Perché Abbas non andrà al Parlamento israeliano
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: il vero volto di Abu Mazen è quello di un terrorista, come Arafat
Cari amici,
che l’Onu sia un baraccone che segue tutt’altri interessi dalla pace e dalla giustizia di cui si ammanta, non ho bisogno di dirvelo, tanto spesso ve l’ho dovuto mostrare su episodi concreti in cui l’organizzazione si è schierata dalla parte del torto, della guerra, dell’ingiustizia. E credo vi sia evidente che l’Assemblea generale sia il peggio dell’Onu (con l’eccezione forse di agenzie specifiche come l’Unesco e il consiglio dei diritti umani, diretti dai nemici dei valori che questi organismi dovrebbero tutelare). A partire dagli anni Settanta del secolo scorso nell’Assemblea si è saldata una maggioranza di stati comunisti ed ex (ma ancora poco mutati come la Russia), dittature terzomondiste, islamisti, il cui scopo precipuo è usare l’organizzazione internazionale come arma contro l’Occidente - negli ultimi anni di Obama e dell’Europa merkeliana col suo consenso.
La sessione autunnale dell’Assemblea si apre però tradizionalmente con la sfilata dei capi di Stato e di governo che fanno discorsi per lo più vuotamente demagogici e propagandisti; nondimeno è interessante stare a sentire che cosa si dicono, perché da questi discorsi si vede l’immagine politica che vogliono proiettare. Così è stato anche nei giorni scorsi, per esempio con un importante discorso di Netanyahu di cui vi ho parlato ieri (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=63845). Al centro del suo discorso c’è stata la constatazione della nuova e positiva posizione di Israele nella comunità internazionale, l’annuncio “agli ultimi giapponesi” antisionisti che “la guerra dell’Onu contro Israele è finita”; il rifiuto di un colpo di coda per cercare di imporre al consiglio di sicurezza dopo le elezioni americane, quando Obama non avrà nulla da perdere, una delibera che cerchi di imporre a Israele una soluzione non negoziata del conflitto con l’Autorità Palestinese; e infine l’invito rivolto a Abbas di cercare questa soluzione seguendo la strada di Sadat, con una visita di accettazione della sovranità israeliana alla Knesset, che egli si è detto disposto a ricambiare subito.
L'incitamento al terrorismo da parte della leadership palestinese
Subito vi sono state facili profezie sul rifiuto di Abbas (la più chiara è qui: https://www.commentarymagazine.com/foreign-policy/middle-east/why-abbas-wont-accept-bibis-offer/). E in effetti, secondo la regola enunciata già da Abba Eban (“i palestinesi non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione”), Abbas ha subito rifiutato di parlare ai rappresentanti del popolo israeliano: http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Abbas-Netanyahus-invitation-to-the-Knesset-is-a-scheme-to-avoid-talks-468634. Per lui l’offerta è “una trappola”. Come volevasi dimostrare, per un movimento terrorista che è stato fondato per distruggere Israele con le armi, vive di aiuti per questa sua lotta e seleziona i dirigenti sulla base dell’esperienza terrorista, la pace è la trappola.
Lo dimostra bene il discorso di Abbas all’Onu (precedente a quello di Netanyahu). Anch’esso ha un centro, che vale la pena di considerare attentamente, anche se è mascherato in linguaggio burocratico, tanto da sembrare una delle circolari ministeriali del nostro paese. Ecco il passo:
"Israele, dal 1948, ha persistito nel suo disprezzo per la legittimità internazionale violando la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite 181 (II), la risoluzione di spartizione, che prevedeva la creazione di due stati sulla terra storica della Palestina, secondo un piano di partizione specifico. Le forze israeliane hanno sequestrato più terra di quella assegnata a Israele, il che costituisce una grave violazione degli articoli 39, 41 e 42 della Carta delle Nazioni Unite. Nel preambolo della risoluzione 181 (II), punto (c) afferma chiaramente: "Il Consiglio di Sicurezza determina come una minaccia alla pace, una violazione della pace o di un atto di aggressione, ai sensi dell'articolo 39 della Carta, ogni tentativo di modificare con la forza l'insediamento previsto dalla presente risoluzione. "... Purtroppo, però, il Consiglio di Sicurezza non ha attuato le proprie responsabilità di tenere Israele responsabile per il suo sequestro del territorio assegnato allo Stato palestinese secondo la risoluzione di spartizione". (Trovate tutto il discorso qui: http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/READ-Full-text-of-PA-president-Abbass-speech-to-UN-General-Assembly-468466).
