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La Stampa Rassegna Stampa
19.08.2016 A proposito di sottomisssione islamica delle donne
Le opinioni di un imam e di un giovane studente, non molto dissimili

Testata: La Stampa
Data: 19 agosto 2016
Pagina: 6
Autore: Paolo Coccorese-Fabrizio Assandri
Titolo: «Così si violano i principi della libertà-La sicurezza prevale ma no a leggi ad hoc»

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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2016, a pag.6, due interviste che si propongono quali esempi di due modi di vedere la questione sollevata dalla vicenda del cosiddetto 'burkini'. La pagina intera riporta una cronaca dalla Germania, dove è probabile che il Burka venga vietato; viene citata la frase di Angela Merkel ' Il burka è contro l'integrazione'.

In realtà imam e studente al Politecnico non danno risposte molto diverse, il collante islam è inseparabile nelle loro risposte.
I nostri commenti prima delle interviste: 

La prima intervista è con un imam, il quale elude il problema, affermando che vengono violati i pricipi di libertà. Teoricamente può anche essere vero, ma la realtà ce ne dà una versione opposta. L'islam è la religione-stato che più opprime le donne, oltre alla legge coranica, lo esprime anche attraverso l'abbigliamento. Se veramente l'islam fosse uan religione come le altre, i segni esteriori non la renderebbero evidente. E' poi una scelta libera quella espressa da donne abituate a essere schiave degli uomini da sempre?  Tutti temi non affrontati da domande specifiche, il che rende superflue le risposte.

Paolo Coccorese: " Così si violano i principi della libertà "

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Said Ait ElJide,imam         Paolo Coccorese

Lo Stato, che vuole vietare l’utilizzo del velo alle donne musulmane, viola i principi di libertà. Non è un suo compito decidere cosa bisogna indossare». Così Said Ait ElJide, imam della Moschea Taiba di Torino nel quartiere multietnico di Porta Palazzo. Il leader dalla moschea - dove ogni venerdì si ritrovano 1200 persone - boccia l’ipotesi di divieto del velo. Per Angela Merkel «il burqa è un ostacolo all’integrazione». Condivide la riflessione? «Prima di tutto bisogna fare chiarezza sui termini. In questi giorni si sta facendo confusione sul termine velo: il burkini è diverso dal burqa che è un’altra cosa rispetto allo hijab che lascia scoperto il volto. Quest’ultimo è l’unico ad essere un precetto islamico». Mentre il burqa? «È una cosa diversa. È una tradizione di alcuni Paesi come l’Afghanistan e l’Arabia Saudita. Ma non è precetto islamico. Infatti, consigliamo alle donne di non usarlo perchè rende più difficoltoso il dialogo e la convivenza nella società occidentale che è anche la nostra». Quindi è favorevole al divieto che è stato annunciato in Germania? «È un discorso diverso. Il velo deve essere una scelta della donna e non può essere un obbligo dettato dai mariti, dai padri o dai fratelli. Nessuno può decidere per loro. Tanto meno lo stato. La politica vuole soffiare sul fuoco, mentre solo altri i problemi d’affrontare: la disoccupazione, le guerre, la povertà». Perché? «In Italia, negli uffici pubblici le donne si fanno già identificare anche se indossano il velo. Quindi stiamo parlando di un falso problema. Nel Paese ci sono un milione e mezzo di musulmani, di cui 500 mila donne, e quelle che portano il burqa sono al massimo un trentina».

La seconda intervista è invece con un giovane musulmano, studente di ingegneria al Politecnico, il quale riconosce l' attualità del problema sicurezza, ma anche lui svicola, quando afferma che l'islam non obbliga le donne a indossare il burka e che una legge che lo proibisca sarebbe un ostacolo all'integrazione. Mentre è vero il contrario. Poi dice di capire quanto sia difficile 'aprirsi al nuovo' , come se burka, burkini, veli vari fossero il nuovo, e non il segno distintivo  da sempre della sottomisssione delle donne musulmane. Noi gli avremmo chiesto se sa che islam vuol dire sottomissione, ma avremmo introdotto uno 'stile' nel fare le domande poco consono al politicamente corretto.

 Fabrizio Assandri: " La sicurezza prevale ma no a leggi ad hoc "

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Ussama Dannawi            Fabrizio Assandri

«Il diritto alla sicurezza viene prima del diritto al burqa». Non ha dubbi Ussama Dannawi, dell’associazione Giovani Musulmani di Torino, 23 anni e studente di Ingegneria al Politecnico. È di seconda generazione, metà siriano e metà libanese. Cosa ne pensa dei divieti al burqa? «Chi viene a vivere in Europa deve accoglierne le leggi, comprese quelle per la sicurezza. Se c’è un conflitto tra il burqa e la legge dello stato, bisogna scegliere quest’ultima: d’altra parte la religione non obbliga a indossarlo». Quindi è d’accordo con la Merkel? «Non proprio, perché non condivido l’idea di una legge ad hoc sul burqa, quando basta una legge generica sulla sicurezza e l’identificazione obbligatoria. Si dice che il burqa è un ostacolo all’integrazione, per me lo è fare una legge “contro” una minoranza. Inoltre mi chiedo se simili provvedimenti siano davvero giustificati e proporzionati: riguardano un numero bassissimo di persone. A Torino, credo di non aver mai visto qualcuno col velo totale». Il burqa non è un ostacolo al dialogo con gli altri? «Non direi, l’integrazione passa da altri aspetti e non da quello che si indossa. Capisco che non tutti siano aperti al nuovo, che incontrare persone vestite in modo diverso dalle proprie abitudini - come avviene con gli immigrati - possa le prime volte essere una barriera, ma poi ci si abitua». Uno dei problemi è che spesso non è una scelta delle donne... «Questo non ha nulla a che vedere con la religione, che d’altra parte non prescrive il burqa. Dovrebbe sempre essere una scelta personale, altrimenti non ha senso. Se ci sono padri e mariti che obbligano al burqa è un problema culturale, legato peraltro a specifici Paesi, ma non si può generalizzare».

Per inviare alla Stampa la propria opinione, telefonare: 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


direttore@lastampa.it

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