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La Stampa Rassegna Stampa
05.08.2016 Continua la bufala: 'I terroristi? Giovani con disagi, esclusi senza prospettive'
La cronaca che disinforma è di Camilla Ilaria Colombo

Testata: La Stampa
Data: 05 agosto 2016
Pagina: 8
Autore: Camilla Ilaria Colombo
Titolo: «'Esclusione e assenza di prospettive spingono i giovani stranieri alla violenza'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/08/2016, a pag. 8, con il titolo "Esclusione e assenza di prospettive spingono i giovani stranieri alla violenza", la cronaca di Camilla Ilaria Colombo.

Ecco di nuovo comparire sui quotidiani italiani la menzogna del "disagio" come motivo del terrorismo e sua giustificazione. Non una parola sulla violenza teologica dell'islam, ma una serie di luoghi comuni sbagliati sulle presunte cause del terrorismo (islamico): esclusione, assenza di prospettive, disagio adolescenziale.

Ecco l'articolo:

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«Cosa porta un giovane straniero a compiere un atto di violenza? L’assenza di prospettive, l’attesa sospesa sul proprio futuro, il non sentirsi parte integrante di una comunità». Antonella Costantino, direttrice dell’Unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza della Fondazione del Policlinico di Milano, conferma quanto emerge dagli ultimi episodi di terrorismo compiuti in Europa da ragazzi di 18-19 anni.

«C’è un disagio adolescenziale diffuso tra i giovani figli di emigrati di seconda o terza generazione e i minori che sbarcano sulle nostre coste non accompagnati da genitori e parenti. Il dover costruire la propria identità all’interno di una cultura cui non si appartiene, come dimostra il caso francese, o il trascorrere mesi dentro i centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) senza aver nulla da fare, come accade nel nostro Paese, sono fattori di rischio da tenere sotto controllo. Anche un italiano vive momenti critici durante la fase di transizione dall’infanzia all’età adulta. Nei ragazzi stranieri però questo disagio è acuito dal sentirsi incapaci di unire in un unico mosaico tutti i pezzi della propria personalità: famiglia, cultura, religione. Ecco allora che possono insorgere patologie psichiatriche anche gravi».

La dottoressa Costantino conosce da tempo la realtà dei giovani migranti. È stata lei, con il Policlinico e il Comune di Milano, a capire che per dare risposte concrete ai disturbi mentali degli stranieri era necessario monitorare il loro comportamento. «Il modo in cui affrontavamo lo scompenso psichico era insufficiente per prevenire tali episodi. Molti ragazzi, dopo il primo incontro, non tornavano più», spiega Antonella Costantino. È così che nel 2009, molto prima dell’attuale grande flusso migratorio che investe l’Italia, è nato a Milano un progetto di monitoraggio del disagio neuropsichiatrico dedicato ai migranti minorenni non accompagnati. «Abbiamo pensato a questo programma quando ci siamo resi conto che solo la metà dei giovani stranieri che si rivolgevano a noi erano iscritti a scuola», spiega la dottoressa Costantino. «Abbiamo quindi costituito dei percorsi terapeutici ad hoc con l’aiuto di mediatori culturali formati nell’affrontare i problemi di salute mentale. Abbiamo stilato test in lingua e aumentato la nostra flessibilità negli orari. Abbiamo modificato la diagnosi e la prognosi». Il tutto per dare risposte efficaci all’angoscia che vivono i migranti nelle comunità di accoglienza. Perché molto spesso i ragazzi che arrivano in Italia hanno tanta voglia di fare ma poi il sistema li lascia in un limbo dannoso per la loro salute mentale. «Si sentono abbandonati», specifica Antonella Costantino. «Non sanno che strada prenderà la loro vita e questo è fonte di possibili disturbi comportamentali».

Non c’è solo Milano impegnata nel monitoraggio del disagio adolescenziale dei giovani stranieri. Anche Monza, Vimercate, Lodi, Garbagnate e Brescia hanno attivato progetti dedicati alla comprensione e al controllo del disturbo psichiatrico dei migranti minorenni. «Si è diffusa l’idea, soprattutto nelle comunità d’accoglienza, che è possibile intervenire prima che si manifesti un comportamento patologico», afferma la dottoressa. «Sono loro a chiamarci per capire come si relazionano i minori, in cosa hanno bisogno di essere seguiti, quali sono le problematiche di ognuno. Non è un compito facile certo», conclude Antonella Costantino, «ma è l’unico per evitare che si ripetano atti di violenza come quelli di Monaco, di Rouen o di Londra».

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direttore@lastampa.it

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