Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 28/07/2016, a pag. 7, con il titolo "Marocchino denuncia il fratello estremista e dalla comunità arrivano minacce di morte", la cronaca di Andrea De Polo; a pag. 6, con il titolo "La collaborazione silenziosa degli imam per segnalare e isolare i radicalizzati", la cronaca di Karima Moual.
Ecco glia articoli:
Andrea De Polo: "Marocchino denuncia il fratello estremista e dalla comunità arrivano minacce di morte"
Quando le anime belle dichiarano che alcuni musulmani sono terroristi ma per lo più rifiutano la violenza, bisognerebbe far leggere loro questo articolo. Questo è l'islam reale, anche in Italia (figuriamoci nei Paesi musulmani), quello edulcorato esiste solo nelle menti ottenebrate di un Occidente ormai cieco di fronte alla realtà.
Ecco il pezzo:
Fouad e Adil Bamaarouf. Due fratelli marocchini, entrambi di Monselice (Padova). Fouad, 43 anni, operaio in un’azienda della zona, nessun conto aperto con la giustizia, ha denunciato Adil, 37 anni, che dopo aver perso il lavoro ha iniziato a inneggiare all’Isis, ha giurato «Farò esplodere Roma» ed è stato espulso dall’Italia con un provvedimento firmato dal ministro Alfano in persona. Eppure, oggi, il condannato (a morte) tra i due è Fouad, quello «pulito». Tradito due volte. Da una fetta della comunità islamica locale, che gliel’ha giurata: «Hai venduto un nostro fratello, la pagherai». E anche dall’Italia, perché da quando la sua storia è diventata di pubblico dominio nessuno vuole più affittargli casa. Paura di ritorsioni, poca voglia di immischiarsi. Il contratto di affitto di Fouad scadrà il 6 novembre e non sarà rinnovato. Ieri, con la «regia» del segretario provinciale leghista Andrea Ostellari che ne ha sposato la causa, il marocchino ha scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Aiutatemi. Non ho fatto niente di male».
Un aiuto, per così dire, gliel’avevano offerto alcuni suoi connazionali. Dopo aver denunciato il fratello ai carabinieri, un anno fa, a casa Bamaarouf si è presentato un sedicente emissario della comunità islamica. «Mi ha chiesto se era vera la storia della denuncia» racconta Fouad «mi ha messo paura, e all’inizio ho negato tutto. Allora mi hanno offerto soldi e aiuto per la casa, ma solo se avessi pubblicato un video in cui scagionavo mio fratello. Sarebbe stato troppo, e ho rifiutato. Ho risposto che non mi serviva niente. Da quel momento nessuno mi parla più, e ricevo minacce anonime sul cellulare. Pazienza, in moschea non ci andavo nemmeno prima, ho visto troppe teste calde».
A riprova che i sospetti di Fouad erano fondati, Adil fu espulso lo scorso 29 dicembre dopo essere stato seguito per diverse settimane. Biglietto di sola andata per il Marocco, ma oggi potrebbe essere ovunque, anche in Siria. «Con me non parla più, perché dice che l’ho venduto» spiega ancora Fouad. «Era venuto a stare da me dopo aver perso il lavoro. Aveva in piedi una causa col titolare, e da allora ha iniziato a prendersela con gli italiani. Odiava il mondo. Si svegliava alle 11 perché di notte guardava i filmati di propaganda dell’Isis in rete. Quando ha iniziato a parlare di minacce concrete l’ho denunciato». Ora Adil è lontano, quello che preoccupa è l’affitto che scade: «Entro nelle agenzie, mi trovano l’appartamento, poi controllano il mio nome in internet e mi richiamano. Il proprietario non è più disponibile, rispondono. Hanno paura. Loro. Io no, perché ho fatto una cosa giusta. Per mio fratello, per l’Italia, per tutti».
