domenica 20 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
31.07.2016 Museo d'Arte a Tel Aviv: un diamante incastonato nella Città bianca
Alain Elkann intervista Ruth Direktor, curatrice al Museum of Art di Tel Aviv

Testata: La Stampa
Data: 31 luglio 2016
Pagina: 24
Autore: Alain Elkann
Titolo: «'Gli invisibili legami tra arte e politica'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/07/2016, a pag. 24, con il titolo "Gli invisibili legami tra arte e politica", l'intervista di Alain Elkann a Ruth Direktor, curatrice al Museum of Art di Tel Aviv.

Questa interessante intervista termina con una affermazione che non ha nulla a che fare con l'arte israeliana: "Un artista, Moshe Gershuni, nel 1977, scrisse nell’ambito di un lavoro sperimentale a Gerusalemme: “Il problema della pittura è il problema palestinese".". C'entra come i cavoli a merenda. Perché dunque riportarla?

Ecco l'articolo:

Immagine correlata
Alain Elkann

Immagine correlata
Ruth Direktor

Ruth Direktor, lei è curatrice d’arte contemporanea al Museo d’arte di Tel Aviv: mi descrive il suo museo?
«Il Museum of Art di Tel Aviv ospita arte moderna e contemporanea ed è stato il primo a essere allestito in Israele. Fu fondato nel 1932, agli albori della città, e la sua prima sede fu la residenza privata del primo sindaco, Meir Dizengoff. Dizengoff diceva che ogni città degna del nome dovrebbe avere un viale, una piazza e un museo. Non era un esperto d’arte e aveva una visione piuttosto ingenua del museo, ma adorava l’arte. Lui e la moglie non avevano avuto figli e nel testamento scrisse che il museo era la sua “adorata creatura”. Chiese a Marc Chagall - il più famoso artista ebreo del tempo - di dirigerlo. Chagall non poté accettare l’offerta, ma mantenne i contatti con Dizengoff e fu lui a donare il primo dipinto al Museo: “Ebreo con la Torah”, del 1925. Ancora oggi è registrato con il numero “1” nella nostra collezione. In seguito ci furono altre donazioni, soprattutto da collezionisti e artisti ebrei. Gradualmente il museo ha messo insieme una collezione completa e importante di arte moderna, che è permanente, e anche una raccolta più piccola di antichi maestri».

Cosa è accaduto al museo dopo la morte di Dizengoff?
«Nel 1936 l’edificio fu più volte ristrutturato per adattarlo alle esigenze museali. Ma, espandendosi il museo, la casa divenne sempre più inadeguata e nel 1959 fu trasferito in una nuova sede. Nel 1971 il museo ebbe di nuovo bisogno di spazi più grandi e venne trasferito nell’attuale sede. Nel 2011 fu aggiunta un’ala e, quindi, oggi presenta tre diversi stili».

Immagine correlata
Il Museo d'arte moderna di Tel Aviv

Che tipo di mostre e che genere di eventi organizzate?
« Ogni anno abbiamo circa 34 mostre temporanee, accanto alle collezioni permanenti di arte israeliana e internazionale. Ci sono diversi auditorium polifunzionali che ospitano letture, conferenze, concerti, proiezioni cinematografiche, spettacoli di danza e altro ancora».

Ad esempio?
«Le cito un’esibizione davvero unica che si è tenuta l’anno scorso: è una performance del gruppo israeliano Public Movement. Il punto di partenza è un fatto storico, la proclamazione dello Stato d’Israele nella galleria del Tel Aviv Museum, il 14 maggio 1948. I Public Movement volevano dimostrare come l’identità nazionale sia legata all’identità artistica. Vestiti con uniformi bianche, si esibivano a orari fissi. Accompagnavano gruppi di 25 persone in una specie di visita guidata. Una delle tappe era una replica della galleria che ospitò la proclamazione, compresi i dipinti originali appesi ai muri come silenziosi testimoni di quel momento storico. Lì mettevano in scena una cerimonia basata su quell’evento, con una variante: cantavano il loro inno e non quello nazionale. Il museo stesso serviva come materia prima per il lavoro dei Public Movement. Correvano e saltavano; camminavano in formazione da parata e danzavano la hora, una danza folkloristica, declamavano tutti insieme e si baciavano. La loro sintassi si fonda sull’estetica, sulla coreografia e sul potenziale erotico dei movimenti dei giovani corpi. Le loro coreografie s’ispirano a un mondo di azioni militari, movimenti giovanili cerimonie solenni ed eventi in contesti nazionalisti. Il loro tour di 50 minuti lascia confusi: è una cerimonia? Una parata? Chi impersonano i membri dei Public Movement? Sono ironici? È vero quello che dicono?»

Quanti visitatori avete?
«Circa 650 mila all’anno. Il numero di visitatori è considerato un indice di successo. Ma, se posso tornare al caso dei Public Movement, non sempre il numero è ciò che conta. Essendo una performance ad accesso limitato, il loro spettacolo è andato avanti solo per sei settimane con 26 repliche per settimana e 25 persone per volta. E, nondimeno, è stato un progetto eccezionale».

L’arte contemporanea è viva in Israele?
«C’è una vivace vita artistica. Ci sono molte scuole d’arte e la maggior parte ha un master in belle arti . A Tel Aviv ci sono gallerie private, spazi gestiti dagli artisti stessi e spazi non-profit, oltre a un fitto programma di esibizioni ed eventi artistici».

Quali sono i maggiori artisti israeliani?
«Quelli di maggior successo sono Michal Rovner, Yael Bartana, Sigalit Landau, Guy Ben Ner, Omer Fast, Mika Rutenberg, Keren Zitter, Ilit Azoulay, Nevet Itzhak e altri. Non sorprende che la maggioranza siano videoartisti o, comunque, artisti che lavorano soprattutto con i video. A differenza della pittura e della scultura, campi in cui gli artisti israeliani sentono lo svantaggio dell’essere privi di una tradizione artistica, con i video il discorso è diverso».

La difficile situazione del suo Paese ha grande influenza sugli artisti?
«La situazione politica influisce molto. È presente in modo dichiarato nelle opere d’arte e anche in modi più nascosti. Un artista, Moshe Gershuni, nel 1977, scrisse nell’ambito di un lavoro sperimentale a Gerusalemme: “Il problema della pittura è il problema palestinese.” Anche se è stata scritta quasi 50 anni fa, è ancora una frase che colpisce e fa pensare: davvero il problema dell’arte è il conflitto politico?».

Traduzione di Carla Reschia

Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


direttore@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT