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Informazione Corretta Rassegna Stampa
10.08.2016 Borderlife, di Dorit Rabinyan
Recensione di Giorgia Greco

Testata: Informazione Corretta
Data: 10 agosto 2016
Pagina: 1
Autore: Giorgia Greco
Titolo: «Borderlife, di Dorit Rabinyan»

Borderlife
Dorit Raninyan
Traduzione di Elena Loewenthal
Longanesi euro 16,90

Dopo le molte polemiche di cui abbiamo reso conto nei mesi scorsi (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=19&sez=120&id=62407), ecco un giudizio letterario sull'opera di Dori Rabinyan.

Cresciuta in una famiglia di ebrei di origini iraniane, Dorit Rabinyan si è fatta conoscere al pubblico italiano con i romanzi “Spose persiane” (Neri Pozza) e “Le figlie del pescatore” (Piemme) in cui ripercorre memorie familiari e dove la dimensione folkloristica si affina in una narrativa più profonda e di ricerca. Con una scrittura immaginifica, densa di metafore Rabinyan ha raccontato storie al femminile con scenari quotidiani di dura realtà, senza una speranza e un orizzonte possibile. I villaggi di fango, l’altopiano che si accende di suoni e colori, i grandi deserti sono la geografia esotica dei suoi primi romanzi. Dopo queste prime esperienze letterarie in cui si avverte il bisogno di fare i conti con le proprie radici, l’autrice israeliana vuole indagare il rapporto con l’”altro” per eccellenza, il palestinese che vive accanto per capire in profondità quel mondo arabo, spesso ostile, che circonda Israele da ogni lato.

Borderlife (Linea di confine), presentato dall’autrice al Salone del Libro di Torino, ha ottenuto un enorme successo ben prima di essere letto, semplicemente perché una stampa faziosa l’ha etichettato come libro “proibito” in Israele, assicurandogli così un incremento insperato di vendite. In realtà il Ministro della cultura israeliano ha deciso di non includerlo fra i testi consigliati alle scuole superiori ma non l’ha mai censurato, con buona pace di alcuni giornalisti italiani, tanto che il romanzo è da mesi nelle classifiche dei libri più venduti in Israele. E con ragione perché l’ultimo romanzo di Dorit Rabinyan è un’opera di alto valore letterario, l’unico parametro con cui, a parere di chi scrive, dovrebbe essere valutato un romanzo. Dall’incontro con l’artista palestinese Hassan Hourani nel corso di una sua esperienza di studio a New York, l’autrice ha tratto ispirazione per la magnifica storia d’amore fra la ricercatrice israeliana Liat Benyamini, anch’ella di origini iraniane, e Hilmi Nasser, un pittore palestinese di Ramallah che vive a Brooklyn da alcuni anni.

Siamo a New York nel 2002 e dopo la catastrofe delle Torri gemelle l’attenzione dei servizi di sicurezza americani è massima. Liat riceve una visita da funzionari dell’FBI perché a causa dei tratti somatici “mediorientali” è stata indicata come persona sospetta da un cliente del caffè Aquarium frequentato dalla giovane studiosa. Chiarito l’equivoco Liat si reca proprio in quel caffè per incontrare Andrew un amico che però, impossibilitato a raggiungerla, manda il suo insegnante di arabo ad avvertirla. Da questo incontro casuale, sullo sfondo dell’autunno newyorchese, nasce una delicata storia d’amore, impensabile in Israele, ma possibile in quel melting pot che è New York. Giorno dopo giorno si sviluppa un sentimento pieno e coinvolgente, intenso nella fisicità e totalizzante nell’anima. Condividendo i momenti più significativi della loro infanzia Liat narra del timore di imbattersi nei bambini arabi quando andava a scuola, per difendersi dai quali si portava dietro una spilla; Hilmi invece ricorda dell’incontro fortuito con bambini ebrei ortodossi e delle loro urla spaventate: Aravim, aravim!

