Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/07/2016, a pag. 1, con il titolo "No, non è una guerra di religione", l'editoriale di Claudio Cerasa.
Claudio Cerasa risponde all'editoriale suicida di Mario Calabresi pubblicato ieri dalla Repubblica e ripreso da IC: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=63235
Ecco l'articolo:
Claudio Cerasa
C’è un filo sottile che lega la decisione di coprire i propri occhi di fronte a una guerra di religione e la scelta di eliminare le immagini dei soldati che combattono quella guerra. Il filo è evidente: nascondere i segni più espliciti di un nuovo totalitarismo (un nuovo nazismo) equivale a voler nascondere ai nostri occhi l’essenza di una guerra che viene combattuta in modo asimmetrico, sì, ma che come tutte le guerre viene mossa da un’ideologia (che trova la sua fonte di ispirazione in alcuni versetti del Corano) e viene combattuta da un esercito che proprio in nome di quell’ideologia riesce a reclutare in giro per il mondo milizie disposte a morire per affermare il proprio credo. Non chiamare le cose con il proprio nome (come ha scelto di fare Papa Francesco) e non mostrare la guerra per quello che è (come hanno scelto di fare alcuni giornali come Repubblica) è una scelta che ha un suo senso ma che deve essere definita per quello che è: un passo verso la negazione della realtà.
Ci sono immagini cruente che non si pubblicano (gli orrori perpetrati dagli islamisti, i parroci sgozzati, gli archeologi appeso a testa in giù, la testa mozzata dei Daniel Pearl) perché rischiano di mostrare il volto nudo di un male che non si vuole curare e ci sono invece immagini cruente che si pubblicano eccome (il piccolo Aylan, il bimbo annegato sulle coste turche, le violenze dei dittatori, i torturati di al Sisi) perché aiutano a raggiungere alcuni scopi (spesso umanitaristici) attraverso la cruda visione della realtà. Osservare il male negli occhi, guardare senza veli il male compiuto dallo Stato islamico, parlare non dei soldi ma dell’ideologia, ricordare che la guerra che stiamo vivendo non è solo una guerra mediatica, ma è una guerra di conquista, significherebbe chiedersi se stiamo facendo tutto quel che è umanamente possibile per sconfiggere il male.
Ci sono immagini che ci rassicurano e che vogliamo vedere per raggiungere uno scopo e immagini che non ci rassicurano e che non vogliamo vedere per evitare di aprire gli occhi. Anche per questo oggi vi mostriamo i volti dei sacerdoti che in vent’anni sono stati uccisi dall’islam radicale. Sono morti quasi tutti in medio oriente. Sono morti uccisi dai soldati che non si vogliono far vedere in nome di una religione di cui non si vuole parlare. Oggi forse si può dire che in medio oriente non c’è più una guerra di religione ma lo si può dire solo perché i cristiani stanno scappando dalle loro terre per sfuggire alle violenze dello Stato islamico. Due terzi dei cristiani sono già scappati dall’Iraq. Come quella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014. Quando lo Stato islamico conquistò Bakhdida, la più grande città cristiana dell’Iraq, 32 chilometri a sud-est di Mosul, tirando giù le croci nelle chiese e bruciando manoscritti religiosi. Non è una guerra di religione? Chiedetelo ai 140 mila cristiani scappati quella notte dal buio di Bakhdida.
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