IC7 - Il commento di Davide Romano
Dal 25 settembre al 1 ottobre 2016
Una questione di coerenza
Shimon Peres
I notiziari televisivi, i giornali e le cronache dal web ci hanno raccontato dei leader del mondo andati a rendere l'ultimo saluto a Shimon Peres. Immagini luccicanti e abbaglianti, ma che proiettano delle ombre assai inquietanti: rarissimi i media che le hanno notate, registrando le pesanti e ciniche assenze di tutti i leader del mondo arabo-islamico. Sono queste ultime infatti, a farci capire quanto ancora sia lontana la pace. Dimentichiamoci dunque le polemiche contro Netanyahu e le sue responsabilità politiche, e guardiamo in faccia la realtà: non è il premier israeliano di turno il problema, ma l'identità ebraica e sionista dell'intero Paese a non essere tollerata e accettata da quel mondo.
In rosso, i Paesi che non hanno relazioni diplomatiche con Israele; in giallo, quelli che le hanno avute in passato ma non le hanno oggi
Una tesi eccessiva? Permettetemi di argomentarla: Peres è mancato, e a porgere l'ultimo omaggio non abbiamo visto Capi di Stato musulmani. Si dirà: per forza, visti i rapporti tra israeliani e palestinesi. Già, ma Abu Mazen (che è leader dei palestinesi) ai funerali c'era. Dunque? Perché questi leader non sono andati al funerale di Peres? Qualcuno dirà: perché non possono andare in Israele, visto che non ne riconoscono l'esistenza. Premesso che non riconoscere il diritto di un Paese a esistere è folle, andiamo oltre: la Giordania, l'Egitto e anche la Turchia riconoscono il diritto di Israele a esistere. Eppure i rispettivi capi di Stato non c'erano, e al massimo hanno mandato un anonimo sottosegretario. Azzardiamo un'altra risposta allora, sentendo le denunce di Al Jazeera che racconta che "Peres era un criminale di guerra". Anche questa è però una motivazione risibile, ma prendiamola per buona: non mi risulta che i capi di Stato arabi si siano mai rifiutati di andare alle esequie di tiranni che massacravano (sul serio) popoli interi.
Dunque, ancora, qual è il motivo dell'assenza? Semplice: la coerenza. Non possono andare ai funerali di Peres perché hanno nutrito di propaganda antiebraica e antisraeliana (e anticristiana, e antiliberale, e antidemocrazia, ecc.) le loro opinioni pubbliche. Nei loro Paesi le tv e i giornali demonizzano quotidianamente le minoranze. Non potrebbero oggi mandare un messaggio all'improvviso di umanità verso un ebreo sionista. Questo deve essere di insegnamento a chi cerca la pace. Finché questi capi di Stato non cambieranno la propaganda di odio vigente nei loro Paesi, qualunque pace sarà fasulla o, meglio, una pace tra leadership senza riscontri tra i popoli. Come quella con Egitto, Giordania e Turchia. Meglio di niente, per carità. Ma se una pace vuole essere duratura, deve essere sincera. Altrimenti, è solo un armistizio.
Davide Romano
Portavoce della sinagoga Beth Shlomo di Milano, conduttore televisivo, scrittore, autore di opere teatrali, collabora con La Repubblica - Milano