Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/08/2016, a pag. 1-25, con il titolo "Non possiamo fare a meno della Turchia", l'analisi di Giampiero Massolo; dalla REPUBBLICA, a pag. 31, con il titolo "Erdogan è 'nudo' ma l'Europa fa finta di niente", l'analisi di Andrea Bonanni.
I due articoli sono impostati in modo molto differente, e testimoniano della difficltà da parte degli "esperti" a cogliere il segno dei recenti fatti in Turchia.
Giampiero Massolo è benevolo nei confronti del regime di Erdogan, e sostiene la tesi della necessità, per l'Europa tutta, della Turchia. Andrea Bonanni, invece, insiste sulla natura ormai chiara a tutti del regime islamista e illiberale di Erdogan, e sulla mancata risposta dell'Europa di fronte ai suoi recenti crimini.
Ecco gli articoli:
Recep Tayyip Erdogan
LA STAMPA - Giampiero Massolo: "Non possiamo fare a meno della Turchia"
Giampiero Massolo
Che fare con la Turchia? In termini politici, è questa la domanda alla quale rispondere.
Specie ora che, per paradosso, proprio in nome della democrazia vengono stravolti in quel Paese i suoi contenuti più ovvi. Mentre il Presidente Erdogan esprime giudizi inaccettabili e giustamente respinti sulle istituzioni italiane e europee.
Doverose le ammonizioni a non eccedere, a non valicare il confine tra democrazia autoritaria e dittatura islamica vestita da riforma presidenziale, necessaria l’indignazione per il paventato ripristino della pena di morte e per le violazioni dei diritti umani, spartiacque nei rapporti con l’Europa. Basteranno?
Erdogan, ben al di là del suo partito e delle istituzioni dello Stato, riassume in sé l’intero assetto politico. È al potere per via elettorale, lo mantiene sulla base di un consenso popolare tuttora maggioritario malgrado le involuzioni autoritarie, forte anche dei ritmi di crescita economica; è contestato da una crescente moltitudine anti integralista, però ancora elitaria anche se consonante con l’Occidente. Non esiste in termini politici, occorre riconoscerlo, una forza d’opposizione in grado di sostituirlo in libere elezioni. Nessuno schieramento alternativo e tanto meno i militari (il golpe è fallito anche per le loro divisioni interne oltre che per scarso sostegno popolare) è in definitiva in grado di garantire che la Turchia si mantenga stabile. Il golpe ha impaurito tutti, sostenitori e oppositori, timorosi del salto nel buio. Non stupisce che il Presidente ne sfrutti le conseguenze. Legittimo domandarsi per quanto tempo ancora siano sostenibili questa situazione e questi metodi. Ma ad oggi lo sono. E non c’è molto da illudersi che esista un prezzo politico da imporre ad Erdogan tale da fargli mutare atteggiamento.
E al di là di lui, si può davvero fare a meno oggi della Turchia?
Una potenza militare in termini di uomini e mezzi seconda a pochi nella Nato, il cui sostegno o almeno astensione sono indispensabili in tutti i processi di stabilizzazione in Siria come in Libia; basi logistiche essenziali per l’efficace contrasto armato a Isis; il controllo della rotta migratoria anatolico-balcanica; un mercato di 80 milioni di persone; il Bosforo come passaggio strategico delle forniture petrolifere globali e l’altopiano anatolico come piattaforma dei gasdotti alternativi alle rotte russo-europee. Non c’è da meravigliarsi troppo, in tempi di terrorismo e crisi geopolitiche, se l’appoggio alla stabilità della Turchia - valore davvero strategico - sia venuto nella notte del golpe, e malgrado qualche esitazione e malcelata speranza del contrario, dagli Stati Uniti come dall’Europa, dai Paesi sunniti (Egitto a parte) come dall’Iran.
È un Paese cruciale e lo è per il solo fatto di esistere.
Che fare, dunque? La posta in gioco è conciliare la stabilità turca con il destino di un leader che molti accompagnerebbero volentieri all’uscita.
Le condanne potrebbero rivelarsi insufficienti a questo scopo. Specie se accompagnate da poco plausibili minacce di allontanamento dalla Nato o di emarginazione dall’Europa (l’accordo sui migranti resta pur sempre in piedi), rischierebbero di produrre effetti controproducenti per l’Occidente, frustranti per la metà dei turchi che la pensano come noi, suscettibili di consegnare del tutto Ankara al ritrovato rapporto con Mosca.
Meglio allora armarsi anche di pazienza strategica, ancorare per quanto possibile Erdogan alle logiche della collaborazione internazionale negli scenari di crisi, rendere credibile e concreto il cammino europeo della Turchia, cercare di allargare nel Paese la consapevolezza che un’alternativa politica è possibile senza compromettere la dignità nazionale.
