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La Stampa Rassegna Stampa
26.07.2016 Il Califfo invita i profughi a uccidere, Erdogan accusa la Cia del golpe fallito
Due servizi di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 26 luglio 2016
Pagina: 3
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Il ricatto del Califfo ai rifugiati siriani: ' Siete scappati, ora uccidete gli infedeli' - E ora Ankara incolpa la Cia: 'Ha finanziato il colpo di Stato'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/07/2016, a pag. 3-5, con i titoli "Il ricatto del Califfo ai rifugiati siriani: ' Siete scappati, ora uccidete gli infedeli' ", "E ora Ankara incolpa la Cia: 'Ha finanziato il colpo di Stato' ", due servizi di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

"Il ricatto del Califfo ai rifugiati siriani: ' Siete scappati, ora uccidete gli infedeli' "

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Abu Bakr Al Baghdadi

L’Isis continua a perfezionare l’uso della propaganda per innescare i lupi solitari in Occidente e sfruttare al massimo l’effetto delle loro azioni sia per il reclutamento che per intimidire i Paesi della coalizione impegnata in Siria e Iraq. Anche la rivendicazione dell’attentato ad Ansbach, come quelle di Orlando, Nizza, Würzburg, si conclude con la precisazione che il «soldato del Califfato» ha voluto colpire una nazione impegnata nella guerra allo Stato islamico. Mentre il giuramento di fedeltà del terrorista siriano al Califfo Abu Bakr al-Baghdadi cita alla lettera gli appelli lanciati sul web a uccidere gli infedeli con ogni mezzo e «senza chiedere autorizzazioni o permessi» a nessuno.

La «campagna d’estate» degli islamisti ha come obiettivo quello di fermare in qualche modo i raid, ma in Germania vuole amplificare un’altra paura, quella per i rifugiati siriani e musulmani in generale. Gli attacchi di Ansbach e Würzburg, per quanto limitati nel numero delle vittime, colgono due risultati in uno. Il punto di partenza resta l’appello lanciato dal portavoce del Califfo, Mohammed al-Adnani nel settembre del 2014, subito l’inizio dei raid Usa in Iraq e Siria. È lì, in una polemica interna con Al-Qaeda, che viene specificato che gli attacchi possono essere spontanei senza chiedere un «parere religioso» o un’autorizzazione a un imam. E che i civili, anche musulmani, sono bersagli legittimi se cittadini di un Paese in guerra con il Califfato.

Nella sua «bayah» Mohammed Delel, rifugiato di 27 anni, specifica di «aver risposto all’appello» del Califfo e di aver agito senza «chiedere il permesso». Segno che la propaganda è penetrata fino nei dettagli nella mente di una persona senz’altro fragile, ma non per questo meno pericolosa. Ma forse, Delel ha reagito anche a un’altra propaganda, non ufficiale, che corre soprattutto sul canale Telegram. Sono continui attacchi ai rifugiati siriani, accusati di vigliaccheria, di tradimento, di apostasia. La loro colpa è quella di essere fuggiti dal Califfato invece di difenderlo con le armi e di aver trovato accoglienza in un Paese di infedeli. Un predicatore vicino all’Isis li ha minacciati in un video e ingiunto loro di versare una «tangente» di «almeno 20 mila dollari all’anno» se non tornano in patria.

Le minacce fanno il paio con gli appelli a compiere attentati. La base ideologica resta quella del discorso di Al-Adnani, in base al quale tutti i musulmani sono tenuti a emigrare nel Califfato per sostenerlo o, se impossibilitati, a combattere la jihad sul posto. La doppia pressione sui rifugiati siriani, ma anche afghani, sembra aver fatto breccia. Prima il profugo minorenne che a Würzburg ha preso a colpi di accetta i passeggeri di un treno, ora Ansbach. Se in Francia l’Isis sfrutta le frange radicalizzate dagli imam salafiti nella comunità maghrebina e i foreign fighter di ritorno, in Germania fa leva sulla disperazione e i sensi di colpa, per quanto assurdi, dei più deboli. Ma in questo modo è riuscito ad aprire un nuovo fronte in Europa.

"E ora Ankara incolpa la Cia: 'Ha finanziato il colpo di Stato' "

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Retate di giornalisti critici e accuse sempre più circostanziate all’America sui giornali filogovernativi. Le repressione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è focalizzata ieri su media mentre le epurazioni si sono allargate al settore della Sanità, con 5 mila licenziamenti e sospensioni, a quello degli Esteri, dove 300 funzionari compresi «alcuni ambasciatori» stanno per subire la stessa sorte. La «pulizia» dalle infiltrazioni «guleniste» procede a pieno ritmo ed è affiancata a pressioni sempre più forti nei confronti di Washington perché consegni l’imam-magnate Fetullah Gulen, richiesta ribadita ieri dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu assieme a nuovi calorosi ringraziamenti alla Russia.

Il ribaltamento in corso delle alleanze, nel Paese Nato con l’esercito più forte dopo quello degli Stati Uniti, è palese nella stampa filogovernativa. Il quotidiano «Yeni Safak», vicino all’entourage presidenziale, ha pubblicato un articolo di accuse contro il generale americano John F. Campbell, già comandante della missione Isaf in Afghanistan. Secondo il giornale, che cita «fonti riservate», un’indagine in corso avrebbe appurato che il generale ha tenuto incontri con gli ufficiali golpisti nelle basi di Incirlik ed Erzurum e ha «distribuito oltre due miliardi di dollari attraverso transazioni con la Uba Bank in Nigeria». Un altro articolo sostiene addirittura che l’ex capostazione della Cia in Turchia, Graham Fuller, era sull’elicottero dei militari fuggiti in Grecia.

Con i giornali amici a far da gran cassa c’è poco spazio per le voci critiche. Ieri sono stati spiccati 42 ordini di arresto per giornalisti considerati complici di Gulen. Sono stati quasi tutti già eseguiti, tranne che per 13 reporter probabilmente riparati all’estero. Tra i giornalisti colpiti dal provvedimento vi è anche Nazli Ilicak, licenziato nel 2013 dal quotidiano filo-governativo «Sabah» per aver criticato dei ministri coinvolti in uno scandalo di tangenti. Scandalo di cui il governo turco attribuisce la responsabilità all’imam Fethullah Gulen, oramai ritenuto colpevole di tutto e persino, secondo il sindaco di Ankara Melih Gokcek, di influenzare i cittadini attraverso i «jinn», gli spiriti maligni della tradizione musulmana.

Ma la caccia ai reporter allarma sempre più l’Ue. Amnesty International, con Gauri van Gulik, vicedirettrice per l’Europa, denuncia la «sfrontata purga, basata sull’affiliazione politica», mentre il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker precisa che «la Turchia, nello stato in cui si trova, non è in grado di aderire all’Unione né tra poco né tra più tempo», tanto meno se dovesse reintrodurre la pena di morte, cosa oramai scontata. La reazione di Ankara arriva attraverso Cavusoglu: «Non ci faremo intimidire». E torna a ringraziare «il presidente Putin. Abbiamo ricevuto un sostegno incondizionato dalla Russia, a differenza di altri Paesi».

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