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La Repubblica Rassegna Stampa
30.08.2016 Batsheva Dance Company in Italia
Ritratto di Ohad Naharin, di Anna Bandettini, commento di IC

Testata: La Repubblica
Data: 30 agosto 2016
Pagina: 33
Autore: Anna Bandettini
Titolo: «Con il metodo Gaga riporto la danza agli istinti animali»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 30/08/2016, a pag.33, con il titolo "Con il metodo Gaga riporto la danza agli istinti animali" l'intervista di Anna Bandettini a Ohad Naharin, direttore della israeliana Batsheva Dance Company, famosa in tutto il mondo, in questi giorni in Tour in diverse città italiane.

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Ohad Naharin                                    

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Anna Bandettini

Curioso destino quello di Ohad Naharin, un artista di fama internazionale, applaudito in teatro e- non ovunque, ma spesso- contestato dai soliti 4 gatti, che dietro a uno striscione, invocano, per fortuna inascoltati, al pubblico di non entrare. Naharin non può farci niente, discutere con chi odia, e quindi non ragiona, è inutile. Lui però ci prova, salvato dal suo profondo sense of humour. Lo ricordiamo, un paio di anni fa, mentre raggiungeva i soliti 4 gatti, stupiti nel vedere chi si stava dirigendo verso di loro. "Posso unirmi a voi?"- disse Naharin-  " dovete sapere che quando sono in Israele, partecipo alle manifestazioni in cui viene criticato il governo, se non vi dispiace sto un po' con voi, poi dovrò rientrare in teatro a dirigere la Batheva dance company". Scompiglio e disorientamento fra gli odiatori, fine delle urla contro Israele, incuriositi dal nuovo venuto, se era il governo da criticare, come era parso a Naharin, gli slogan non erano pronti, si misero a chiacchierare con Oahad.
Nel frattempo tutti gli spettatori erano entrati nel teatro, seguiti dopo alcuni istanti dal regista.
Funziona così in Israele. Chissà se i nostri odiatori capiranno mai qualcosa. 

Ecco l'intervista:

MILANO - Il gigante della danza che ha dominato l’estate teatrale italiana, da Spoleto a Ravenna, e tra pochi giorni a Rovereto e Torino, è Ohad Naharin con la sua Batsheva Dance Company. Per il New York Times “uno dei più grandi coreografi e tra le migliori compagnie al mondo”. “Combinazione di bellezza, energia, abilità”, secondo Mikhail Barishnikov. Pochi coreografi e ballerini hanno trovato un tale generale consenso come l’artista israeliano che ha reinventato la sua arte, come lo fecero Martha Graham o Maurice Béjart con cui ha lavorato per un breve periodo, anche se «l’influenza più importante su di me l’ha avuta negli anni 80 una coreografa sconosciuta, Gina Buntz, da cui ho imparato molto sulla velocità, la composizione dinamica, il contenuto del movimento e della forma», dice, Ohad Naharin, oggi 64 enne, ancora molto bello, occhi verdi, la voce profonda, una certa riluttanza, forse per timidezza o autoironia, a mettersi nei panni del guru che spiega come ha creato magistrali spettacoli come Kyr del 1990, Mamoot del 2003, il travolgente Hora del 2009, il bellissimo Sadeh 21 del 2011. Teorizza come ha trasformato il corpo che balla in un corpo esuberante, deformato, vigoroso, torturato, vivo, il movimento in effetti dissonanti, aggressivi e sensuali, sincopati e fluidi dove introdurre emozioni profonde, le ferite della vita. È il “Gaga” (dai primi suoni dei neonati), ormai conosciuto in tutto il mondo come il “metodo Naharin” che si vedrà nel trittico Three del 2005, ospite il 3 settembre al festival di Rovereto Oriente Occidente, con un incontro con il coreografo e il 6 in apertura di Torino Danza dove il 5 al cinema Massimo ci sarà anche l’anteprima del film Mr. Gaga di Tomer Heymann, in sala dal 15 settembre distribuito da Wanted, un bellissimo ritratto di Naharin con filmati di repertorio, delle prove e degli spettacoli che Variety ha definito “il più emozionante documentario per gli appassionati di danza moderna da Pina di Wim Wenders”. Mr. Naharin, “gaga” più che una tecnica sembra un modo di vedere, di vivere il corpo. «È così. Consiste nell’ascoltare il corpo prima di dirgli cosa fare. Gaga nasce dal mio bisogno di comunicare con i miei ballerini, di prendermi cura del mio corpo, dal desiderio di andare oltre i limiti dei gesti quotidiani e familiari. Gaga si è poi via via evoluto nel corso di diversi momenti, come quando ho iniziato a danzare con non-ballerini o quindici anni fa quando è diventato il training dei ballerini della Batsheva». Nei suoi spettacoli i maschi hanno movimenti sinuosi, le femmine vigorosi e viceversa. È come se i ballerini non avessero genere ma una forte identità: non sono presenze impersonali. «Ciò che fa le differenze individuali non è il genere, ma l’intelligenza, la coordinazione, la musicalità, l’esplosività, l’uso della gravità, la fantasia, la delicatezza. E ci tengo che i miei ballerini esprimano tutto questo. Il senso della danza per me è l’essere connesso agli elementi più importanti di cui la danza è fatta: passione, abilità e potere dell’immaginazione». Nel film “Mr. Gaga” lei dice che sta riportando la danza all’animale che siamo. Cosa vuol dire? «Parlo di istinti, di efficienza, di bellezza, esplosività, e del senso di sopravvivenza che è connaturato al movimento». È vero che la danza è nella sua vita da che ha memoria di se stesso. «Sì. Da bambino il movimento era il gioco, la sfida, un compito divertente. Oggi è uguale solo che il compito è il movimento stesso». Lei è cresciuto in un kibbutz. Quanto la sua danza è legata all’essere vissuto in Israele? «Lì sono nel mio elemento. Nei 12 anni che sono stato a New York ho sempre voluto tornare a casa. Anche se in questi ultimi anni per la prima volta comincio ad avere dubbi, per la crescita dell’estrema destra, dei fanatici nazionalisti». Proprio su questi temi due mesi fa a Ravenna prima del suo spettacolo ci furono proteste anti- israeliane. Le condivide? «Ci vuole poco per distruggere, molta più fatica, abilità, immaginazione per costruire. Io sono un costruttore. Quelle proteste sono una parte delle forze distruttive che sono già così schiaccianti, mentre chi cerca disperatamente di costruire ponti e trovare soluzioni è penalizzato. Aggiungono motivi al conflitto e nessuno alla speranza del dialogo. E non aiutano la Palestina. Il più bel giorno della mia vita sarà quello in cui sarò testimone dell’accordo di pace con lo Stato palestinese. Io dico sempre: non sono solo pronto a rinunciare alla Cisgiordania, ma a dare la mia casa per la pace». L’anno scorso ha realizzato “Last work”: è davvero il suo ultimo lavoro? «Il bello del futuro è che non lo si conosce. Comunque quello era solo un titolo. Anzi mi piacerebbe titolare così tutti i miei lavori recenti. Con la compagnia stiamo preparando un nuovo progetto che debutterà in Israele tra aprile e maggio. Potrei titolarlo “Nezuela venezuela”. Perché? È una lunga storia...».

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