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La Stampa Rassegna Stampa
02.09.2016 Terrorismo islamico: Alfano crea una Commissione, l'equivalente del 'non so quali pesci prendere'
La dirige Lorenzo Vidino, come stanno tranquilli in Italia i terroristi islamici lo racconta Francesco Grignetti

Testata: La Stampa
Data: 02 settembre 2016
Pagina: 1
Autore: Lorenzo Vidino-Francesco Grignetti
Titolo: «La risposta culturale alla minaccia jihadista-Alla testa degli uomini del Califfo un terrorista vissuto a lungo in Italia»

Riprendiamo due servizi dalla STAMPA di oggi, 02/09/2016, il primo a pag.1/25, il secondo a pag.10, entrambi preceduti da un nostro commento

Lorenzo Vidino: " La risposta culturale alla minaccia jihadista "

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Lorenzo Vidino

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Pestare l'acqua nel mortaio, ecco a che cosa servono le Commissioni

ssione incaricata di studiare le 'minacce jjhadiste in Italia', a presiederla è l'autore dell'articolo che segue, Lorenzo Vidino, che elogia i componenti senza però dirci chi sono. Un brutto inizio, per un testo che abbonda di 'radicali' e 'radicalizzazioni', la pessima abitudine dei nostri 'esperti' timorosi di scrivere 'terroristi islamici', anzi, Vidino arriva a scrivere "
sia essa di matrice islamista o legata a qualsiasi altra ideologia ", anche perchè non ci risulta che sulla scena dei crimini ce ne siano altre. Se la Commissione - 19 esperti dei quali vorremmo conoscere i curricula -  inizia così, non è difficile immaginare il risultato.
L'esperienza passata continua a non insegnare nulla, il muro delle parole sostitutive è molto spesso, come insegna il racconto di Grignetti nel pezzo che segue.
Vidino insegua pure la 'risposta culturale', sarà, come sempre, pestare l'acqua nel mortaio, una consuetidine molto praticata soprattutto dagli 'esperti.

Ecco il pezzo:

Ieri a Palazzo Chigi si è svolto il primo incontro di una commissione di esperti convocati dal governo per analizzare le dinamiche della minaccia jihadista in Italia e stilare raccomandazioni utili a contrastare il fenomeno della radicalizzazione. La commissione, di cui ho l’onore di essere il coordinatore, rappresenta una novità per l’Italia. E raccoglie diciannove esperti che mettono (gratuitamente) a disposizione le proprie conoscenze in materia nel corso dei prossimi quattro mesi al fine di produrre uno studio che dovrebbe fornire spunti utili ai nostri organi decisionali per affrontare il tema della radicalizzazione islamista con tattiche alternative ai classici metodi di polizia e intelligence. Il background dei membri della commissione non potrebbe essere più eterogeneo, comprendendo esperti di sicurezza, arabisti, sociologi, giornalisti e psicologi. Questa composizione riflette quello che è ormai appurato da una molteplicità di studi compiuti in Italia e all’estero: la radicalizzazione, sia essa di matrice islamista o legata a qualsiasi altra ideologia, è un processo complesso sul quale influisce una serie infinita di fattori, dai tratti psicologici del soggetto affascinato dal credo estremista al contesto in cui vive, dalla presenza di gruppi estremisti sul territorio agli sviluppi geopolitici globali. La Commissione adotterà questo approccio multidisciplinare, cercando di capire come faccia l’ideologia jihadista a far presa sulle menti di giovani spesso nati e cresciuti nelle nostre città. I membri della Commissione pertanto si divideranno in vari sottogruppi che studieranno fenomeni quali l’uso di internet da parte di simpatizzanti jihadisti, la radicalizzazione nelle prigioni e l’operato di vari movimenti islamisti. Ma il vero compito della Commissione è quello di individuare misure volte alla prevenzione del fenomeno della radicalizzazione tra i giovani musulmani presenti sul territorio italiano. Fortunatamente il nostro Paese non ha ancora visto le preoccupanti dinamiche di radicalizzazione delle seconde generazioni di molti Paesi europei, ma alcuni segnali preoccupanti esistono. E se la repressione è indubbiamente utile, potenzialmente lo sono anche misure miranti a prevenire la radicalizzazione sul nascere, cercando quindi di diminuire il numero di soggetti pronti ad uccidere ed immolarsi in nome della jihad. In vari Paesi iniziative in tal senso che coinvolgono la società civile esistono da più di un decennio. Nel nostro Paese sono ancora allo stato embrionale e sotto-finanziate. Una proposta di legge presentata dai deputati Andrea Manciulli e Stefano Dambruoso e discussa in questi giorni alla Camera mira a «introdurre nel nostro ordinamento strumenti idonei a contrastare sul nascere la radicalizzazione e l’estremismo jihadista» attraverso misure che vanno dal dialogo interculturale a un ruolo più attivo delle scuole, dalla creazione di un portale web con informazioni utili per famiglie ed operatori sociali a iniziative volte al recupero sociale di soggetti radicalizzati. Il ruolo della neonata commissione di esperti è quello di suggerire quali siano le misure di prevenzione che meglio si adattano alla realtà italiana. Il fatto che i membri della commissione non abbiano ruoli istituzionali e non siano retribuiti garantisce l’indipendenza del suo operato. E, per una volta, il sistema politico italiano dimostra lungimiranza, costituendo un organo che si occupa di un tema cosi’ delicato non in una situazione di emergenza o in seguito ad un attacco, per effetto dei quali emozioni e pressioni politiche renderebbero difficile un dialogo costruttivo e sereno. Ciò che la guida è, al contrario, la consapevolezza che il fenomeno della radicalizzazione islamista va trattato senza allarmismi e speculazioni, ma con misure di lungo respiro e basate su una conoscenza profonda e ragionata del fenomeno.

