Per l’Egitto Israele non è più un’entità terroristica
Analisi di Zvi Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
http://www.jpost.com/Jerusalem-Report/No-longer-a-terrorist-entity-467203
Zvi Mazel Netanyahu-Al Sisi, alleati contro il terrorismo
I recenti commenti del Ministro degli Esteri egiziano mostrano di capire le ragioni di Israele. Sulla sicurezza, un ulteriore segno di legami più stretti tra i due Paesi.
Il Ministro degli Esteri egiziano ha portato una ventata di aria fresca al conflitto arabo-israeliano che dura da decenni, quando il 21 agosto scorso ha dichiarato in modo inequivocabile, che Israele non può essere considerato uno Stato terrorista. Questo ulteriore passo verso relazioni più strette tra Egitto e Israele si è propagato in tutto il mondo arabo, dove accusare lo Stato ebraico di terrorismo contro i palestinesi è un principio fondamentale di propaganda.
A Sameh Shoukry, ministro degli esteri egiziano, in un incontro con alcuni studenti delle scuole superiori avvenuto nel suo ufficio, è stato chiesto perché le azioni di Israele contro i palestinesi non erano da considerare come terroristiche. Lo scambio di opinioni tra gli studenti e il Ministro è stato registrato e pubblicato dal Ministero degli Esteri egiziano sul web. La sua risposta basata sui fatti è stata priva delle solite accuse contro Israele, così comuni nel mondo arabo.
Ha dichiarato: “Si può guardare la situazione dal punto di vista dello stato di necessità”, ha spiegato, “certamente guardando la sua storia, Israele è una società nella quale il fattore sicurezza è fondamentale”.
Ha poi ha aggiunto qualcosa di sorprendente, “Dal punto di vista di Israele, fin dal 1948 il suo popolo ha dovuto affrontare molte sfide che hanno creato le basi del concetto di sicurezza nazionale, insieme al controllo dei confini”.
Il Ministro ha poi detto: “Non ci sono prove che dimostrino un legame tra Israele e i gruppi terroristici armati”.
Parole che rivelano un modo nuovo di vedere Israele e la sua posizione nella regione rispetto agli atteggiamenti arabi, alle istituzioni islamiche e alle élite nazionaliste che ancora oggi si rifiutano di riconoscere la sua legittimità e le si oppongono con forza.
Non solo per il fatto che Shoukry prende le distanze dal definire le azioni israeliane come atti di terrorismo, che sono da considerare illegittimi e meritevoli di condanne senza riserve; ma anche per aver ricordato il 1948 , l’anno della proclamazione dello Stato d’Israele e della guerra d’indipendenza, entrambe alle origini della Nakba o “catastrofe” , così definita dai palestinesi e da tutti gli arabi. Ed è stato proprio a causa delle sfide scaturite da questo preciso fatto storico che, da allora, Israele ha dovuto reagire con la forza.
Le parole di Shoukry hanno destato clamore in Egitto, anche se molti media hanno scelto di ignorarle, compresi quelli vicini al regime, riluttanti di fronte a dichiarazioni potenzialmente esplosive. Il giorno dopo infatti, un portavoce del Ministero degli Esteri ha accusato “diversi quotidiani” di aver distorto ciò che era stato effettivamente detto e di aver riferito falsamente le dichiarazioni del Ministro secondo cui l’uccisione di bambini palestinesi non era terrorismo.
Quei giornali erano colpevoli di incitamento contro la ben nota posizione dell’Egitto, che si è battuto per i diritti dei palestinesi in passato, nel presente, e che continuerà a farlo in futuro. Ha poi sottolineato che gli studenti non avevano posto domande specifiche riguardanti l’uccisione di bambini palestinesi, ma avevano semplicemente espresso una domanda teorica sul motivo per cui la comunità internazionale non ha definito le azioni di Israele come atti di terrorismo.
Il Ministro, ha detto il portavoce, aveva risposto che nel diritto internazionale non c’era nessuna definizione che potesse riferirsi a specifici reati commessi.
In altre parole, il Ministero degli Esteri non ha cercato di prendere le distanze da quel che aveva detto, più semplicemente aveva accusato i media di aver distorto le sue parole.
Presi nel contesto dell’evoluzione dei rapporti tra Egitto e Israele, i commenti di Shoukry possono essere visti come un ulteriore passo verso legami più stretti tra i due Paesi. E’ ben noto che ci sono una forte intelligence e una cooperazione nella sicurezza fra Israele ed Egitto, fondate, tra altre considerazioni, sulla minaccia che hanno in comune da parte dello Stato islamico nella Provincia del Sinai. Se non sarà sconfitto, attaccherà direttamente Israele oltre allo stesso Egitto. In passato, nel 2011, il gruppo islamista aveva lanciato missili oltre il confine ed è stato responsabile di un attacco terroristico vicino a Eilat in cui sono stati uccisi otto israeliani.
Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu dichiara apertamente di avere frequenti conversazioni con il Presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi. Tale è lo sfondo del graduale riavvicinamento tra i due Paesi: l’Egitto ha inviato un ambasciatore a Tel Aviv e l’Ambasciata di Israele al Cairo è di nuovo aperta. Sisi ha anche detto che è pronto a contribuire a promuovere i negoziati tra Israele e i palestinesi e il suo Ministro degli Esteri ha recentemente fatto una visita in Israele. Gli inviati del Primo Ministro Netanyahu partecipano regolarmente al Cairo a comuni colloqui ad alto livello. Si può presumere con certezza che parlino di argomenti generali e non solo della questione palestinese, che è ben lungi dall’essere la priorità principale di Sisi. Non ci si può sbagliare: il Presidente egiziano ha lanciato uno sforzo a tutto campo per sviluppare il suo Paese e metterlo sulla via della crescita economica sostenibile. La cooperazione con Israele si inquadra in questa visione.
Sisi è un musulmano convinto, ma ha sempre evitato l’estremismo religioso. E’ stato notevolmente moderato riguardo a Israele da quando è diventato un personaggio pubblico, cioè, quando fu nominato Ministro della Difesa dal Presidente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, poi spodestato;
Morsi aveva la convinzione, errata, che questo generale avrebbe contribuito al governo della Fratellanza, attraverso l’appoggio dell’esercito. Sisi si astiene dall’attaccare o addirittura dal condannare Israele. Si era già visto chiaramente dalle prime interviste che aveva dato alla stampa, anche prima della sua elezione alla presidenza. Ci sono volute diverse domande riguardanti le sue opinioni sulla questione palestinese, prima che succintamente dicesse che ci dovrebbe essere uno Stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale.
Ma allo stesso tempo, il Presidente egiziano ha contribuito a moderare i toni dell’estremismo slamico. Ha chiesto ai mullah di al-Azhar di avviare una riforma di alcune delle espressioni più estreme dei testi religiosi.
Al Ministero dell’Istruzione è stato anche affidato il compito di rimuovere dai libri di testo gli elementi o gli episodi che incoraggiano l’estremismo religioso e più precisamente quelli esaltanti il Jihad ( come ad esempio le guerre del Saladino e di Akba Ben-Nafea, che conquistarono vasti territori in Africa).
Sono stati anche tolte alcuni passaggi che denigrano gli ebrei.
I capitoli che trattano dell’accordo di pace con Israele sono stati ampliati; il nuovo libro di storia moderna dell’Egitto, pubblica una foto di Menachem Begin accanto al Anwar el Sadat, con estratti significativi del trattato di pace.
Nonostante questi sviluppi incoraggianti, alcuni settori restano fermi nella loro opposizione a Israele. Per lo più appartengono alla vecchia élite, all’istituzione islamica e a ciò che resta dei movimenti nazionalistici e pan-arabi.
Tra l’opinione pubblica egiziana c’è ancora la convinzione diffusa che Israele sia un nemico dell’Egitto. Quando Sisi ha deciso di costruire un secondo Canale di Suez, a fianco di quello esistente, per raddoppiarne la capacità e lasciare che un maggior numero di navi lo attraversino, una serie di articoli “ha spiegato” che la mossa aveva lo scopo di bloccare il progetto di Israele su una linea ferroviaria Ashdod-Eilat, presumibilmente destinato a portare il traffico lontano dal canale. Quando il Primo Ministro Netanyahu ha fatto un giro nei Paesi dell’Africa Orientale qualche settimana fa, i media in Egitto, “hanno spiegato” che è stato per incoraggiare l’agricoltura degli Stati che si affacciano sul Nilo, che avrebbero avuto poi bisogno di più acqua, diminuendone così la disponibilità per l’Egitto. Quando il membro del Parlamento Tawfik Okasha ha avuto la “sfacciataggine” di ospitare a cena l’ambasciatore israeliano, è stato espulso dal Parlamento.
Negli ultimi tempi un judoka egiziano è stato severamente rimproverato per aver accettato di partecipare a un incontro alle Olimpiadi con un avversario israeliano, ed esserne uscito sonfitto.
Non stupisce quindi che il Presidente egiziano stia procedendo con cautela. Relazioni più strette con Israele sono di fondamentale importanza, ma non ha alcun desiderio di confrontarsi con le élite di cui ha bisogno per sostenere la politica economica, soprattutto dopo aver inaugurato una misura di austerità che è altamente impopolare. Ha scelto un percorso difficile.
Pochi mesi fa ha annunciato che voleva riavviare il dialogo tra Israele e i palestinesi, una preoccupazione a lungo termine perfettamente legittima per l’Egitto, che aspira alla pace nella regione. Tuttavia, non sembra che Sisi abbia elaborato la propria iniziativa di pace. Ha detto più volte che accetta tutte le iniziative che si presentano, compresa quella francese.
In Israele e in Occidente, si crede che sia a favore di un blocco sunnita pragmatico, che dovrebbe includere l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo; insieme con l’Egitto dovrebbero sponsorizzare un dialogo israelo-palestinese. Ma è difficile credere che questi Paesi sarebbero in grado e disposti a convincere i palestinesi a cambiare la loro strategia dichiarata di non riconoscimento dello Stato ebraico e a rinunciare al diritto al ritorno. Eppure, promuovendo la questione palestinese, si offre a Sisi l’ opportunità di mantenere un dialogo aperto con Israele, discutendo i modi e i mezzi per allargare ciò che gli interessa veramente: avere relazioni economiche per sfruttare la tecnologia e la cooperazione di Israele. Si può quindi cautamente sperare nei prossimi mesi, in alcuni ulteriori, seppur limitati, miglioramenti nelle relazioni tra i due Paesi.