo stallo è chiaro per l’Europa e gli Stati Uniti, ma vale anche per Israele. Negli ultimi anni c’è stato un braccio di ferro continuo fra coloro che ritengono necessario rispondere con forza alle sfide mortali che insidiano l’esistenza stessa dello stato ebraico, alla cui radice oggi c’è un centro preciso, che è l’Iran, e i portatori di un pensiero analogo a quello di Obama, Bergoglio e Merkel, convinti che mostrarsi “buoni”, “ragionevoli”, non aggressivi, sensibili alle ragioni dell’altro, “disposti a dolorosi compromessi” fosse la strada per depotenziare le aggressioni.
E’ chiaro a tutti che le sfide esistenziali per Israele non vengono se non molto parzialmente dal terrorismo dell’Autorità Palestinese che è impotente e nemmeno dall’Isis, il cui baricentro è lontano. C’è un’aggressione attuale e continua da parte di Hamas, un rischio conclamato di Hezbollah e soprattutto la volontà iraniana di “cancellare Israele dalla carta geografica”; del resto è proprio dall’Iran che sono comandati Hamas e Hezbollah. Dunque la sfida viene da lì ed è lì che bisogna rispondere. I buonisti sembrano ritenere che facendo concessioni all’Autorità Palestinese si attenuerà la sfida dell’Iran. Questo è insensato, perché i palestinisti non si accontenteranno mai di meno che la distruzione di Israele. Loro non lo capiscono (non vogliono assolutamente capirlo). Ma fino alla mitica pace, come contrastare la minaccia nucleare iraniana, che non riceve ostacolo dagli Usa e dall'Europa? Le autorità politiche di Israele a un certo punto, quando ancora era possibile farlo, avevano deciso di distruggere le istallazioni nucleari dell'Iran. La stessa operazione che aveva tagliato le unghie a Saddam Hussein nel 1981, quando aveva cercato di produrre la bomba atomica anche lui (https://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Opera, https://www.youtube.com/watch?v=zWA2pthTBiM). Obama naturalmente era contrario, perché pensava che il modo migliore di trattare con gli ayatollah fosse di accontentarlo. Ma sembra che nel 2010 Netanyahu (primo ministro) e Barak (ministro della difesa) avevano deciso, senonché come quest'ultimo ha rivelato, ci fu un rifiuto da parte dei vertici militari e spionistici di Israele (http://www.timesofisrael.com/netanyahu-and-barak-ordered-the-military-to-be-ready-within-hours-for-strike-on-iran-in-2010-but-security-chiefs-rebuffed-them-tv-report-says/). Stranissima situazione, in una democrazia come Israele, quasi un golpe. Come fu possibile? E come i responsabili non furono mai non dico incriminati, ma neanche rimproverati? Forse non lo sapremo mai, perché questo fa parte di equilibri di poteri interni allo Stato Israeliano su cui si possono fare solo ipotesi. Alcuni negano che l'ordine sia stato effettivamente dato (http://www.mrctv.org/blog/tbd), molto probabilmente ci fu una consultazione che fermò l'iniziativa prima che assumesse le vesti legali di una decisione. Ma chi diede ai militari israeliani, autonomi sì, ma certo non golpisti, la forza di prendersi una tale responsabilità? Oggi è abbastanza chiaro, diverse fonti rivelano che fu Peres a dirigere la loro azione (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/218538, http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Peres-bombshell-I-stopped-an-Israeli-strike-on-Iran-469112). Il giudizio storico su un presidente che molti sono tentati di santificare (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=63942) sarà certamente determinato da questa scelta, oltre che dal disastro dei suoi accordi di Oslo (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=63939). Peres è il politico israeliano che si è assunta la responsabilità di mettere Giudea e Samaria in mano a un'organizzazione terroristica non pentita, e anche di far chiudere la finestra di opportunità con cui Israele poteva chiudere il progetto degli ayatollah. Il tutto per un sogno di pace, molto spesso smentito dai fatti. Il capo di quelli che vorrebbero un'Israele più simile all'Europa di Merkel e all'America di Obama è stato lui. Ha fatto bene o male? Gli elettori israeliani l'hanno sempre condannato. Ora solo la storia può giudicarlo.
http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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