Karima Moual: "La collaborazione silenziosa degli imam per segnalare e isolare i radicalizzati"
Karima Moual è specializzata nel presentare gli imam dopo aver fatto loro un bagno profumato di rosa. Le sue teorie sono smentite dalla realtà, siamo stupiti che un giornale laico come La Stampa diffonda informazioni che impediscono al lettore di capire la realtà dell'islam. Per capire che cosa sia l'islam rimandiamo all'articolo qui sopra su quanto accaduto a un marocchino nel padovano.
Ecco il pezzo:
Karima Moual
Musulmani in preghiera in Piazza Duomo a Milano
«Ibrahim e Mounir sono delle spie». Ormai erano sulla bocca di tutti. Perché in un piccolo paese con poco più di 10 mila abitanti e una importante comunità musulmana, non sono passati inosservati quei via vai dei due compaesani alla Questura. Sono passati più di dieci anni e oggi, con il terrore e il sangue della jihad, i due per una buona parte della loro comunità sono invece diventati dei collaboratori delle forze dell’ordine.
Dopo l’11 settembre, e adesso con la minaccia del Califfato, è cresciuta in Italia una grande macchina informativa, che viaggia parallelamente dietro la comunità musulmana.
«Sono 45 anni che vivo in Italia - racconta Mohamed, commerciante - il primo marocchino che ha messo piede in questo paesino della Pianura Padana. Dopo l’attentato alle Torri Gemelle - continua - sono stato avvicinato da alcuni agenti della Digos perché mi conoscevano molto bene: volevano che facessi da tramite verso alcuni elementi nuovi della comunità. Ho dato il mio aiuto e oggi capisco come è ancora più importante farlo. Questa minaccia punta all’instabilità della nostra convivenza». Negli eventi più importanti ci si è dunque abituati alla presenza di alcuni agenti in borghese.
«Non si dice ad alta voce - spiega una fonte anonima attiva nelle organizzazioni islamiche - ma nelle centinaia di moschee disperse nel nostro Paese, i dirigenti e gli imam sanno quanto è rischiosa una mela marcia tra i fedeli. Per questo non si tirano indietro alle richieste di informazioni. Qualche testa calda che poi è stata espulsa - continua - l’abbiamo segnalata noi con molta discrezione alle forze dell’ordine».
Insomma, è importante la collaborazione tra i musulmani e le forze dell’ordine, altrimenti la battaglia sarebbe persa in partenza.
Ma non tutti rispondono: «Sappiamo con certezza - racconta un altro dirigente di un centro islamico italiano - che non tutti segnalano i casi sospetti per paura di avere dei problemi. Purtroppo c’è ancora ignoranza e una percezione limitata del pericolo che stiamo correndo come comunità. Poi - aggiunge - la verità e che i servizi devono monitorare più l’informazione che transita su internet, il reclutamento si è spostato dalla mosche al web».
Quello che forse è mancano in Francia se il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, dopo l’ultimo attentato a Rouen, ha ammesso la necessità di migliorare il rapporto con l’Islam per consentire un miglior controllo sul culto. Una campana che suona comunque anche alla nostra porta, con 1 milione e mezzo di fedeli senza ancora una legge che regolamenti le moschee e un’intesa con lo Stato.
Certo, la comunità islamica francese ha tutt’altra storia rispetto alla pluralità di anime musulmane residenti in Italia, ma l’imprevedibilità della minaccia consiglia la prevenzione. Ed è chiaro come sia altrettanto importante lavorare su più piani, non solo sulla sicurezza: il vero antidoto è quello educativo, culturale e formativo. Sono diversi anni che un Paese in particolare, il Marocco investe in questi tre settori, anche in Italia. Finanzia iniziative e centri culturali che seguono il modello riformista islamico, che il Paese magrebino sta portando avanti contro la radicalizzazione. E lo fa inviando a sue spese, nel mese del Ramadan, imam formati e Murchidat (figure di donne guida), per incontrare la comunità ascoltarla e guidarla. Una vera sentinella che un po’ copre il vuoto di una politica italiana sull’Islam ancora assente, ma che non può durare ancora a lungo per la portata della minaccia.
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