Riprendiamo da NAZIONE/CARLINO/GIORNO di oggi, 29/07/2016, a pag. 8, con il titolo " 'Quell'odio ha radici religiose'. L'esperto: Europa, apri gli occhi", l'intervista di Cristiano Bendin a David Meghnagi.
Cristiano Bendin
David Meghnagi
«NON CI SONO dubbi che, alla base di certi atti criminosi, possano esserci turbe psichiche irrisolte ma questo è solo un elemento del problema che non autorizza a ridurre fenomeni di portata storica a considerazioni di ordine meramente psicologico. In altri contesti e ambiti, chi ha problemi psichici irrisolti raramente commette atti come questi». David Meghnagi, psicoanalista, direttore del laboratorio di psicologia clinica e docente di psicologia della religione all'Università Roma Tre, non crede alla vulgata secondo cui i terroristi che hanno colpito negli ultimi giorni siano «solo dei malati psichici» o «schegge impazzite».
Professore, sulla base di quali considerazioni si sente di escluderlo? «Il terrorismo di matrice islamico-jihadista ha dei fondamenti perversi che si richiamano esplicitamente a categorie di natura teologica. E una ideologia che viene da lontano e che demonizza l'Occidente e la democrazia, e che identifica gli ebrei con il male. E una visione del mondo che attualizza, assolutizzandola, la polemica antiebraica presente in importanti Sure del Corano, a discapito di altre più tolleranti, e che ha come scopo il ritorno del mondo islamico a una purezza 'incontaminata'. Si tratta di una guerra che, dall'interno del mondo islamico, dove ha procurato centinaia di migliaia di vittime, dilaga ora in Occidente, mettendo a rischio le basi della convivenza su cui poggia la nostra civiltà».
L'islamismo agisce con l'aiuto del "politicamente corretto" dell'Occidente
Una sorta di odio teologico? «Sì. Un odio che demonizza gli ebrei, che guarda a Israele come a un nuovo Satana, che fa sua — islamizzandola — la falsa leggenda del complotto dei Savi di Sion (vedi lo Statuto di Hamas), che converte i cristiani a forza e vende le donne come schiave. Una catastrofe per l'intera civiltà islamica, un pericolo per la convivenza tra fedi e culture in Occidente. Se tutto questo fatto non viene messo bene a fuoco, il rischio è di una deriva dalle conseguenze devastanti».
Perchè questa insistenza sul disagio psichico allora? «Il primo motivo è la paura di provocare, in una popolazione già impaurita, una spirale di terrore e di sospetto verso chiunque sia percepito come un possibile pericolo. Dall'altro c'è la difficoltà di prendere coscienza che, di colpo, il tema religioso possa costituire, come già avvenuto nel '500 e nel '600, un elemento di conflitto devastante. L'aspetto paradossale di questo processo è che mentre in Europa si vive, almeno ufficialmente, come se il terrorismo jhadista non avesse alcuna valenza di natura religiosa, nel mondo arabo e islamico a nessuno verrebbe in mente di negarlo».
Può spiegarsi meglio? «L'Europa non è psicologicamente e culturalmente preparata a un fatto inquietante, che rischia di farci sprofondare indietro di secoli, quando la guerra di religione era un elemento costitutivo della realtà quotidiana, con cattolici e protestanti che si scannavano e gli eserciti islamici erano arrivati alle porte di Vienna».
L'Europa laica pensava che con la fermata dei musulmani a Vienna nel 1683 questo ciclo fosse finito e invece non è così? «Per un europeo di formazione laica è quasi impensabile pensare che per motivi religiosi ci si possa uccidere. Scoprire che non è più così, non in un paese lontano, ma nella vita di tutti i giorni, nel cuore delle nostre metropoli, è fonte di smarrimento. Da qui la tendenza a chiamare il problema con altri nomi più rassicuranti».
La visione jihadista è un sorta di riconquista? «Nella mentalità jihadista tutte le terre che un tempo sono appartenute al Dar al-Islam' (letteralmente la casa dell'Islam) devono tornare islamiche».
Non può essere che l'Isis apponga ex post il suo marchio ad azioni criminose compiute da pazzi? «Certo. Ma il problema è che questo richiamo funziona, e che le menti folli non operano nel vuoto ma all'interno di una vasta zona grigia di complicità e di tolleranza. Inoltre c'è un effetto emulazione. Ma questo non deve farci perdere di vista la sfida culturale e religiosa sottesa a questo nuovo grande pericolo per la convivenza in Europa».
Come uscire da questa spirale? «Non negando la dimensione religiosa e imparando a leggere la realtà anche con i loro stessi occhiali, senza però esserne catturati. Bisogna imparare un po' dagli israeliani: hanno sperimentato per primi questa sfida e hanno saputo combatterla conservando le basi dello Stato di diritto».
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