Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/10/2'016, a pag. 12, con il titolo "In Siria strage di medici, sparano sulla Croce Rossa", l'intervista di Francesca Paci al direttore generale della Croce Rossa Internazionale Yves Daccord.
Il direttore generale della Croce Rossa Internazionale Yves Daccord denuncia non solo le stragi quotidiane che da 5 anni devastano la Siria, ma anche gli attacchi mirati contro medici e personale paramedico da parte di Al Nustra, Stato Islamico e Assad. A fronte di una situazione simile l'arrendevolezza dell'Occidente guidato da Obama ed Europa verso il terrorismo islamico è sempre più espressione di un fallimento.
Ecco l'articolo:
Francesca Paci
Yves Daccord
Sabato è stato messo fuori uso un altro degli ospedali a est di Aleppo, la zona assediata dall’esercito di Assad. È quasi una non notizia, ammette il direttore generale della Croce Rossa Internazionale Yves Daccord: «Il bombardamento delle strutture sanitarie è ormai routine». Daccord descrive la morte lenta della Stalingrado siriana con gli occhi al cellulare per gli aggiornamenti dei suoi uomini sul campo.
I volontari rimasti in città postano su WhatsApp le foto degli edifici colpiti chiedendo di identificarli come M2 o M10 per non indicare ai lealisti quali siano gli altri ancora in piedi. La situazione è a questo punto?
«Ci sono attacchi sistematici al personale e alle strutture mediche, sono stati bersagliati i convogli della Croce Rossa e le ambulanze. Non si tratta più di episodi sporadici. Sebbene oggi nessun posto sia sicuro, la gente di Aleppo ritiene più pericoloso stare in un ospedale che in mezzo alla strada. In realtà non avviene solo ad Aleppo, potrei dire lo stesso di Homs, Idlib».
È la fatalità della guerra o, come denuncia Medici Senza Frontiere, sono attacchi intenzionali?
«Entrambe le cose. Da una parte, come in qualsiasi guerra civile che si consumi nelle aree urbane, la linea del fronte si sposta di continuo spiazzando le persone e i loro ripari. Dall’altra Medici Senza Frontiere ha ragione: dal principio della crisi siriana assistiamo all’attacco sistematico di dottori, infermieri, ospedali e malati da parte dell’esercito di Damasco ma anche dell’Isis e di al Nusra. Sin dal 2011 è evidente il disprezzo assoluto dei feriti e delle strutture sanitarie. Il corpo delle vittime è diventato il campo in cui combattere l’estrema battaglia, un salto di qualità che non si verifica in tutte le guerre».
Quante persone avete ad Aleppo e quante ne avete perse?
«Abbiamo 50 persone ad Aleppo di cui 6 internazionali. Il rischio è enorme ma non possiamo lasciare soli i locali. Dal 2011 a oggi abbiamo avuto 54 operatori della Mezzaluna Rossa uccisi e 3 ostaggi internazionali, il più alto numero di perdite dalla Seconda guerra mondiale».
L’Onu parla della Siria come della maggiore crisi internazionale dell’ultimo secolo. È così?
«Non so fare paragoni perché l’accesso alle cifre è complesso, soprattutto nella zona est di Aleppo. Ma difficilmente ho visto una situazione simile, non perché nelle altre guerre non siano state commesse atrocità ma perché l’abisso che separa l’Aleppo sofisticata di 5 anni fa da quella di oggi è di una violenza drammatica, senza eguali».
Si cita l’assedio di Sarajevo.
«Ripeto, non so comparare. Ma se c’è una similitudine sta nel fatto che a un certo punto a Sarajevo tutti hanno pensato di poter vincere attraverso la guerra e ad Aleppo sta succedendo proprio la stessa cosa».
Chi vive nella Aleppo assediata?
«Ci sono 250 mila persone, non possono essere tutti terroristi o ribelli. Perché sono rimasti? Ci sono fasi differenti in questi casi: all’inizio molti riluttano a scappare perché non vogliono lasciare le proprie cose e magari vanno nei villaggi vicini, poi quando la situazione si aggrava fugge solo chi ha i soldi. Oggi è troppo tardi sia per chi ha temporeggiato che per i poveri».
Cosa riuscite a far entrare?
«Poco di medico. In questi casi i belligeranti si impediscono a vicenda la cura dei feriti, fa parte del conflitto. Seppur a fatica ad Aleppo riusciamo per esempio a portare acqua e servizi igienici ma medicine quasi niente».
Si può ancora fare qualcosa?
«I leader mondiali devono capire che non ci sarà una soluzione militare o umanitaria in Siria ma solo politica. Per il resto sarebbe già molto rispettare la risoluzione 2286 del Consiglio di sicurezza dell’Onu per far passare i beni di prima necessità».
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