 Francesco Grignetti: " Alla testa degli uomini del Califfo un terrorista vissuto a lungo in Italia "

Immagine correlataRisultati immagini per Abdelkader Ben Moez Fezzani,
Francesco Grignetti,  a destra Abdelkader Fezzani,

Il pezzo di Grignetti è, involontariamente, il ritratto del paese bengodi che è da sempre l'Italia. Qui i terroristi possono 'operare' senza problemi, saranno sempre 'presunti', le prove schiacchianti delle loro attività potranno portare, al massimo, a una espulsione, ma c'è sempre la fuga mentre su un'auto della polizia (!) si viene portati all'aeroporto. Che sia per questo che l'Italia è, tra i paesi europei, quello che ha evitato maggiormente l'attenzione dei terroristi islamici.. pardon, dei 'radicalizzati'.  Con Vidino a presiedere la Commissione siamo a posto, chissà se c'è anche Franco Cardini ... i 19 si faranno una scorpacciata di analisi 'culturali', verranno definiti 'radicali radicalizzati',  continueranno a urlare Allahu Akbar mentre ammazzeranno gli infedeli, e Vidino si chiederà se dietro a quell'urlo quale ideologia ci sarà mai...

 Ecco l'articolo:

E così il temibile Abdelkader Ben Moez Fezzani, noto anche come Abu Nassim, è ancora libero e anzi guida i suoi compagni di jihad. E questo ci preoccupa. Perchè Fezzani è innanzitutto un reclutatore, ma anche un pianificatore di attentati micidiali. Ed evidentemente non è un caso se il pm Maurizio Romanelli, capo del pool Antiterrorismo, di recente ha ripreso in mano il suo caso. Fezzani è una vecchia conoscenza della nostra polizia. Giovane immigrato, giunge in Italia dalla Tunisia negli Anni Ottanta. Lavora da manovale e da bracciante agricolo per mezza Italia, anche a Napoli, prima di stabilirsi a Milano. Per qualche tempo, poi, vive a Bolzano con il fratello e lì i due sono arrestati per una storia di piccolo spaccio. «Vendevo hashish, ma sono diventato un uomo pio», dirà Fezzani ai magistrati milanesi. Un classico della radicalizzazione islamista: il giovane balordo che si «redime» con la jihad. Per Fezzani ciò avviene nella moschea di viale Jenner, a Milano, dove c’è quell’altro famoso imam, Abu Omar (che poi la Cia sequestra illegalmente). Ciò avviene nel 1997, quasi venti anni fa, ai primordi del terrorismo islamico, quando il pericolo si chiama Bin Laden e ancora non c’è stato l’11 Settembre. Fezzani è già un capo carismatico. La sua abitazione, nelle case popolari di via Paravia, detta «la casa dei tunisini», diventa una rampa di lancio per la Guerra santa in Afghanistan. Recluta gente e la manda a combattere. Lo inquisiscono, ma lui è già andato via. Nel 2002 gli americani lo arrestano nella terra di mezzo tra Pakistan e Afghanistan. Una soffiata, probabilmente. Si fa quasi sette anni di carcere, prima a Bagram e poi a Guantanamo. E nel 2008, visto che in Italia pende ancora un mandato di cattura sulla sua testa, gli americani sono felici di mandarlo da noi. A quel punto Fezzani è un nostro problema. È accusato dalla procura di Milano di terrorismo internazionale. Ma all’epoca il reato è ancora poco definibile, le prove sono fragili e al processo è assolto (condanna ribaltata in appello). A quel punto avrebbero dovuto scarcerarlo in attesa di appello, però il ministero dell’Interno non lo fa assolutamente uscire di carcere e ordina di portarlo in Tunisia per «motivi di sicurezza». In quest’occasione si capisce che l’uomo è davvero un combattente irriducibile. Riesce a fuggire, lanciandosi da un’auto della polizia in corsa, mentre lo stanno portando all’aeroporto. E qualche contatto in Italia deve averlo, visto che lo riprendono soltanto dopo tre giorni a casa di un altro immigrato, a Varese. In Tunisia Fezzani diventa un dirigente del gruppo Ansar al Sharia. Nel frattempo si è allontanato da Al Qaeda e affiliato al Califfato. Accorre perciò in Siria. Da lì lo rimandano in Tunisia e Libia, dove è il capo della colonna Isis di Sabratha. Sono «suoi» gli uomini che fanno irruzione sparando al museo del Bardo, a Tunisi. Forse è dietro la strage alla spiaggia di Sousse, dove vengono uccisi ben 60 turisti. Mette lo zampino anche nel sequestro dei quattro tecnici della Bonatti. Tra i sequestratori c’è infatti uno che parla un buon italiano e che gestisce le trattative. Parla al telefono più volte con la moglie di Salvatore Failla, uno degli ostaggi che poi sarà ucciso. «Senti, senti Rosalba», dice una volta, prima di fargli ascoltare un appello registrato del marito. Non c’è da stupirsi, insomma, che gli apparati italiani fossero preoccupati di un Fezzani libero di agire alle porte di casa nostra.

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