Ci sono i ricordi laceranti di Hilmi che ha scontato quattro mesi di carcere per aver dipinto bandiere palestinesi e la consapevolezza per Liat della necessità per ogni israeliano di servire nell’esercito il proprio paese. Ci sono le discussioni accese quando il discorso cade sulla situazione politica: per Liat non si può prescindere dai due Stati “…Quanto sarebbe più proficuo uno stato palestinese indipendente accanto a Israele. Il confine della loro libertà avrebbe definito anche la nostra pace e sicurezza”; per Hilmi l’unica realtà possibile è uno Stato binazionale “….La terra è la stessa, come il cielo e il mare. E i luoghi santi sono tutti concentrati nella stessa città. Siamo inseparabili”. Ci sono le incomprensioni e i litigi quando Liat cerca di nascondere la relazione con Hilmi alla sua famiglia sapendo che darebbe un dolore ai suoi genitori, mentre lui è orgoglioso di quell’amore e ne parla ai suoi fratelli. Solo in occasione di un incontro di famiglia Hilmi delude Liat astenendosi dal prendere le sue difese dinanzi agli attacchi contro la politica israeliana (incarnata in quel momento dalle idee di Liat) di suo fratello Wasim, un arrogante e presuntuoso studioso di scienze politiche a Berlino.

E poi c’è l’immensa nostalgia che provano per i colori, i profumi e il caldo avvolgente del loro Paese resa ancor più intensa dal disagio di vivere nella gelida New York “…La neve fioccava silenziosa, nel buio, ma noi eravamo ormai dall’altra parte del mondo, quella luminosa. Io per i campi verdi della mia infanzia a Hod HaSharon, lui per i uadi di ulivi e pini della sua giovinezza a Hebron. Gli raccontai degli agrumeti che c’erano accanto a casa nostra, quei boschi di arance e limoni ….E lui mi parlò delle colline di calcare tutt’intorno a casa di sua madre, a Ramallah e dei lunghi giorni trascorsi sotto un grosso gelso, a disegnare il paesaggio”. Sin dai primi giorni in quel miscuglio di poesia, ebbrezza e libertà che è il sentimento che li unisce, Liat è consapevole di vivere una storia impossibile, destinata a finire con il suo ritorno in Israele. Eppure è con sgomento che un giorno al supermercato osserva la data di scadenza sopra una confezione di cereali: 20 maggio 2003. “Al giorno del mio volo di ritorno in Israele – tutt’a un tratto mi aveva colpito con un’evidenza lampante, mi si era piantato davanti agli occhi – mancavano due mesi e una settimana.

Dopo che Liat ha ripreso la sua vita in Israele, a Tel Aviv con la sua famiglia, (“Tornare a casa. Al familiare corso della giornata, alle vecchie abitudini, alle piccole cose e alla semplice consolazione che danno”), anche Hilmi decide di rientrare per l’estate a Ramallah. Non si possono più vedere seppur così vicini, ma si telefonano ogni giorno forse per ritrovare la voce l’uno dell’altra e per raccontarsi quel sentimento che ora vive nei loro cuori. Il finale, magistralmente orchestrato dall’autrice, lascerà nel lettore un grumo di rabbia e tristezza oltre che la consapevolezza di aver assaporato pagina dopo pagina una delle più belle e intense storie d’amore mai raccontate. Con raro talento narrativo ed elegante cifra linguistica, Rabinyan dipinge scenari di vita in cui le emozioni, le sensazioni e le immagini si intrecciano in una continua spirale emotiva che coinvolge nel profondo il lettore, creando forte empatia con i personaggi. E’ questo uno dei maggiori pregi dell’autrice di Borderlife: raccontare con equilibrio e maturità, in uno scenario difficile, una storia d’amore che commuove e fa riflettere, senza mai prendere posizione, per lasciare il lettore libero di orientarsi in quel complesso microcosmo che è lo Stato d’Israele.

Immagine correlata
Giorgia Greco


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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