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Il simbolo della disumanizzazione Cari amici, i simboli sono importanti, contribuiscono potentemente a creare le motivazioni e la concezione del mondo che appaiono normali in una certa società. Sono simboli anche attività sociali più generali e meno iconiche, come le elezioni (che indicano l’uguaglianza), i concorsi di bellezza (che implicano una certa idea del corpo umano, i conventi (con la loro vita già contemplativa come il paradiso che si vuol raggiungere) le vacanze (che dicono molto della concezione del tempo, del piacere e del lavoro nella nostra cultura). O lo sport. A differenza del gioco, lo sport non è universale, ma caratteristico della cultura occidentale moderna. Erede lontano ma assai approssimativo dei giochi greci e dei tornei cavallereschi, lo sport è stato inventato dagli inglesi a metà dell’Ottocento, diventando in poco più di mezzo secolo, con la complicità dei mezzi di comunicazione di massa, una delle principali attrazioni della società dello spettacolo, ma anche un modo di vita in qualche modo obbligatorio. Lo sport si deve fare o almeno guardare, non solo perché fa bene alla salute (farlo, non guardarlo), ma anche perché incarna valori e presenta modelli, in una società povera degli uni e degli altri come la nostra. Questi valori costituiscono il senso del simbolo sportivo: fair play, parità delle condizioni di partenza, duro lavoro, grande rivalità e agonismo in un quadro però di accettazione e perfino amicizia con l’avversario. Vi ho fatto questa premessa, e mi scuso se vi è sembrata un po’ lunga, per capire con voi quel che sta accadendo alle Olimpiadi (ma non è certa la prima volta che capita). L’accusa falsa di aver rubato le divise degli atleti della “Palestina” (figuratevi); il rifiuto della squadra libanese di sedere nello stesso pullman con quella israeliana. L’abbandono preventivo di un judoka sempre libanese e il rifiuto di un altro, invece egiziano di stringere la mano al concorrente israeliano che gliela tende dopo la partita... eccetera eccetera. Non si tratta solo di sgarbi o di mancanza di spirito olimpico. Ma di disumanizzazione degli ebrei che si espongono in quanto tali (http://spectator.org/bds-to-the-olympics-dehumanize-the-jew/ ). La stella di Davide che portano sull’uniforme viene usata come il marchio giallo nazista, il segno che chi lo portava non era davvero umano e si poteva fare di lui ciò che si voleva, quella condizione che Agamben ha descritto col marchio di “homo sacer”. Sfortunatamente l’organizzazione olimpica ammette i sottouomini giudei - sembrano dire i boicottatori - come sfortunatamente il mondo tollera l’esistenza di Israele. Tutto questo avviene nell’indifferenza generale, anzi con l’attiva solidarietà di molti comitati olimpici. A chi non lo sapesse vorrei ricordare che l’Italia, ospitando i giochi del Mediterraneo a Pescara nel 2009, non volle (o disse di non potere) garantire la presenza di Israele (e leggete qui con quanta ipocrisia http://www.focusonisrael.org/2009/02/25/giochi-del-mediterraneo-litalia-esclude-israele-dalla-competizione/ ). Non è naturalmente il solo ambito in cui questo rifiuto si eserciti, basta pensare alla vicenda dell’albergo Kempinski di Berlino, luogo peraltro caro ai gerarchi durante il III Reich, che ha tolto Israele dall’elenco dei prefissi telefonici. Ma lo sport è particolarmente simbolico e conta di più. Vale la pena di pensarci, perché questo smentisce l’illusione che basti qualche pezzo di carta e anche qualche collaborazione militare per far cessare l’odio. Non è così, anche perché l’odio antisemita nella mente degli arabi, di cui gli atleti di cui sto parlando è un simbolo, nasce da una propaganda ideologica quotidiana, martellante, demonizzante. Se non ci credete, andate a verificare voi stessi le centinaia di esempi che si trovano sul sito del Palestinian Media Watch (https://www.palwatch.org/pages/aboutus.aspx ). La prima cosa da fare è rendersene conto, dirlo, non nasconderlo come spesso fa il papa. La seconda cosa è usare la potenza materiale e militare che l’Europa e gli Stati Uniti hanno a sufficienza (a differenza di Israele) per costringere questi paesi a smetterla. Ma perché questo accada bisogna rovesciare (legalmente, beninteso, con le elezioni) i complici dell’islamismo che governano l’Europa e gli Stati Uniti. E’ un lavoro abbastanza lontano dal razzismo olimpico da cui sono partito, ma è la sola strada che ci sia aperta oggi. Ugo Volli |
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