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La Repubblica Rassegna Stampa
26.09.2016 La penna Aurora: una storia di imprenditoria ebraica
Analisi di Paolo Griseri

Testata: La Repubblica
Data: 26 settembre 2016
Pagina: 22
Autore: Paolo Griseri
Titolo: «Aurora: 'La stilo è nata socialista, oggi portiamo il lusso negli Usa'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA - Affari e Finanza di oggi, 26/09/2016, a pag. 22, con il titolo "Aurora: 'La stilo è nata socialista, oggi portiamo il lusso negli Usa' ", l'analisi di Paolo Griseri.

La storia della penna Aurora è un esempio tipico di imprenditoria ebraica, di cui scrive in un capitolo del suo "La mia terra promessa" Ari Shavit, un libro di cui consigliamo la lettura.

Ecco l'articolo:

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Paolo Griseri

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Una penna Aurora

Nell'ingresso di velluti rossi e teche colme di stilografiche prestigiose, Cesare Verona cala subito l'asso: «Ho scritto la mia tesi di laurea su un floppy disk, come tutti i ragazzi degli anni 80. Oggi è diventata illeggibile mentre possiamo ancora sfogliare libri antichi di un millennio». Come i tomi che ricopiavano con la penna d'oca i monaci benedettini fondatori dell'abbazia di san Giacomo 870 anni fa. Negli edifici di quella abbazia, nel secondo dopoguerra, si è insediata la fabbrica dell'Aurora, ormai uno dei simboli dell'Italia nel mondo. Due modelli usciti dalle officine dell'azienda torinese sono finiti direttamente al MoMa di New York come esempio di stile e design italiano: la stilografica Hastil del 1970 e la penna a sfera Thesi del 1974, disegnate da Marco Zanuso.

II modello del lusso per eccellenza è la "88", da un'idea di Marcello Nizzoli, lo stesso che creò poco lontano da qui la Olivetti Lettera 22, mitica macchina per scrivere. Per Aurora ha lavorato Giorgetto Giugiaro. L'azienda collabora ancor oggi con Louis Vuitton e Versace. L'Aurora nasce nel 1919 e alla vigilia del compleanno del secolo scommette su una seconda vita. «È evidente - dice l'amministratore delegato - che non possiamo più permetterci di vivere solo del mercato di consumo». Chi utilizza ormai la stilografica? Chi scrive più a mano? «Qualcuno resiste - confessa Verona - e talvolta tra i curricula che ricevo ne trovo qualcuno scritto con la stilografica. Confesso che lo leggo con un occhio di riguardo». Astuzia del candidato o ritorno delle vecchie abitudini? La prima ipotesi sembra la più probabile. Nell'epoca del tablet e degli smartphone i pollici hanno sostituito il pennino.

«La stilografica - spiegano nella fabbrica torinese - sta diventando come l'orologio. Lo si compera per il piacere di averlo, non certo per sapere che ora è». Cosi ragionano certamente i ricchi clienti che in ogni parte del mondo si avvicinano alla stilografica italiana. L'orgoglio di Verona è quello di aver saputo internazionalizzare il mercato dell'azienda. Che solo nel 2000 era in gran parte italiano e oggi per il 55% è all'estero. Con un'interessante divisione: solo il 20% del mercato estero è in Europa. Il 50% è in Asia e Medio Oriente e il 30% in America. Lo sceicco che compera l'orologio personalizzato è lo stesso che acquista una Aurora tempestata di pietre preziose, modello unico da un milione di euro. Come per le auto di lusso anche nelle stilografiche esiste il taylor made, la creazione di modelli esclusivi a misura del cliente.

Nella show-room dell'ingresso è esposta la "Petra" modello creato appositamente per la famiglia reale di Giordania. Costo 200 mila euro. Cesare Verona, 53 anni, ha ereditato l'azienda di famiglia cinque anni fa. «Non è stato semplice ottenere un cambio di mentalità. Fino a non molti anni fa questa era un'azienda in cui l'età media era di 55 anni e la lingua ufficiale era il piemontese. Oggi abbiamo dipendenti mediamente trentenni che parlano inglese». Uscire dal Novecento è stato faticoso. E costato una profonda ristrutturazione. Il taglio degli organici spesso ha voluto dire separarsi da persone che erano la memoria vivente della storia aziendale. Tra gli anziani c'è ancora chi riconosce nel cortile il busto del mitico ingegner Torchi, uno dei principali collaboratori di Franco Verona, padre di Cesare.

