Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 09/08/2016, a pag. 22, con il titolo "Shoah: i dubbi polacchi e le accuse di Gross", il commento di Luca Gallesi.
L'articolo si conclude nel modo peggiore, mettendo in discussione la parte avuta dalla popolazione polacca e dal clero nella Shoah. Non intendiamo mettere in dubbio le sofferenze patite sotto l'occupazione tedesca da milioni di polacchi cattolici ed è giusto ricordare gli oltre 5000 "Giusti tra le Nazioni" polacchi che si adoperarono per salvare ebrei mettendo a rischio la propria vita.
Le ricerche di Gross, però, denunciano con una ampia documentazione la sistematica spoliazione dei beni ebraici da parte della popolazione cattolica polacca, per non dire degli eccidi di ebrei condotti direttamente da polacchi. Avvenire mette in dubbio tutto questo, e in particolare i silenzi della Chiesa polacca: una pessima figura per il quotidiano dei vescovi.
Ecco l'articolo:
La copertina (Einaudi ed.)
La storia del Ventesimo secolo grava inesorabilmente sull'attualità del Terzo millennio: più passa il tempo, più, invece di placarsi, divampano le polemiche sulle immani tragedie che hanno insanguinato il Novecento. La persecuzione degli ebrei è il tema centrale di tanta produzione storica e memorialistica che spesso non si limita a descrivere quello che è successo, ma tenta di indicare responsabili e complici di quelle atrocità, innescando polemiche, talvolta con strascichi legislativi e giudiziari.
Jan Tomasz Gross è uno storico polacco, che nel 1969 si è trasferito negli Stati Uniti, dove insegna storia alla Princeton University; nel 2000 ha pubblicato Neighbors, ("I carnefici della porta accanto") finalista al "National Book Award", scatenando una selva di polemiche, rinfocolate due anni dopo dal film Aftermath, ispirato al libro e diretto da W. Pasikowski. II fatto storico descritto è il massacro di Jedwabne del 1941, quando 340 ebrei polacchi furono bruciati vivi in un granaio, durante l'Operazione Barbarossa, l'avanzata tedesca verso est. II pogrom, però, non fu opera dei tedeschi, bensì dei vicini ("Neighbors", appunto) delle vittime, contadini polacchi che approfittarono della situazione per arricchirsi con i beni delle vittime, lasciando che la storia addossasse la colpa ai tedeschi.
Jan Tomasz Gross, e I carnefici della porta accanto (Oscar Mondadori ed.)
I meriti accademici di Gross gli sono valsi nel 1996 il massimo riconoscimento polacco, "Ordine al Merito della Repubblica di Polonia", che, però, rischia di essere ora revocata, sull'onda di una vastissima protesta popolare suscitata dagli studi successivi di Gross, soprattutto quello scritto in collaborazione con Irena Grundzinska Gross, tradotto da Einaudi col titolo Un raccolto d'oro: Il saccheggio dei beni ebraici (pagine 128, euro 20,00). Le polemiche sul breve saggio hanno convinto il presidente polacco Andrzej Duda a considerare il ritiro del riconoscimento. Contro questa eventualità si sono espressi molti intellettuali, soprattutto americani, che ritengono non debba spettare alla legge definire la legittimità o meno della ricerca storica, stigmatizzando il fatto che uno studioso, Gross, appunto, debba essere chiamato a rispondere davanti alla legge delle sue pubblicazioni.
Lo scorso 14 aprile, a Katowice, infatti, lo specialista è stato interrogato per 5 ore, per aver ribadito, in un articolo del 2015, la sua opinione, che durante l'occupazione tedesca, «i polacchi hanno ucciso molti più ebrei dei tedeschi». Il contenuto e soprattutto le conclusioni dell'interrogatorio sono ancora secretati, ma resta lo sconcerto di veder messo sotto giudizio uno storico dalle indiscutibili credenziali accademiche per i risultati delle sue ricerche, o per le conclusioni che se ne possono trarre. Un raccolto d'oro riassume il pensiero di Gross. Prende lo spunto da una fotografia anonima, pubblicata nel 2008 su un quotidiano polacco, che mostra un gruppo di contadini riuniti, con macabra serenità, attorno a una fossa dalla quale sono stati estratti, e ordinatamente ammucchiati teschi e altre ossa umane; accanto a loro, numerosi soldati in uniforme sembrano sorvegliare, con atteggiamento distaccato, i braccianti che impugnano ancora i loro strumenti di scavo. Secondo gli autori dell'articolo, è stata scattata in un paese vicino a Treblinka, e ritrarrebbe «degli scavatori presi dalla polizia». Da questa immagine Gross racconta agli specialisti, ma soprattutto al grande pubblico, le sue tesi storiografiche sulla complicità della popolazione polacca nel saccheggio e nelle uccisioni degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale.
La discriminazione della popolazione ebraica si presenta in tutti i territori occupati o subalterni alla Germania, con modalità diverse, ma con un unico risultato: la spoliazione e conseguente ridistribuzione dei beni ebraici, redistribuzione che, secondo Gross, in Polonia viene effettuata a beneficio della popolazione polacca, disposta a picchiare, denunciare, violentare, torturare e persino uccidere quelli che fino al giorno prima erano i loro amici, i loro vicini. I resoconti citati da Gross sono drammatici, e tendono a documentare come gli «scavatori» della foto, interrotti mentre cercavano beni e preziosi tra gli scheletri delle vittime, non sono un episodio casuale, ma dimostrano «che gli eccidi costituivano un'impresa collettiva, alla quale la popolazione locale partecipava apertamente» approfittando vigliaccamente della situazione.
Tra le controverse questioni denunciate da Gross, ci sono anche delle spietate accuse alla Chiesa cattolica, che, negli ultimi capitoli del libro viene associata ai «volenterosi carnefici», e accusata di «essere il grande assente» nel dramma degli ebrei polacchi, accusa corroborata «dalla chiusura degli Archivi della Chiesa». Secondo lo storico, «nelle dichiarazioni dell'Arcivescovo Adam Sapieha, [...] come in quelle di altri membri della gerarchia polacca, non c'è traccia di compassione o di sollecitudine». Parole durissime, specie se confrontate con la persecuzione patita dagli stessi cattolici: secondo l'Enciclopedia Britannica ben 1.811 sacerdoti cattolici polacchi morirono nei campi di concentramento tedeschi, insieme a decine di migliaia di fedeli, tra cui contiamo oggi 108 beati, di cui san Massimiliano Padre Kolbe è il più famoso. Tutti "indifferenti" o addirittura complici?
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