Riprendiamo dall' OSSERVATORE ROMANO di oggi, 16/09/2016, a pag. 7, l'articolo "Questione di giustizia per la Terra Santa".
A destra: la preghiera... non basta
I rappresentanti delle Chiese cristiane riuniti in Virginia (USA) pregano per la pace in "Terra Santa". Va benissimo, aggiungiamo però che in attesa di un aiuto divino occorre affidarsi a quello umano. E qui gli eminenti rappresentanti cristiani scivolano, chiedendo agli Usa di fermare le forniture militari e gli aiuti a Israele.
Probabilmente preferirebbero un Israele indifeso e sull'orlo della distruzione da parte di terroristi che, invece, sono armati fino ai denti. Allora, e solo allora, i rappresentanti cristiani e OR con loro pregherebbero per la pace: ma sarebbe una pace eterna, per gli ebrei di Israele. No, grazie.
Morale: lasciamo indovinare ai nostri lettori le differenze tra il futuro sotto la sharia islamica e quello sotto quel cristianesimo così come ce lo presentano i gentiluomini riuniti in Virginia, ed elogiati dal quotidiano ufficiale della Santa Sede.
Ecco l'articolo:
«Nessun popolo dovrebbe vedersi negare i propri diritti e, certo, a nessun popolo dovrebbero essere negati i diritti per generazioni». E' questo l'incipit di una dichiarazione comune sottoscritta dal reverendo Olav Fykse Tveit, segretario generale del World Council of Churches, e da Jim Winkler, responsabile del World Council of Churches of Christ negli Stati Uniti. Una nuova e accorata richiesta di giustizia che riguarda i popoli della Terra santa da quasi mezzo secolo in conflitto e che arriva alla vigilia della tradizionale settimana mondiale di preghiera per la pace in Palestina e in Israele che si terrà dal 18 al 24 settembre prossimi sul tema «Dio ha abbattuto i muri che dividono».
Proprio l'annosa crisi tra Palestina e Israele, esaminata nel più ampio contesto della travagliata situazione mediorientale, è stata al centro di una consultazione sulla Terra santa che per tre giorni, da lunedì 12, ha riunito ad Arlington, in Virginia, oltre sessanta rappresentanti di organismi ecclesiali che nel mondo si occupano di favorire il processo di pace. Tra essi anche numerosi palestinesi e israeliani che hanno condiviso il desiderio di arrivare al più presto alla fine di ogni conflitto. Nella dichiarazione comune diffusa al termine dell'incontro, Tveit e Winkler si dicono ben consapevoli che «nessuna persona o gruppo di persone o governo è senza colpa» e che i «crimini» commessi in tutti questi anni sono certamente numerosi. Tuttavia, con convinzione sostengono che «il ciclo della violenza deve essere rotto. E citano un celebre passo delle Beatitudini: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo, 5, 9). Quelle di Gesù, sottolineano, non sono parole di «vuota retorica». Realmente, infatti, «coloro che seguono la via della pace saranno benedetti nel regno dei cieli».
Anche per questo i due leader si impegnano a sostenere tutti coloro che «cercano di porre fine a questo conflitto». Di qui la riproposizione di una serie di richieste che riguardano in sostanza il pieno rispetto dei diritti umani nella convinzione che l'irrisolto conflitto tra Palestina e Israele è soprattutto una questione di «giustizia» e che dunque «finché l'esigenza di giustizia non sarà soddisfatta, la pace non potrà essere ristabilita». Di qui anche l'appello rivolto in particolare ai governanti statunitensi a sospendere ogni fornitura di armamenti nella regione mediorientale: «L'ultima cosa che serve in questo momento è avere più armi». Tveit e Winkler ricordano che gli Stati Uniti detengono un «potere enorme» e possono «adottare misure audaci per la pace». Allo stesso modo, le Chiese americane hanno un «potenziale enorme», che deve essere «mobilitato», per chiedere al Governo «di fare molto di più per garantire una pace giusta e duratura per Israele e la Palestina».
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