Lavoro lungo, pragmatico, non sempre consonante con le nostre sensibilità. Eppure inevitabile in nome della nostra stessa sicurezza, che necessita di una Turchia responsabile.
LA REPUBBLICA - Andrea Bonanni: "Erdogan è 'nudo' ma l'Europa fa finta di niente"
Andrea Bonanni
Hans Christian Andersen aveva già capito tutto. A volte, specie in diplomazia, dire che “il re è nudo”, cioè dire le cose come stanno, non è la cosa più opportuna da farsi. Ciò non toglie che, se il re è davvero nudo, nudo rimane. Il cancelliere austriaco Christian Kern ha spiegato in una intervista che i negoziati di adesione della Turchia alla Ue «sono una finzione diplomatica», che «le regole democratiche turche sono lontane dall’essere sufficienti», e che proporrà al prossimo vertice dei capi di governo la sospensione dei negoziati per far entrare Ankara in Europa. Per tutta risposta si è preso i rimbrotti del presidente della Commissione Jean Claude Juncker, secondo cui i negoziati di adesione proseguono e «sarebbe un grave sbaglio dare l’impressione che l’Ue non voglia la Turchia».
Può darsi che Juncker abbia ragione. Oggi la sorte dei governi democratici europei è appesa all’accordo raggiunto nella primavera scorsa tra la Ue e Erdogan per bloccare il flusso dei rifugiati siriani che dalla Turchia passano sulle coste greche. Se Ankara decidesse di riaprire i rubinetti della migrazione di massa, riversando altri milioni di profughi in Europa, le democrazie europee rischierebbero di essere travolte dalla reazione populista delle proprie opinioni pubbliche. Nei prossimi quattordici mesi si voterà in Olanda, Francia e Germania. L’ascesa al potere di partiti nazionalisti e xenofobi in quei Paesi segnerebbe la fine dell’Europa. Di fatto, oggi, Erdogan ha in mano le sorti politiche della Ue e dei suoi governi. E ne approfitta in modo sfacciato. Non solo sta scatenando una repressione che rafforza il proprio regime senza curarsi degli appelli alla moderazione che gli arrivano da tutto l’Occidente. Si permette pure, come ha fatto nei giorni scorsi, di maltrattare il ministro degli esteri della Ue, Federica Mogherini e i capi di governo europei per non essere accorsi a dare solidarietà alle sue purghe indiscriminate. E questo senza che, da Bruxelles, qualcuno si sentisse in dovere di rispondergli a tono.
Molto semplicemente, come ha implicitamente ricordato Juncker, in questa fase l’Europa non può permettersi di respingere le pretese turche di adesione né di contestare le prepotenze del regime di Erdogan. Ma anche la scelta dell’inazione rischia di avere un prezzo politico elevato, come ci ha ricordato il cancelliere austriaco. Lo spettacolo umiliante di una grande potenza che si fa intimidire e maltrattare da un caudillo mediorientale non fa bene all’Europa. E rischia di alimentare comunque sentimenti di delusione e di rivalsa che finiscono per favorire ugualmente il campo populista. Anche l’uscita di Christian Kern, infatti, non è casuale. Tra poco l’Austria sarà chiamata a rivotare per eleggere il presidente della Repubblica scegliendo tra il candidato della destra anti-europea e il rappresentante dei Verdi, che aveva vinto per poche migliaia di voti le elezioni poi annullate.
L’immagine di un’Europa che si fa umiliare da Erdogan senza reagire potrebbe spostare l’ago della bilancia di quel pochissimo che basta a consegnare nelle mani di un populista la più alta carica dello Stato austriaco. E questo spiega l’intervento del cancelliere socialista, che cerca in tutti i modi di ripristinare il prestigio perduto dalle istituzioni europee. Le cose che Kern ha detto sulla Turchia sono ovvie, e per di più condivise da tutti. Lo stesso Juncker riconosce che « la Turchia non può essere un membro dell’Unione europea allo stato attuale, e specialmente qualora dovesse decidere di ristabilire la pena di morte». Ma la triste realtà è che oggi, in Europa, nessuno può permettersi di dire la verità sulla Turchia con un tono di voce troppo alto, tale da infastidire il regime di Erdogan. Come nella fiaba di Andersen Gli abiti nuovi dell’imperatore, dopo che il bambino grida «il re è nudo», la processione imperiale prosegue indisturbata. Il re resta nudo. Ma tutti, e lui per primo, fanno finta che indossi abiti sontuosi. Lo stesso accade con l’Europa ed Erdogan. Tutti sanno che è impresentabile. Ma tutti fanno finta che rimanga un interlocutore degno di questo nome, almeno fino a quando potrà usare milioni di innocenti per ricattarci.
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