Tradotto in una lingua comprensibile Abbas dice (al vertice della diplomazia mondiale, non ai suoi accoliti di Ramallah) che non si accontenta affatto di quelli che impropriamente sono chiamati “confini del ‘67”, ma sono in realtà le linee armistiziali del ‘49 e che trovate sulle mappe più diffuse di Israele, e includono nello stato ebraico la Galilea, la pianura costiera e il Neghev, ma non Giudea e Samaria. C’è un secondo passo: lui ritiene di avere diritto ai confini proposti nella delibera (non vincolante e comunque rifiutata dai paesi arabi) dall’Assemblea dell’Onu nel ‘47. Non vuole solo annullare le posizioni che Israele si è conquistato nelle guerre difensive del ‘67 e del ‘73, ma anche quelle della guerra di indipendenza del ‘48-’49. E’ una posizione insostenibile, perché invece di prendere quella proposta, che Ben Gurion aveva accettato per realismo, gli Stati arabi (con l’aiuto esplicito degli inglesi) fecero al neonato stato di Israele una guerra di sterminio, che miracolosamente si concluse con la vittoria di Israele e con le linee di demarcazione che vi ho citate. Quella proposta è dunque stata distrutta dalla guerra e le linee del ‘49 sono state accettate da tutti gli stati che hanno rapporti con Israele, inclusi la Giordania e l’Egitto.
Certo, la riserva che il Dipartimento di Stato americano (il settore tradizionalmente più antisionista dell’Amministrazione) fa sull’appartenenza a Israele di Gerusalemme, che nel piano del 47 doveva essere una enclave non appartenente né allo stato ebraico né a quello arabo, è emersa fino in tribunale nella questione dell’intestazione dei passaporti dei cittadini americani nati a Gerusalemme, di cui vi ho parlato più volte. E l’Italia fra gli altri paesi segue questa linea, scrivendo sui passaporti degli italiani residenti a Gerusalemme che vivono nello stato “ZZZZZ”. Anche di questo vi ho parlato. Ma si poteva pensare che queste posizioni servissero semplicemente a non irritare gli stati arabi oltranzisti. E invece Abbas ci fa sapere che ci conta (http://israelbehindthenews.com/game-changer-abbas-un-speech/15133/).
E non è finita qui, perché ad Abbas non basta tornare indietro “nel ‘67” o “nel ‘47”. Sempre nel discorso all’Onu ha ribadito che considera illegittima la Dichiarazione Balfour, con cui la Gran Bretagna nel ‘17 si impegnava ad appoggiare la realizzazione di una “patria ebraica” nei territori ancestrali del popolo ebraico e la successiva delibera del ‘22 con cui la Società della Nazioni incaricava proprio la Gran Bretagna di gestire un Mandato in quelle terre, proprio allo scopo di realizzare la “patria ebraica”, che è il primo fondamento giuridico dello stato di Israele. E’ grottesco minacciare una causa a uno stato sovrano per una divisione di un secolo fa, ratificata poi dalla Società della nazioni (l’Onu del tempo) e Netanyahu ha avuto buon gioco a invitare Abbas a querelare la Persia per la lettera di Ciro che nel V secolo aEC autorizzò gli ebrei a rientrare nella loro terra dopo l’esilio babilonese (se ne può vedere il testo originale al British Museum) o a far causa per annullare l’acquisto della grotta di Hebron da parte di Abramo, di cui parla la Bibbia.
Ma il punto non è la fondatezza giuridica di queste rivendicazioni. E’ il fatto che la sola pace che i palestinisti concepiscono, il solo punto finale che vogliono è la distruzione di Israele, la “liberazione della Palestina fino all’ultimo granello di sabbia”. Hamas almeno ha il merito di dirlo esplicitamente. Abbas si nasconde dietro a fumisterie diplomatiche e formule burocratiche, ma la pensa alla stessa maniera. Fin che la penseranno così, è evidente che la pace è impossibile. Per questo Abbas ha ovviamente rifiutato tutti gli inviti di pace e anche quest’ultimo all’Onu. Per questo è illusorio e pericoloso pensare a “costruire la pace”: il conflitto riguarda l’esistenza di Israele e dunque non si può risolvere, solo gestire limitando la capacità dei palestinisti di fare danni e violenza.
Ugo Volli