Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 31/07/2016, a pag. 20, con il titolo "La lezione di Elie Wiesel e l'antidoto al jihadismo", la lettera di Massimo Robberto e la risposta del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Elie Wiesel
Caro Direttore, i tristi eventi che oramai ci accompagnano quasi quotidianamente mi hanno fatto andare a rileggere un articolo apparso nel 2007 su Physics Today dal titolo «Science and the Islamic world - The quest for reapprochment» (Scienza e mondo islamico - la ricerca per la riconciliazione). L’autore, Pervez Hoodbhoy, professore del dipartimento di Fisica dell’Università di Islamabad, presenta una disamina onesta delle ragioni del declino e dell’enorme ritardo accumulato nel mondo islamico in campo scientifico, riconoscendo che le radici precedono di secoli la dominazione attuale dell’«imperialismo mercantile».
A un certo punto Hoodbhoy presenta un dato cruciale che mi sembra sia stato ingiustamente trascurato. Citando uno studio del 2002 commissionato dalle Nazioni Unite a un gruppo di intellettuali arabi e pubblicato al Cairo, l’articolo riporta: «Con l’eccezione dell’Iran e della Turchia (Paesi non di lingua araba), il tasso annuale di traduzione da lingue straniere è basso. L’intero mondo arabo traduce circa 330 libri all’anno, un quinto del numero dei libri tradotti in Greco moderno. Nei 1000 anni trascorsi dal regno del califfo Maa’moun, gli arabi hanno tradotto tanti libri quanti se ne traducono in spagnolo in un anno».
Sta di fatto che con ogni probabilità il mondo arabo, tranne rarissime eccezioni, non ha la possibilità di confrontarsi con il nostro Abc. Quanti hanno mai letto una pagina di Cervantes, di Victor Hugo, di Dostoevskij, di Manzoni, insomma del corpus di letteratura che piaccia o meno «spiega» la nostra civiltà?
Massimo Robberto
Caro Robberto,
quanto lei scrive ricorda la tesi espressa da Bernard Lewis nel suo «What Went Wrong» (Cosa è andato storto) che uscì in America poco dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001. Lewis spiegava che alla radice del jihadismo c’è un rifiuto della modernità che si alimenta dalla carenza di conoscenza, nel mondo arabo, sulle rivoluzioni francese ed americana.
Nelle università arabe di studia l’Occidente assai meno di quanto in quelle occidentali si studi l’Islam. Quando si chiedeva a Elie Wiesel, premio Nobel per la Pace sopravvissuto alla Shoah, quale era il miglior antidoto all’odio la sua risposta era, puntualmente, «lo studio». Ecco perché una delle risposte migliori che il mondo arabo può dare al jihadismo è lo studio delle battaglie per i diritti dell’uomo che, dalla Bastiglia in poi, sono avvenute nei Paesi dell’Emisfero Settentrionale.
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