All'origine di questa storia secolare c'è la singolare figura di Isaia Levi, per la precisione di Abramo, Giacobbe, Isaia Levi. Levi impiantò la fabbrica di penne stilografiche nel centro di Torino e a poca distanza aprì un negozio per la vendita dei suoi prodotti. Erano gli anni del biennio rosso. Gli operai occupavano le fabbriche torinesi e chiamare un'azienda "Aurora" era un modo per mostrare fiducia nel secolo che stava nascendo. "Aurora" era il nome dell'incrociatore che due anni prima, nel 1917, aveva dato il via alla rivoluzione d'ottobre, un nome di riferimento per il movimento socialista dell'epoca. Negli anni difficili fra il 1929 e il 1931 la fabbrica, sotto la direzione di Rodolfo De Benedetti, che era cugino di Isaia Levi, subì una ristrutturazione che portò i dipendenti da 250 a 150, ma resistette alla tempesta. Negli anni successivi Levi sarebbe diventato uno dei personaggi più influenti del Ventennio. Al punto che, caso assai raro, ottenne l'arianizzazione all'indomani delle leggi razziali e fu nominato senatore.

Sopravvisse alla fine del fascismo rifugiandosi in Vaticano. La fabbrica a quel punto fu rilevata dal nipote Giuseppe Enriques che la guiderà nel dopoguerra fino a passare la mano, a fine anni 60, a Franco Verona. Per fuggire alle leggi razziali i Verona erano riparati in Argentina. Il nonno di Franco era stato il primo rappresentante in Italia della Remington, l'azienda americana di macchine per scrivere: «Mio bisnonno - scherza Cesare - è stato il primo a portare in Italia la macchina per scrivere, 40 anni prima di Olivetti». Insomma, la scrittura nel dna.

Come sarà il futuro dell'Aurora, che oggi occupa una cinquantina di dipendenti? Si trasformerà ancora di più in un'azienda del lusso, ambasciatrice di italianità nel mondo. La fabbrica continua a sfornare modelli prodotti con attenzione artigianale. Uno dei pezzi forti della visita delle scolaresche è l'incontro con l'ingegner Filippo. Un signore alto, simpatico, con la barba rada. Si presenta con una scatola di legno e 17 pezzi d'oro adagiati sul velluto scuro: «Questi - spiega ai ragazzi - sono i 17 passaggi necessari a creare il pennino della stilografica». Si comincia con un piccolo rettangolo d'oro, lo si lamina in quattro passaggi successivi per affinarne lo spessore prima di sagomarlo, forarlo, imbutarlo (dargli la classica curvatura) e fissare sulla punta la pallina di iridio che darà lo spessore alla traccia di inchiostro lasciata sul foglio. "Con la stessa cura - spiega Verona - realizziamo ciascuna delle 220 parti ci cui è composta una stilografica".

Nessun stupore dunque se alcuni esemplari possono costare centinaia di migliaia di euro. La scommessa di Cesare Verona è ancora in corso. Negli ultimi mesi, superati gli effetti economici della ristrutturazione, i fatturati tornano a crescere puntando verso quei 10 milioni all'anno che per ora sembrano un obiettivo non immediato. Ma è da qui che bisogna partire se si vuole tutelare il brand italiano delle penne stilografiche. In attesa che l'antica abbazia abbandonata torni ad essere quello che sono sempre state nei secoli le biblioteche benedettine: uno dei poli di diffusione della scrittura. Come testimonia l'indovinello dei monaci veronesi dell'VIII secolo. Il copista, è scritto in un "a margine" trovato da Luigi Schiapparelli sulla pergamena di un codice spagnolo giunto in Veneto, usa la penna d'oca come un aratro e "sparge un seme nero su un prato bianco".

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