Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/08/2016, a pag.5, con il titolo " Ci attaccano come in guerra, ma non servono leggi speciali ", l'intervista di Grazia Longo al Procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio.
Carlo Nordio Grazia Longo
Il succo dell'intervista a Carlo Nordio, una mosca bianca fino a ieri - speriamo trovi presto seguaci - sta nell'affermare coraggiosamente che "siamo in guerra" e che "l'Occidente è sotto assedio, con buona pace del Papa che insiste nel negarlo". Manca solo un riferimento diretto all'islam, ma è implicito nelle sue risposte.
Per il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio - negli Anni 80 impegnato contro le Brigate rosse - il terrorismo islamico si combatte, prima ancora che con leggi speciali, con «la consapevolezza che siamo già in guerra. I jihadisti ci hanno dichiarato una guerra santa: l’intero occidente è sotto assedio, con buona pace del Papa che insiste nel negarlo. E ci sono tutti i presupposti per possibili attentati anche in Italia». Ne è davvero così convinto? «Papa Francesco sostiene che non siamo in guerra e che dietro i soldati del Califfo si nascondano semplici mercanti d’armi o persone con soli problemi di emarginazione sociale. Sono decisamente contrario e inorridisco quando una parte dell’opinione pubblica si scandalizza perché il governo mette a disposizione la base di Sigonella o invia in Libia i corpi speciali dell’esercito e delle forze dell’ordine. Basta con la cultura dello struzzo: occorre una presa di coscienza collettiva sul fatto che siamo in guerra e che cellule silenti della jihad possono compiere attacchi anche sul nostro territorio. A complicare il quadro, poi, ci sono i cosiddetti lupi solitari». Quanto ritiene insidiosa questa minaccia? «Molto. Possono agire nel modo non solo più sinistro ma anche più imprevedibile: ieri un camion sul lungomare, domani una carrozzina dentro un asilo, e avanti così secondo la loro fantasia. L’Italia e l’intero occidente, che già faticavano ad affrontare una forma di guerra cui non erano preparati, sono ora minacciati da una tattica ancora più inattesa, resa più funesta, perché più insidiosa, dall’impossibilità di delineare e persino di immaginare il volto del nemico». Intelligence e forze dell’ordine hanno intensificato da tempo l’attività di monitoraggio. La magistratura può incidere in qualche misura nella prevenzione del fondamentalismo islamico? «No, credo che i magistrati debbano lasciare il campo esclusivamente alla politica, e alla polizia di prevenzione. È a questi ultimi, e ai Servizi segreti che rispondono al governo, che compete il delicato tema della sicurezza nazionale. L’unica concessione possibile è, a mio avviso, il ricorso alle intercettazioni preventive. Quelle cioè che, in casi straordinari, si svolgono a titolo cautelativo su unica indicazione del pm senza autorizzazione del gip. E restano quindi segrete». Il Viminale ha appena espulso l’imam di Andria che la Cassazione aveva scagionato definitivamente dalle accuse di terrorismo. Che cosa ne pensa di questo conflitto? «Hanno ragione sia la Cassazione, a cui spetta il compito di sentenze penali definitive, sia il Viminale che può gestire l’emergenza jihadista in modo più flessibile e quindi può ordinare le espulsioni. La strada delle espulsioni, peraltro, è uno strumento imprenscindibile nella guerra di religione che stiamo vivendo». Come considera l’ipotesi di leggi speciali? «Bastano quelle esistenti. Il guaio è che spesso non vengono applicate». A che cosa allude? «Offro un esempio semplice e concreto che riguarda il velo delle donne musulmane, lo hijab, o quello integrale niqab. In base all’articolo 5 della legge 152/1975, in merito alle disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, è vietato girare a volto coperto senza giustificato motivo. Ebbene il “motivo religioso” viene ritenuto talmente giustificato da consentire il ricorso al burqa, con tutti i limiti per il riconoscimento della persona che lo indossa. Un aspetto non da poco se si pensa che sulle spiagge di Cannes è stato vietato il burkini, il costume da bagno islamico che copre interamente il corpo. Tornando a casa nostra, la legge c’è ma di fatto viene ignorata». Il rischio zero non esiste, ma è noto il background del nostro Paese in materia di terrorismo rosso e nero. Individua qualche altro aspetto che ha funzionato meglio rispetto a Francia, Belgio, Germania? «In Italia i sospettati di connivenza terroristica, non essendo cittadini italiani, hanno potuto, nella più perfetta legalità costituzionale, essere individuati ed espulsi. Non dobbiamo però dimenticare il problema del controllo alle frontiere, della distinzione tra esuli politici, profughi economici e potenziali terroristi. Lo ha appena confermato il Copasir: tra i migranti si possono confondere pericolosi jihadisti. Occorrono dunque maggiori controlli e una nuova politica italiana alle frontiere, alla pari di Paesi come Francia e Austria».
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