Riprendiamo dal FATTO Quotidiano di oggi, 11/09/2016, a pag.17, con il titolo "Il boicottaggio è l'unica carta che mette Israele a disagio" l'intervista di Ranieri Salvadorini a Brian Eno.
Nella stessa pagina una breve, che riprendiamo, sui vari muri, che commentiamo.
Brian Eno appartiene a quella schiera di artisti che ricorrono alla poltica quando la creatività musicale si è fermata. L'unico modo per rientrare nelle cronache è prendere posizione su qualche tema che susciti interesse. Niente di meglio quindi di Israele, compiere un gesto che provochi scalpore e il gioco è fatto. Il nostro ha fatto divieto alla Batsheva Dance Company e al regista che ha girato un film su Ohad Naharin, direttore e coreografo, di usare quale colonna sonora un suo testo musicale. Che era di una tale modestia che, non fosse sorta la polemica, nessuno ne avrebbe notato la sostituzione.
Grazie al BDS è tornato ad avere citazioni sui giornali, non per la sua musica, passata di moda, ma per il suo odio contro Israele.
Ecco l'intervista:
Il boicottaggio è l'unica carta che mette Israele a disagio
Da alcuni anni Brian Eno è un convinto sostenitore della campagna "Boicottaggio disinvestimentosanzioni" (Bds), risposta della società civile palestinese alle politiche di colonizzazione e apartheid del governo israeliano. Il Fatto Quotidiano lo ha intervista-to sui legami tra l'arte e la questione palestinese. Nei giorni scorsi lei ha negato l'uso della sua musica alla compagnia di danza Batsheva. La portavoce Noa Ron ha obiettato che "l'autore, Ohad Naharin, non ha mai esitato a esprimersi sulle conseguenze dell'occupazione delle terre palestinesi". L'arte non dovrebbe essere un punto d'incontro tra menti libere? Guardare i "processi di pace" trascinarsi anno dopo anno, guardare uno dei più sofisticati eserciti al mondo polverizzare e umiliare persone quasi del tutto disarmate, ecco, mi è venuto da pensare che la strategia internazionale semplicemente non stesse funzionando. Chiesi a israeliani e palestinesi sensibili che cosa pensassero del Bds. Come me, hanno pensato che fosse l'unica carta da giocare, adesso. È l'unica cosa che abbia messo il governo israeliano un po' a disagio - perché smaschera la loro campagna per presentare Israele come un paese occidentale civilizzato e amante dell'arte, e invece attira l'attenzione sul fatto che è anche uno stato di apartheid. Non è semplicemente la mia analisi: Jimmy Carter e Desmond Tutu (che dovrebbe sapere una cosa o due sull'apartheid) hanno usato lo stesso linguaggio. C'èil rischiocheuna pressi one esterna come il boicottaggio compatti ancora di più la società israeliana? C'è il rischio che il Bds polarizzagli atteggiamenti di alcune persone, facendoli ancora di più ultra-nazionalisti e anti-palestinesi. Qualcosa di simile è successo in Sudafrica. Ma quello che è anche successo, e io credo che stia cominciando ad accadere in Israele, è che molte persone che hanno sempre sentito solo la storia da parte del governo diventino consapevoli che c'è un'altra narrativa, quella palestinese. Molti amici sudafricani mi hanno raccontato che non erano del tutto consapevoli che l'apartheid fosse un problema fino a che in altri paesi non hanno cominciato a farlo conoscere - e a boicottare. I boicottaggi fecero una grande differenza perché si svolsero al di fuori del governo. Fu un gruppo di cittadini *** che provava a comunicare con un altro, senza la mediazione di un filtro politico. II direttore di TorinoDanza ha detto: "La nostra sceltadi invitare uno spettacolo bellissimo non è in alcun modo politica. E pura arte e dentro unteatro la politica non deve entrare". Come replica? Gli artisti israeliani di cui parli, che hanno obiettato al mio boicottaggio personale, potrebbero avere ragione, per qu el lo che ne so: potrebbe non cambiare per nulla la situazione. Significa che non valga la pena provare? Potrebbe non essere l'unica strategia o la strategia ottimale, e allora dovremmo starcene con le mani in mano finché non siamo