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La Repubblica Rassegna Stampa
25.09.2016 A Jeremy Corbyn la guida del Partito Laburista inglese, lo sta già trasformando in una setta
Enrico Franceschini intervista Anthony Giddens

Testata: La Repubblica
Data: 25 settembre 2016
Pagina: 13
Autore: Enrico Franceschini
Titolo: «Il Labour ora è una setta con Corbyn leader rischia di scomparire»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 25/09/2016, a pag.13, con il titolo "Il Labour ora è una setta con Corbyn leader rischia di scomparire" l'intervista a Anthony Giddens di Enrico Franceschini.

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La vittoria di Jeremy Corbyn, o meglio la consegna del Partito Laburista inglese nelle mani di un estremista, può avere per assurdo qualche conseguenza positiva, la più sigificativa di ridurlo  a una setta - come dice Giddens- e quindi allontanarlo definitivamente da un ritorno alla guida del paese.
In Europa - come ci informa puntualmente Manfred Gerstenfeld- tutti i partiti laburisti sono su posizioni estreme, sia in politica interna che estera, accomunati da pericolose ostilità nei confronti di Israele. Persino l'economia, che avrebbe dovuto migliorare nei governi a guida laburista, è stata un fallimento. Succederà cosi anche in Gran Bretagna, come sta già succedendo in diversi paesi scandinavi.

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Enrico Franceschini

Ecco l'intervista:

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Anthony Giddens

«Il Labour ha un futuro molto difficile, la rielezione di Jeremy Corbyn rischia di farlo scomparire», dice Anthony Giddens, il teorico della Terza Via, la svolta riformista che a metà anni ’90 portò i progressisti al governo in Gran Bretagna e in gran parte d’Europa. «Fare l’opposizione è ben diverso da governare, come il Movimento 5 Stelle ha scoperto a Roma», ammonisce l’illustre sociologo, ex direttore della London School of Economics e membro della camera dei Lord. Ma la rinascita potrebbe venire da Hillary Clinton, se diventerà presidente degli Stati Uniti, dal primo ministro canadese Justin Trudeau e da Matteo Renzi, possibili leader di un programma globale – conclude Giddens – per «rilanciare la sinistra, ridefinire la cosa pubblica e affrontare rischi e opportunità del nostro tempo». Cosa significa la vittoria di Corbyn, professore? «Le primarie sono state indette per contestare la sua leadership, ma hanno finito per rafforzarla. La strategia dei suoi avversari interni ha avuto l’effetto opposto a quello desiderato: Corbyn riafferma il suo pieno controllo sul Labour. Ma oggi il Labour somiglia a una setta, a un movimento, più che a un partito aspirante a governare». È tutto sbagliato il messaggio di Corbyn? «No, molti dei problemi da lui segnalati sono reali, le crescenti diseguaglianze, la classe operaia e la classe media occidentale lasciate indietro dalla globalizzazione, un modello liberale che si affida troppo al mercato. Ma non si risponde a questi problemi con le ricette degli anni ’70, con la nazionalizzazione, con il ritorno al passato. Alla Gran Bretagna serve quello che io chiamo un Labour d’avanguardia, che difenda valori moderni, europei e cosmopoliti». Il movimentismo di protesta non è un fenomeno solo britannico. «Lo abbiamo visto all’opera negli Stati Uniti, con Bernie Sanders nel partito democratico e Donald Trump in quello repubblicano, così come in altri Paesi. La differenza è che in Gran Bretagna è arrivato a conquistare un grande, storico partito di massa». Quale è il limite dei movimenti di protesta? «Definirsi solo come forza d’opposizione. Una volta al governo bisogna essere pragmatici, accettare compromessi, assumere responsabilità, ed è maledettamente più complicato. La Grecia è un esempio di come un movimento protestatario, Syriza, finisca per essere minato dalle stesse forze che aveva provato a controllare. E in Italia il Movimento 5 Stelle sta sperimentando, a Roma, la differenza tra essere un movimento d’opposizione e governare”. Che scenari vede per il Labour? «I deputati che all’inizio dell’estate hanno votato la sfiducia a Corbyn, innescando la crisi che ha portato a riconvocare le primarie, possono provare ad appoggiarlo nel nome dell’unità del partito, ma le posizioni sono distanti. Oppure possono provocare una scissione, per formare un’alleanza di centro-sinistra con liberaldemocratici e verdi, ma in Gran Bretagna queste iniziative non hanno mai avuto successo. Il Labour ha un futuro molto difficile, rischia di scomparire, consegnando a lungo il Paese ai conservatori. Facendo del Regno Unito, come ha scritto l’Economist, uno stato mono-partitico». E che scenari per la sinistra occidentale? «C’è un grande lavoro da fare per riconquistare le posizioni di vent’anni fa, quando i progressisti erano la forza maggioritaria in Europa. Sono convinto che Hillary Clinton, se sarà eletta presidente, avvierà un programma transnazionale coinvolgendo leader come Trudeau e Renzi. Il premier italiano può fare molto per rilanciare l’idea progressista. Il centrosinistra ha bisogno di una nuova agenda internazionale per affrontare rischi e opportunità del nostro tempo. Occorre recuperare un senso della cosa pubblica, colmare un vuoto intellettuale. Chi crede di riempirlo con un’Europa di stati nazione e il collasso dell’euro è un lunatico».

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