Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/07/2016, a pag. 11, con il titolo "Gulen agli Usa: 'Non estradatemi, Erdogan minaccia la democrazia' ", l'intervento di Fetullah Gulen.
Ecco l'autodifesa di Fetullah Gulen, da sempre non vicino ai partiti laici ma concorrente di Erdogan. Non a caso, è un imam. Adesso sostiene di difendere la democrazia contro lo strapotere islamista ad Ankara. Se crede davvero alla democrazia in Turchia, combatta contro Erdogan costruendo un articolato programma politico alternativo.
Ecco l'articolo:
Fetullah Gulen
DURANTE gli eventi di questo mese, ho condannato duramente il tentativo di golpe in Turchia. «Il governo deve essere battuto attraverso un processo di elezioni libere e corrette, non con la forza », ho detto. «Prego Dio per la Turchia, per i cittadini turchi e per tutti quelli che si trovano attualmente in Turchia perché questa situazione si risolva presto e in modo pacifico». Nonostante la mia protesta inequivocabile, così come lo sono state le dichiarazioni rilasciate dai tre principali partiti di opposizione, il sempre più autoritario presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, mi ha accusato di aver orchestrato il golpe e ha chiesto agli Stati Uniti di estradarmi dalla Pennsylvania, dove risiedo e vivo in esilio volontario dal 1999.
Non solo l’accusa di Erdogan è contraria a tutto ciò in cui credo, ma è anche irresponsabile e sbagliata. La mia filosofia, che si ispira a un Islam aperto e pluralista, dedito al servizio degli esseri umani di ogni fede, è antitetica alla ribellione armata. Per più di 40 anni, coloro che partecipano al movimento di cui faccio parte — il cui nome, Hizmet, significa in turco “servizio” — hanno sostenuto una forma di governo che tragga la propria legittimità dalla volontà popolare e rispetti i diritti di tutti i cittadini, indipendentemente dalle opinioni religiose, dall’appartenenza politica o dalle origini etniche. Gli imprenditori e i volontari che si ispirano ai valori di Hizmet hanno investito i loro sforzi nella promozione di un’educazione moderna e di servizi alla comunità in più di 150 paesi. In un momento in cui le democrazie occidentali sono alla ricerca di voci musulmane moderate, io e i miei amici del movimento Hizmet abbiamo preso una posizione chiara contro la violenza estremista.
Oltre a condannare la violenza insensata, anche durante il tentato golpe, abbiamo sottolineato il nostro impegno nel prevenire il reclutamento di terroristi tra i musulmani, coltivando una mentalità pacifica e pluralista. In tutta la mia vita, ho denunciato gli interventi militari in politica interna. Ho sostenuto la democrazia per decenni. Dopo aver patito quattro colpi di stato militari in quattro decenni in Turchia — ed essere stati sottoposti da quei regimi militari ad abusi e ingiuste detenzioni — non vorrei mai che i miei concittadini fossero di nuovo sottoposti a una tale prova. Se qualche apparente simpatizzante di Hizmet è stato coinvolto in un tentativo di golpe, questi ha tradito i miei ideali. Tuttavia, l’accusa di Erdogan non mi sorprende, non per quello che dice su di me, ma piuttosto per quello che rivela sulla sua sistematica e pericolosa deriva verso il governo di un solo uomo.
Recep Tayyip Erdogan, Fetullah Gulen
Come molti cittadini turchi, i membri del movimento Hizmet sostennero il tentativo iniziale di Erdogan di democratizzare la Turchia così da soddisfare i requisiti necessari per l’adesione all’Ue. Ma non abbiamo taciuto quando è passato dalla democrazia al dispotismo. Anche prima di queste nuove purghe, Erdogan ha arbitrariamente chiuso dei giornali negli ultimi anni; rimosso migliaia di giudici, agenti di polizia e funzionari; e applicato misure dure contro i curdi, dichiarando nemici dello Stato i suoi detrattori. Hizmet è stato bersaglio dell’ira del presidente. Nel 2013 Erdogan ha attaccato i suoi simpatizzanti che lavoravano all’interno della burocrazia turca per aver avviato un’indagine per corruzione che coinvolgeva membri del suo gabinetto e altri suoi stretti collaboratori. La conseguenza è stata che decine di membri della magistratura e delle forze di polizia sono stati epurati o arrestati semplicemente per aver fatto il loro lavoro. Dal 2014, quando Erdogan fu eletto presidente, dopo essere stato primo ministro per 11 anni, ha cercato di trasformare la Turchia da una democrazia parlamentare a una Repubblica presidenziale in cui il suo potere non sarebbe più sottoposto al alcun controllo. In tale contesto, la recente affermazione di Erdogan che il fallito colpo di stato è stato un “dono di Dio” è inquietante.
Cercando di epurare ancor più dissidenti dalle agenzie governative e di reprimere ulteriormente Hizmet e altre organizzazioni della società civile, Erdogan sta eliminando molti degli ostacoli che si frappongono tra lui e il potere assoluto. Amnesty International ha pubblicato dei rapporti “attendibili” sulle torture, tra cui lo stupro, nei centri di detenzione. Non c’è da stupirsi che il governo abbia sospeso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dichiarato lo stato di emergenza. Il presidente della Turchia sta ricattando gli Stati Uniti con la minaccia di frenare il sostegno alla coalizione internazionale contro l’Is. Il suo obiettivo: ottenere la mia estradizione, nonostante la mancanza di prove e senza alcuna prospettiva di un processo equo. La tentazione di dare a Erdogan tutto quello che vuole è comprensibile. Ma gli Stati Uniti non ci devono cascare. L’estremismo violento si nutre delle frustrazioni di chi è costretto a vivere sotto dittatori che non possono essere contestati con proteste pacifiche e per mezzo di una politica democratica.
In Turchia, lo spostamento del governo di Erdogan verso una dittatura sta polarizzando la popolazione lungo linee confessionali, politiche, religiose ed etniche, alimentando i fanatici. Per non vanificare gli sforzi in cui tutto il mondo è impegnato per riportare la pace in questi tempi turbolenti, e per salvaguardare il futuro della democrazia in Medio Oriente, gli Stati Uniti non devono soddisfare le richieste di un autocrate che sta trasformando un putsch fallito in un suo colpo di stato al rallentatore contro il governo costituzionale.
The New York Times News Service. Traduzione di Luis E. Moriones
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