Riprendiamo da NAZIONE/CARLINO/GIORNO di oggi, 31/07/2016, a pag. 7, con il titolo "'Siamo in guerra, niente buonismo'. Il rabbino: ebrei e cristiani sotto tiro", l'intervista di Cristiano Bendin a rav Giuseppe Laras.
Cristiano Bendin
rav Giuseppe Laras
«SIAMO in guerra. Per ora è una strategia della tensione, del ricatto economico e del terrore. Ma l'esito potrebbe essere la soumission, consapevole o meno». Tra le titubanze della Chiesa e il politicamente corretto della classe politica, Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Centro Nord Italia, è tra i pochi intellettuali italiani a esprimere senza riserve «grave preoccupazione» per l'attuale situazione dell'Italia e dell'Europa.
Rav Laras, che pensa delle recenti dichiarazioni del papa circa la matrice «non religiosa» degli attacchi terroristici? «Disgraziatamente la realtà parla con evidenza da sé. Leggiamo, per maggiore profitto, il discorso di Ratisbona di Benedetto XVI».
Non crede che una condanna più decisa da parte della Chiesa infiammerebbe un mondo islamico già incandescente? «E al mondo non islamico che subisce queste violenze e che, per converso, ha accolto e almeno tentato di integrare milioni di musulmani, andando incontro a una sua modificazione nel futuro ed esponendosi a ipoteche socioculturali e simboliche epocali, cosa dice la Chiesa Cattolica? E, circa queste stesse violenze, che hanno devastato negli scorsi due secoli i cristianesimi orientali in Terra di Islam, con un'accelerazione nelle ultime decadi, a cosa ha giovato non averle condannate con forza e presentate a suo tempo agli ordini del giorno delle agende culturali e politiche occidentali?».
Dopo l'uccisione di padre Jacques Hamel i luoghi di culto cattolici in Europa sono a rischio? «Le sinagoghe e le scuole ebraiche, tra Francia e Belgio, sono già state attaccate. Le chiese in Egitto registrano anch'esse attacchi da decenni. E che dire di Siria, Iraq, Pakistan? Ora, con l'uccisione di padre Hamel tale attacco è realizzabile anche in Europa. È stato dato un segnale. Per decenni c'è stato troppo incosciente silenzio sulle sorti di ebrei e cristiani di Oriente in relazione all'Islam».
Quali, a suo giudizio, gli elementi di debolezza dell'Occidente? «I partiti e le grandi istituzioni culturali ed economiche da troppo tempo non hanno formato e selezionato con severità, attento vaglio e puntiglio la nuova classe dirigente. La mediocrità ha una capacità di erosione e di istupidimento che ci ha devastati. Tutto ciò è una delle debolezze più insidiose, specie per la vita democratica dei nostri Paesi e per il mantenimento di quanto abbiamo ereditato. Bisogna investire nella formazione di eccellenze».
Cosa dobbiamo aspettarci? «Se le bocce si muoveranno, come è verosimile, il conflitto esploderà ma non esaurirà le violenze jihadiste in Occidente. Occorre prepararci anche con un serio armamentario di idee e studi. Iniziando, per esempio, a leggere le storie dei cristiani e degli ebrei in Terra di Islam. Chi ha coscienza dei massacri, a decine di migliaia, di cristiani maroniti in Libano agli inizi dell'800? O dei cristiani assiri? E che dire dei massacri di centinaia di migliaia di armeni nel corso del XIX secolo, ben prima del loro Genocidio? Chi conosce le misure e le ragioni teologiche della dhimmitudine cui erano sottoposti ebrei e cristiani?».
È possibile un dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani? «L'urgenza non è dialogare ma il dovere di coesistere, garantendo vite dignitose e non nuocendo vicendevolmente, favorendo un sentimento di amicizia civile».
Quale 'rivoluzione dell'intelletto' servirebbe gli europei? «Credo che il fariseismo cui si riferisce il Papa sia oggi rappresentato dal politically correct. Gli europei devono riprendere a pensare, cestinando terzomondismo, pacifismo oltranzista, indulgenza colpevole e buonismo».
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