sicuri al 100%? Israele sarebbe davvero contento di questo: più se ne parla ... più frega le terre. Sono contrario, invece, ad azioni che interrompano le performance dei colleghi israeliani, penso che non sia giusto. Esiste una responsabilità socialedell'artista? E che si intende? Io credo che sostenere il Bds siaunaquestionedi coscienza personale. Ho scritto a molti artisti per renderli consapevoli del movimento Bds ma ho sempre chiarito che sostenere o no il boicottaggio sarebbe stata una loro scelta personale. Alcuni lo fanno, alcuni no, altri non rendono pubbliche le loro posizioni. C'è però una cosa di cui sono certo: nessuno morirà o sarà ferito come risultato di non poter sentire la mia musica. È un modo non violento di far conoscere la mia posizione e penso di avere il diritto di farlo. Non penso che gli artisti debbano necessariamente prendere posizioni politiche - ma non vedo perché non dovrebbero. Secondo lei in che misura, e in che termini, l'arte è politica? Sono sicuro chegliorganizzatori del festival non avessero intenzioni politiche. Ma sono ugualmente sicuro che il governo israeliano, nel finanziare performance come questa, abbia intenzioni politiche piuttosto specifiche. Sono stati chiari: vogliono promuovere il brand "Israele" e l'arte è una delle strade principal i con cui lo fanno. Io sono libero di scegliere di non essere parte di tale campagna promozionale. Chi aderisce al Bds a volte viene stigmatizzato come antisemita, le è successo? Certo, sono stato accusato di antisemitismo. Quando non si sa replicare con l'argomento, si attacca la persona. E la prima linea di difesa, quella che eccita i media. Ho manifestato contro l'America e contro il mio stesso paese, la Gran Bretagna, ma non sono mai stato chiamato anti-cristiano. Perché ogni critica a Israele fa di te un antisemita?
Così si costruisce un Muro: delegazioni europee in visita a Gerusalemme
"Come tutti i venerdì, giovani palestinesi si recano al confine per manifestare e lanciare sassi" Basterebbe questa frase per rendersi conto di come il Fatto giudichi gli attacchi contro i soldati, una gita durante il week end, una specie di innocuo passatempo, che Israele punisce a fucilate. Neanche una parola sul fatto che la barriera difensiva è stata costruita per impedire ai giovani e meno giovani palestinisti di entrare in Israele, depositare bombe sugli autobus, nei bar, nelle discoteche, come avveniva regolarmente quando la barriera non c'era.
Ecco la breve:
L'ultima vittima della frontiera di cemento e filo spinato è un palestinese di 18 anni, ucciso a est del campo profughi di al Burej a Gaza nei pressi della frontiera con Israele. Come tutti i venerdì, giovani palestinesi si recano al confine per manifestare e lanciare sassi. Ogni tanto parte una fucilata, come l'altro giorno: secondo i palestinesi il diciottenne è stato colpito alla testa da un colpo di fucile, l'esercito israeliano ammette solo di aver usato lacrimogeni contro i manifestanti che stavano avvicinandosi al confine per provare a danneggiarlo (molti dei 730 chilometri di Muro sono fatti di rete metallica: il cemento alto fino a 8 metri è soltanto nelle aree considerate "calde"). La "barriera di separazione" - come con moderato eufemismo viene chiamata l'enorme struttura che dovrebbe separare Israele dalla Palestina prossima ventura - continua a creare vittime e polemiche, adesso alimentate anche da analoghi sbarramenti ideati oppure in corso di costruzione in alcuni paesi europei, in funzione anti-migranti. Dopo l'Ungheriache ha alzato reti e filo spinato, dopo l'Austria che ci ha rinunciato al Brennero ma non in altre zone di confine, i Muri europei sono in piena moltiplicazione. Ed è recente la notizia che alcuni paesi interessati hanno mandato delegazioni in Israele per studiare la barriera. L'Ungheria è fra questi, come l'Austria e la Slovacchia, ma anche l'India (la lunga frontiera con il Pakistan è tutt'altro che tranquilla).
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