Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 14/09/2016, a pag. 12, con il titolo "In Medio Oriente lo zar ha campo libero ma è senza strategia", l'intervista di Francesca Paci a Itamar Rabinovich, ex Ambasciatore israeliano negli Usa.
Itamar Rabinovich chiarisce che solo il vuoto lasciato da Obama in Medio Oriente ha reso possibile l'intervento della Russia di Putin, una dittatura di fatto legata a filo doppio con il sanguinario regime degli ayatollah iraniani. Ma sottolinea anche le debolezza dell'azione di Mosca sul lungo periodo.
Ecco l'intervista:
Francesca Paci
Itamar Rabinovich, ex Ambasciatore israeliano negli Usa
Sarà Putin a vincere il Medioriente? Il professr Itamar Rabinovich scuote scettico la testa nell’aula della New York University Florence Villa La Pietra, dove è ospite per una lezione sull’assassinio di Yitzhak Rabin «punto di svolta nella storia d’Israele e del Medioriente». Ne sono cambiate di cose da allora e Rabinovich, ex ambasciatore israeliano negli States, storico emerito del Medio Oriente in varie università nonché negoziatore con la Siria di Hafez Assad negli Anni 90, le ha annotate nei suoi libri, l’ultimo dei quali del 2011, «The View from Damascus».
A che gioco sta giocando Mosca?
«Il Medio Oriente è tradizionalmente un interesse russo sin dagli zar. Putin ne ha fatto il terreno in cui riscattare gli anni umilianti di Eltsin, è un’arena naturale per lui. A dargli il semaforo verde è stato l’annuncio della centralità dell’Asia e del Pacifico nella politica di Obama, c’era un vuoto da colmare e si è precipitato. Il resto è storia, la crisi siriana del 2011 prima e poi la decisione di Obama di non intervenire nel 2013 nonostante il regime avesse oltrepassato la “linea rossa” usando le armi chimiche. Putin ha avuto il campo libero, ma è tutta tattica, non ha nessuna strategia e nessuna risposta per il Medio Oriente perché non ha forza economica: incassa sul breve termine, il Medio Oriente è un investimento a basso prezzo che regge finché nessuno lo mette alla prova. E Obama non lo mette alla prova».
Vuol dire che Putin bluffa?
«Fa il suo gioco, usa l’incertezza altrui. Ora sembra intenzionato a far da mediatore tra israeliani e palestinesi. Non otterrà nulla, anche perché oggi su quel fronte non ci sono le condizioni, ma in via di principio, che lo facciano o meno, Netanyahu e Abu Mazen hanno accettato di vedersi a Mosca».
Quanto gli interessa davvero la Siria?
«In Siria oltre a Mosca c’è l’Iran, il cui maggiore investimento di politica estera è in Libano, Hezbollah, il braccio armato di Assad. Inutile sperare che Teheran baratti il suo sostegno ad Assad nel quadro dell’accordo con il nucleare perché Obama ha fatto molta attenzione a tenere i negoziati separati tra loro. Per l’Iran la Siria è assai più cruciale che per Mosca: Putin ci conta, ma all’interno di un più ampio piano di riposizionamento regionale, come prova la spettacolarità dei lanci di missili russi dal Caspio».
La Siria spera nella tregua umanitaria: cambierà qualcosa?
«La crisi siriana ha un livello locale, uno regionale e uno internazionale: nessuno può vincere al momento e di certo non succederà nulla almeno fino a marzo, quando il nuovo presidente americano e la sua amministrazione si insedieranno. D’altra parte l’opposizione siriana è divisa e priva di leader credibili come alternativa ad Assad».
Il mondo finirà per collaborare con Assad?
«Non dovremmo ma forse lo faremo. Basta vedere come la posizione di chiusura totale verso Assad sostenuta finora da Ue, Usa e Turchia si vada indebolendo. È comprensibile, se fossi un Paese europeo con centinaia di foreign fighter in Siria avrei bisogno di intelligence sul posto, ossia degli 007 di Assad».
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