Responsabilità storica
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
A destra: la Francia boicotta i prodotti israeliani, ma chiude entrambi gli occhi sui "prodotti" del mondo islamico
Cari amici,
di fronte a ogni atto di terrorismo il primo riflesso di ogni persona sensata e morale è la solidarietà con le vittime, non solo con i singoli che sono colpiti come esempio o come monito (quindi per caso, solo sulla base della loro appartenenza - questa è la caratteristica fondamentale del terrorismo), ma anche alla comunità politica, religiosa e sociale che è colpita attraverso di loro, proprio perché essa è l’obiettivo dei criminali. Mi sento dunque istintivamente e anche razionalmente solidale col popolo francese, con quello tedesco, con quello belga, con gli altri colpiti o a rischio, più in generale con la comunità più sfumata ma esistente degli europei, cui peraltro appartengo. E’ la libera esistenza dei nostri popoli che è in gioco e ovviamente a noi stessi spetta difenderla. Dato che l’attacco è uno anche la difesa dovrebbe essere comune. Mi sento solidale con i cristiani attaccati in Europa e nel mondo islamico, con gli scrittori e i disegnatori liberi minacciati, da Rushdie a Charlie Hebdo, oltre ovviamente al mio popolo ebraico, purtroppo sempre nel mirino dei nemici della libertà (e anche di certi suoi amici, eredi di Kant e di Voltaire, ma che come loro non sanno resistere alle profonde radici antisemite della cultura europea).
Essere solidale non significa però essere acritico. Non vuol dire non riconoscere le responsabilità politiche che hanno facilitato se non creato la situazione attuale. Badate, non parlo qui di responsabilità collettiva dei popoli e delle istituzioni. Un tema delicatissimo, per esempio nei confronti della Shoà, cui buona parte dei popoli europei, incluso quello italiano, ha in sostanza collaborato come “volonterosi carnefici”, come delatori, come sfruttatori delle disgrazie dei perseguitati, come sostenitore di regimi che andavano mostrando senza contrasto il loro volto genocida, o anche solo come astanti silenziosi e chiusi nel proprio egoismo.
No, qui vi parlo di un’altra responsabilità, quella politica delle classi dirigenti, dei governi, dei partiti, dei media che hanno contribuito a creare la situazione che oggi li colpisce. Prendiamo la Francia, per fare un esempio concreto, e lasciamo di lato le vecchie vergogne del Caso Dreyfus e della collaborazione del regime di Vichy con i nazisti anche nella caccia agli ebrei. I governi francesi dal dopoguerra in poi hanno fatto alcune scelte che hanno contribuito potentemente alle minacce attuali. La prima è stata di aver accettato, dopo la perdita della guerra d’Algeria, un’immigrazione araba che costituisce la base di massa dei disordini sociali e del terrorismo degli ultimi anni. Gli algerini fecero pulizia etnica dei francesi insediati nelle loro terre da un secolo e mezzo; la Francia invece favorì un’immigrazione che oggi li lascia in minoranza in molte zone del paese. Può essere stato un nobile errore, certamente è una catastrofe.
Vi sono poi due errori più specifici, ma non meno gravi: fu la Francia a salvare dal processo di Norimberga (per cui doveva essere imputato) il Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husseini e a permettere che tornasse in Medio Oriente (http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/19257), dove fondò l’Olp, introdusse i nazisti nell’amministrazione di Nasser, insomma fu uno dei principali responsabili delle carneficine prodotte dai nazionalisti arabi. I francesi pensavano in questo modo di assicurarsi l’amicizia degli arabi e la conservazione dei loro domini coloniali (un ragionamento simile a quello degli inglesi). Abbiamo visto com’è andata. Un errore del tutto simile fu fatto dai francesi trent’anni dopo, quando in un momento cruciale della sua carriera, fra il ‘78 e il ‘79, offrirono asilo politico all’ayatollah Khomeini, permettendogli poi di tornare in Iran e di realizzare la sua rivoluzione islamica (https://www.brusselsjournal.com/node/1857). Senza Khomeini molto probabilmente la rivolta contro lo scià si sarebbe evoluta in termini democratici e non ci sarebbe stata l’ondata islamista che si sviluppò dal suo esempio.
Per quanto riguarda specificamente Israele, la Francia ruppe una vecchia alleanza in un momento estremamente critico, quello della guerra del Kippur del 1973, interrompendo il rifornimento delle armi per cui c’erano contratti precisi, cercando di impedire agli Stati Uniti di far loro il rifornimento con la chiusura dello spazio aereo e votando con gli arabi all’Onu (http://www.jcpa.org/israel-europe/ier-pazner-05.htm). Un atteggiamento negativo che prosegue fino ad oggi, coi grotteschi tentativi di Hollande di dettare d’autorità una soluzione filopalestinese alla guerra secolare degli arabi contro Israele. O con le continue esaltazioni dell’antisemitismo e del terrorismo palestinista, per esempio con le onorificenze a Barghouti (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/france-declares-barghouti-honorary-citizen-48-hours-after-catholic-priest-sacrificed-by-isis/2016/07/29/), che peraltro non mancano neppure in Italia, dove regna la sinistra “alternativa” , per esempio a Napoli e Palermo. E’ un atteggiamento che corrisponde a un profondo antisemitismo della classe dirigente francese (quella di sinistra come quella di destra). Ma che soprattutto denuncia un errore fondamentale di cultura politica.
In tutti questi episodi, e negli altri più di dettaglio che si potrebbero citare, emerge l’illusione francese (ma che fu anche britannica e nel suo piccolo perfino italiana) di corteggiare le tendenze più integraliste e antioccidentali del mondo musulmano con l’illusione di ottenere la simpatia o almeno la neutralità dei terroristi. Il risultato è stato sistematicamente l’opposto. Le scelte di complicità e di aiuto sono state lette come debolezza e indicazione che fosse conveniente colpire - o come diceva Mao Tsetung “bastonare il cane che affoga”. Questo della Francia è anche il problema generale dell’Europa, che nei confronti dell’islamismo ha la tentazione continua di “finlandizzarsi”, come si diceva una volta alludendo alla subordinazione politica della Finlandia rispetto all’Unione Sovietica. Forse la Finlandia, libera e nemica storica dei russi, non poteva fare altro che piegarsi in parte al potente e aggressivo vicino, come la Svizzera evitò di contrapporsi all’impero hitleriano e cercò di mostrargli che la sua neutralità gli era conveniente più di una non facile conquista. Ma l’Europa e anche la Francia non hanno la dimensione di Svizzera o Finlandia e avrebbero la forza e la dimensione per resistere. E questa sarebbe la loro convenienza. Quel che manca loro è la forza morale, l’integrità, la convinzione del proprio diritto che è necessaria per vincere una battaglia esistenziale. Per questo Francia e Germania e in genere Europa sono a rischio e le loro classi dirigenti corresponsabili di questa condizione.
Ugo Volli