lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
17.08.2016 Sicurezza: il modello vincente è targato Israele
analisi di Jonathan Pacifici

Testata: Il Foglio
Data: 17 agosto 2016
Pagina: 1
Autore: Jonathan Pacifici
Titolo: «Perchè il modello (vincente) di Israele sulla sicurezza è già arrivato a Rio ma non ancora in Europa»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 17/08/2016, a pag.I, con il titolo "Perchè il modello (vincente) di Israele sulla sicurezza è già arrivato a Rio ma non ancora in Europa" l'analisi dei sistemi di sicurezza israeliani di Jonathan Pacifici.

Immagine correlata
Jonathan Pacifici

Mentre gli occhi di tutto il mondo sono puntati sugli schermi televisivi che trasmettono da Rio le prodezze degli atleti e il medagliere si riempie dei loro successi c'è un paese che con appena due bronzi all’attivo, le Olimpiadi le ha già vinte. E’ Israele. Fin da quando la Grecia classica esaltava l’estetica della competizione sportiva, per Israele l’unica palestra era quella dei cervelli. L’accademia, lo studio, la morale. E così più di duemila anni dopo, mentre i muscoli competono nello spirito del fuoco sacro del Monte Olimpo da Gerusalemme e Sion, i migliori cervelli vegliano sulla sicurezza dei giochi. Non sono infatti gli atleti israeliani che passeranno alla storia delle Olimpiadi di Rio quanto le oltre trenta società del consorzio capitanato dalla Isds (International Security Defense Systems, società israeliana) che si sono aggiudicate i 2,2 miliardi (!) del budget della sicurezza dei giochi. Si tratta di alcune tra le migliori realtà nel campo della tecnologia applicata alla sicurezza, da colossi come la Elbit Systems Ltd a più giovani promettenti realtà come Argus e Kela. An- che in Europa, dinanzi alle rinnovate minacce del terrorismo, si parla molto della necessità di investire nella sicurezza in generale e nella Cyber Security in particolare e si guarda a Israele come modello. Spesso però non si capisce come la sicurezza non sia una scatola di cereali che si compra al supermarket, quanto il risultato di un ecosistema, di un tessuto complesso nel quale la parola chiave non è comprare, ma integrare. Per capire cosa c’è dietro questo tessuto può essere utile raccontare la storia di questa società. E’ una storia personale. La storia comincia quando, un po’ più di un anno fa, compare sull’iPhone di chi scrive un nome: “David Grau”. Ho conosciuto David da ceo di una startup che aveva sviluppato un sistema di interpretazione del linguaggio umano. Permetteva cioè di scrivere liberamente un testo e di ottenere risposte dal sistema. “A che ora parte il prossimo autobus per Tel Aviv ?”. Ed il sistema interrogava il database. Nel momento in cui ricevo la telefonata David è un dirigente di Athena, una delle più note società israeliane di consulen- za nel campo della sicurezza. Fondata da veterani dei servizi segreti e presieduta da Shabtai Shavit, già capo del celebre Mossad, Athena fornisce consulenza a società private e governi di mezzo mondo. David si occupa dello sviluppo internazionale, e poche settimane prima abbiamo parlato di alcune opportunità in Italia. “La fusione si fa…”, mi annuncia David. La fusione in questione è con il gruppo MER, uno dei colossi delle telecomunicazioni e della sicurezza. “… il board ha deciso di dismettere la divisione software”. E’ la divisione che sviluppa software nel campo dell’intelligence della quale abbiamo parlato poche settimane fa. “Peccato”, dico io. “Non hai capito” ribatte lui. “E’ per questo che ti chiamo. Il capo della divisione ‘spinoffa’ il progetto. Devi assolutamente parlarci”. “Lo può fare?”, chiedo. “La proprietà intellettuale è la sua, però cerca finanziatori, gli dedichi un’oretta?” Concordiamo che il mio assistente organizzerà una presentazione a stretto giro. Tra le centinaia di proposte che riceviamo la stragrande maggioranza è “a freddo”. Ragazzi sconosciuti che mandano il materiale sul loro progetto tramite il nostro sito. Però ci sono anche le “referenze”. I primi devono sudarsi un appuntamento e verranno invitati solo se le carte preliminari ci intrigheranno. I secondi ricevono lo “sconto” sulla prima selezione. Avranno l’ambito appuntamento perché presentati dalle persone giuste. David è persona di fiducia e l’appuntamento viene fissato. Ma lì finisce il trattamento di favore. Da qui in poi o il progetto ha le gambe o viene cestinato. Alcuni ritengono i Venture Capitalist un branco di gente superba. Non è così. E’ umanamente impossibile dare l’attenzione a migliaia di progetti ed ogni VC ha un proprio sistema di selezione che inevitabilmente fa dei torti. Bessemer, uno dei fondi più importanti al mondo ha recentemente messo online il suo “anti-portfolio”. Ovvero le società che si erano proposte e che non sono piaciute. Ci sono nomi come Apple, Google, Tesla, Checkpoint, Facebook, Intel e Paypal. E’ un grande atto di trasparenza che porta con se un messaggio profondo. Non abbiamo sempre ragione. Ma non c’è altro modo che fare una selezione. Squilla il telefono: “Jonathan? Ciao sono Gabi ho avuto il tuo numero da David Grau… ti devo parlare”. C’è stato un disguido con l’appuntamento, penso io. “Abbiamo un appuntamento fissato per la prossima settimana”, lo tranquillizzo io. “Sì lo so, ma io ti devo parlare prima dell’appuntamento”. Non è molto ortodosso come sistema ma qualcosa mi incuriosisce. “Ti ascolto”. “Ho un problema. Negli incontri non vengo preso sul serio”. “E perché mai?”. “Ho ventotto anni”. Pausa. “Vorrei raccontarti la mia storia. Ho prestato servizio militare nell’Intelligence di campo sulle alture del Golan. Monitoravamo l’esercito siriano. Dopo alcune settimane che ero lì sono giunto alla conclusione che stavamo lavorando ‘con i piedi’. Così la notte invece di dormire mi sono messo a scrivere un codice. Sono tornato dal mio comandante con il file e gli ho detto: “provate questo”. Gabi mi racconta di come il suo software abbia “scoperto” cose che fino ad allora non erano state capite. Dopo pochi giorni la sala di controllo della sua base viene visitata da ufficia- li di grado sempre più alto, fino ai massimi vertici. E’ uno dei tanti esempi di come in Israele anche il più gerarchico dei sistemi sia strutturalmente aperto all’innovazione lasciando che un giovane di leva spieghi qualcosa ai generali. Quando Gabi si congeda, Athena gli propone di sviluppare l’idea e trasformarla in un prodotto commerciale. Gabi è oggi il Ceo di 53N53 – che si legge Sense – una start up molto promettente: applica i suoi algoritmi agli input che vengono dai più disparati sistemi di allerta (telecamere, sensori, ed ogni altro dato utile) e li trasforma in una mappa utile a un intervento in tempo reale. Il sistema apprende le criticità e le “regole”, modifica il peso specifico di eventi particolari e propone le soluzioni più adatte. Ciò consente di trasformare ogni “control room” rendendola in grado di gestire situazioni di emergenza in tempo reale siano esse legate al mondo fisico o alla CyberSecuriy. 53N53 chiaramente non ha gareggiato a Rio 2016, ma a Tokyo 2020 non mi aspetto niente di meno che un oro.

Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT