Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/08/2016, a pag.17, con il titolo " Espulso un altro imam ", la cronaca di Gabriella De Matteis.
Imam che predicano il terrorismo, non dei semplici reclutati per combattere in Siria, i primi rappresentano il testo sacro che indottrina i criminali, i secondi -come peraltro anche i primi- ci vengono presentati dai nostri media non con il nome che gli spetta: "terroristi", ma " radicali" o " in via di radicalizzazione", contribuendo così alla crescita esponenziale della disinformazione. Se i fatti non vengono chiamati con il loro nome, assumono altri significati. L'uso di queste parole invece di quelle pertinenti, disinforma l'opinione pubblica.
Il pezzo di De Matteis è miracolosamente esente dalle parole 'radicale' e 'radicalizzasione', eppure continua a proporre in luogo di 'terroristi' il termine 'militanti', altra parola ambigua che non aiuta a capire.
Ecco l'articolo:
Gabriella De Matteis L'imam di Bergamo
BARI. Hosni Hachemi Ben Hassen, ex imam della moschea di Andria, a luglio, è stato assalto dalla Cassazione dall'accusa di essere il capo di una cellula jihadista, ma secondo il Viminale durante la sua detenzione in carcere «ha posto in essere condotte di sostegno di azioni terroristiche». Per questo ieri è stato espulso, rimpatriato nel suo Paese d'origine, la Tunisia. Un provvedimento, quello del ministro dell'Interno Angelino Alfano, arrivato nel giorno in cui Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, avverte come con la liberazione di Sirte dall'Isis «lo scenario è completamente cambiato e cresce oggettivamente il rischio che dei militanti possano fuggire in Europa anche via mare». Un'ipotesi, per il momento, sulla quale stanno lavorando gli uomini dell'antiterrorismo. Sotto osservazione anche le strutture penitenziarie dove sono detenuti i presunti jihadisti. L'obiettivo è prevenire il rischio di propaganda. Hosni Hachemi Ben Hassen, 49 anni, era stato arrestato nell'aprile del 2013, accusato di aver dato vita a una scuola di terrorismo che aveva la propria base operativa nella moschea e nel call center che l'ex imam gestiva ad Andria. Accuse pesanti quelle formulate dalla Dda di Bari, sulla base di intercettazioni telefoniche e del materiale informatico sequestrato dai Ros, che in primo e in secondo grado avevano portato a sentenze di condanna per i cinque presunti componenti della cellula. A Hosni Hachemi la pena più elevata, cinque anni e due mesi. La tesi secondo cui l'ex imam di Andria avesse dato vita ad un'organi77.a7ione che progettava attentati, però, non ha retto in Cassazione che ha assolto gli imputati ( solo per Hosni Hachemi ha chiesto un processa per rideterminare la pena per il reato di istigazione all'odio razziale). Dopo la sentenza di terzo grado, l'ex imam, detenuto nel carcere di Rossano Calabro (la struttura penitenziaria dove sono reclusi molti presunti jihadisti ) è stato trasferito in un centro di identificazione. Gli agenti hanno notificato il provvedimento di espulsione firmato dal ministro Alfio che accusa il tunisino «di condotte di sostegno di azioni terroristiche e da attuarsi in danno degli Stati ritenuti fedeli' e di divulgazione di materiale propagandistico inneggiante al terrorismo. «Dal gennaio del 2015 sono 9, quindi, gli imam espulsi, 27 se si va a ritroso fino al 2003» spiega il numero uno del Viminale. La soglia di attenzione, quindi, è massima nel nostro Paese, anche e soprattutto dopo le parole del numero uno del Copasir Stucchi che non ha escluso un nuovo scenario: «Se a lungo è stato altamente improbabile, se non impossibile, che Daesh facesse viaggiare suoi affiliati sui barconi, esponendo ai rischi oggettivamente alti della traversata uomini su cui aveva investito in tempo e soldi», oggi si è «in pieno caos, e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare verso l'Europa». Un'ipotesi, dunque, perché, aggiunge Stucchi uso-no cani sciolti, gente allo sbando, che scappa poi si tratta di capire quali intenzioni ha chi dovesse davvero arrivare in questo modo: semplicemente far perdere le proprie tracce oppure voler continuare a 'combattere' in nome della propria causa?».
Per inviare la propria opinione a Repubblica, telefonare: 06/49821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante