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Un lutto su cui è importante riflettere Cari amici, Oggi gli ebrei osservanti digiunano tutto il giorno, leggono quel capolavoro terribile che è il Libro delle Lamentazioni, rispettano i comportamenti tradizionali del lutto stretto. Oggi, quando mi leggete, in realtà è il 10 di Av, ma una regola fondamentale dell’ebraismo è che lo Shabbat è così sacro e dev’essere così lieto da cancellare ogni lutto, per cui negli anni come questo in cui vi cade il 9 di Av, il digiuno slitta alla domenica e complessivamente il rito si addolcisce. Il punto focale del digiuno del 9 di Av è la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio. Per questo ogni anno gli ebrei tengono il lutto da ventisei secoli (la data è già nel Libro di Geremia, contemporaneo della prima caduta: 52:12-13, poi compare in Zaccaria 7:3, nel secondo Libro dei Re ed è codificata nel trattato talmudico di Ta’anit): è come se i romani di oggi digiunassero ancora per l’invasione di Brenno (390 prima della nostra epoca) o i greci per le Termopili (-480): una memoria storica inaudita in ogni altra cultura. Non vi è distinzione nella tradizione ebraica fra ricordo storico nazionale e ricorrenza religiosa, perché per l’ebraismo la divinità viene incontrata collettivamente dal popolo e nella storia, che si tratti di un dono di libertà che salva o della punizione terribile che l’Eterno stesso ricorda “ruggendo di dolore”, come dice ancora il Talmud, nel trattato Berakhot. Chi pensa di staccare il popolo ebraico dalla sua tradizione religiosa, la Torah (come hanno provato gli estremisti di sinistra), ma anche chi cerca di staccare le tradizioni religiose dal destino del popolo (come fanno i più estremisti fra i charedim), non solo mette a rischio la sopravvivenza di entrambi, ma dimostra di non aver capito nulla neppure di quello fra questi due principi che dice di amare. Vi è poi un terzo vertice del triangolo culturale che definisce l’ebraismo e lo differenza da altri popoli e tradizioni, dopo la Torah e il popolo questo terzo principio è proprio la terra di Israele e più specificamente Gerusalemme. L’intreccio fra Torah, popolo e terra è strettissimo nell’ebraismo. Dire che l’ebraismo ha sostituito una religione dello spazio con una del tempo, come hanno sostenuto alcuni (per esempio Heschel), è un pensiero brillante, ma molto incompleto. Gerusalemme, col suo tempio, per l’ebraismo non è solo un contesto per un episodio religioso decisivo, come la morte di Gesù nel Cristianesimo; o come per l’Islam una qualsiasi città antica (neppure davvero “il terzo luogo sacro” come si ripete meccanicamente, perché non è lì la moschea da cui sarebbe partito il pellegrinaggio notturno di Maometto, come ha spiegato bene recentemente Morechai Kedar (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=63426 ), ma è ben noto a tutti gli storici seri di quella religione. Per gli ebrei la Terra di Israele con Gerusalemme al centro, con il cuore, l’anima, l’identità - in senso molto concreto e non retorico. Chiunque pensi al labirinto politico mediorientale deve tener conto di questo fatto. Ma c’è ancora un dettaglio in questa ricorrenza cui voglio accennare: dicono i maestri del Talmud che Gerusalemme cadde nel 70 e che forse anche gli altri episodi ricordati dal 9 di Av avvennero a causa del “sinat chinam”, l’odio insensato o irragionevole, che in quel tempo divideva il popolo ebraico e condusse i più sciocchi o malguidati fra i litiganti a invocare l’intervento dei nemici stranieri (non posso qui riassumere la storia, che è molto interessante; per chi fosse interessato invito alla lettura delle pagine 55b e 56a del trattato Gittin del Talmud bavli; le trovate fra l’altro qui in inglese: http://www.chabad.org/media/pdf/323/YIxQ3233957.pdf - i primi due paragrafi). Non occorre aderire alla teologia della ripetitività della storia che è evidente nei multipli significati del 9 di Av per vedere chiaro che questa storia è attuale ancora oggi.
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